La Machina [mappali 323-348], la Ca’ dei Foi [mappali 1118 -1389-1 e 1389-2] e la casa dei Folèc’ [mappale 351]

Il complesso di abitazioni posto in località Folèc’ – recentemente ristrutturato – era sede di gualchiere (folloni, folli).

Descrizione

La Machina [mappali 323-348], la Ca’ dei Foi [mappali 1118 -13891 e 13892] e la Ca’ dei Folèc’ [mappale 351].

Gualchiere, via Montenero.

La Machina [mappali 323-348], la Ca’ dei Foi [mappali 1118 -13891 e 13892] e la Ca’ dei Folèc’ [mappale 351]: la storia cartografica.

 

La Machina [mappali 323-348]: la storia
L’opificio detto «Machina» era situato in via Mulini di Zone n° 98 (Mulì de Su, ora via Montenero) - mappali 323, 242, e 348 - in una zona detta contrada dei Folli o del Folletto.Scendiamo di qualche decina di metri lungo la strada acciottolata, seguendo il percorso del Canale della Sèstola, che le cammina a fianco; a destra, verso lago, ecco uno sfioratore - una paratia - un casotto con manovelle a vite e, subito dopo, i resti di una ruota antica, il cui perno marcito si può osservare al di là di un’anta di legno.
Il tutto fa parte di un edificio lungo e alto, piuttosto stretto, a due piani, abitato fino a qualche anno fa da Giovanni Serioli fu Antonio, detto Tóne Bacés, I‘ultimo inquilino.
Nell’Estimo mercantile del 1750, Giacomo Bontempi dei Cucagna «lavora in proprio folo di coperte».
Nell’estimo del 1785, Giovanni Maria Bontempi fu Giacomo dei Cucagna [1743-1798] (che di definisce «Foladore», gualchieraio) dichiara di possedere «il recto [la parte anteriore] del corpo di case di più stanze terranee, cilterate [a volta], solerate [con solaio] e cupate [con tetto in coppi] con la mettà d’un solo edificio di follo, indiviso con Giovanni Battista Serioli q. Giovanni acquisitore del [che l’ha comprato da] q. Innocento Buffoli di lui creditore in Pilzone, et altre ragioni nel Tener di Marone, in contrada di sopra Ponzano, sive del Follo, [confina] à mattina [Est] suddetto Serioli col edificio del follo [che] era del signor Francesco Scaglia, e parte ingresso, à mezogiorno [Sud] strada, à sera il molto reverendo signor don Lorenzo Guerini con altro follo, à monte [Nord l’eredità del q. signor Filastro Zini […]».
Don Lorenzo Guerini Guerini, sempre nel 1785, possiede - in contrada di Sopra Ponzano o del Follo - un follo acquistato da Giacomo Bontempi fu Giovanni Maria; metà del follo, in comproprietà con Giovanni Battista Serioli e Giovanni Maria Bontempi fu Giacomo, acquistato dal Buffoli; infine, un altro follo, acquistato da Bonaventura e Paolo Guerini, suoi fratelli.
Alla fine del XVIII secolo in contrada Folletto vi erano, dunque, tre gualchiere di cui una in multiproprietà, che nella mappa del 1808, che non ha sommarione (elenco dei proprietari), sono i mappali 348 e 352.
Il mappale 348 ospita il follo che don Lorenzo Guerini ha acquistato dai fratelli e il mappale 352 le altre 2 gualchiere.I mappali 323-348, nella prima metà dell’Ottocento, erano così descritti «323, zerbo [terreno incolto, ndr] di pertiche 0,11; 348 follo di coperte di lana ad acqua con casa»; per «antico possesso» erano accatastati, nel Catasto Austriaco del 1852, a Cristini Luigi [1812-?], Giacomo [1813-?], Francesco [1816-1863], Giovanni Battista Cristini [1818-?], Giuseppa Giovanna in Pennacchio e Maria Bernardina [1826-1861], fratelli fu Giovanni Battista detti Signorelli di Ponzano [1780-1809, coniugato con Maria Caterina Gigola]. I Cristini fu Giacomo dei Signorelli sono il ramo ponzanese dei Cristini degli Afre e, nel corso dell’800 e della prima metà del ’900, diventeranno i Cristì de Sura e i Cristì de Sóta, promotori con i Guerrini detti di Matteo, dell’industria laniera maroneseI mappali furono acquistati, nel 1852, dalla ditta Zirotti Giovanni Maria fu Lorenzo; nel 1855 passarono alla medesima ditta, amministrata dal figlio Lorenzo; nel 1857 furono trasferiti alla ditta Zirotti Lorenzo e Anna Maria fu Giovanni Maria & figli (maschi nascituri di Lorenzo); nel 1858 Anna Maria lascia la ditta Zirotti e l’azienda rimane del solo Lorenzo e «figli nascituri». Nel 1862 dal nome della ditta viene tolta la dicitura «& figli».
Nel 1867 Cristini Luigi fu Giovanni Battista acquista nuovamente i due mappali.
Come appare nella mappa del 1852, attorno alla metà dell’Ottocento inizia l’edificazione nei mappali 348 e 349 (che nel catasto unitario divengono un unico mappale, il 348).Una nota in matita sulla mappa recita «Fratelli Cristini, 2 vasti locali ad uso fabbrica di coperte»: si può ipotizzare che i terreni incolti siano edificati tra il 1867 e il 1881. È probabile che sia contemporanea anche l’edificazione del nuovo stabile nel mappale 323.
Nel 1878 nei mappali 323 e 348 sono collocati tre folli e una filatura di lana.
Nel 1881 entrambi i mappali sono accatastati come «folli da coperte di lana ad acqua», e tali sono anche nel 1935.Nella seconda metà dell’Ottocento – con il passaggio di proprietà ai fratelli Cristini fu Luigi detti i Cristì de Sura – in questo grande immobile, sia al piano terra come al primo piano, aveva sede una catena completa di lavorazione della lana: dal lavaggio dei fili grezzi, alla loro filatura e tessitura di manufatti completi - le coperte - ed era popolarmente chiamata «Machina».
Le coperte erano portate poi a Ponzano per essere messe nella sulfèrera e poi distese sulle ciodére a asciugare ed essere tese.

Alcune delle persone ricordate nelle testimonianze.

 

Le testimonianze
Negli anni ’90 le due stanze principali della «Machina» erano diventate una e senza tetto, essendo crollato il pavimento: si vedeva bene una passerella che congiungeva questa parte dello stabilimento, ovviamente molto umida, con la restante zona, molto più grande, che si protende in direzione di Ariolo.
Restavano in piedi, non si sa come, i quattro muri perimetrali: dentro si vedono scalette, spuntoni di piloni, nicchie, putrelle e rovi, radici di piante di fico, che hanno attecchito nei muri, ogni specie di rifiuti.
La ruota piccola giaceva in frantumi dentro il suo vano, trasformatosi per lei in tomba.
Il fabbricato è stato recentemente ristrutturato ad uso abitativo.«I fratelli Cristini fu Rocco erano proprietari della «Machina» e della nostra casa – noi abitavamo al piano superiore di nuova fabbricazione della Ca’ dei Foi – dicono i fratelli Martino e Giacomo Fenaroli – e avevano stipulato un contratto con nostra madre, Agnese Marchetti in Fenaroli, in base alle cui clausole lei si sarebbe impegnata a pulire ogni giorno la griglia (i feradì) del canale su al casotto da tutte le foglie, carte e rametti in cambio dell’affitto gratuito e della fornitura, pure gratuita, della corrente elettrica prodotta dalla turbina posta in via Fucina, dove abitava la famiglia Metelli di Cìa Mutilata.Nostra madre si recava a pulire i feradì ogni volta che le nostre poche lampadine diminuivano di potenza; questo infatti era il segno che nella condotta forzata non entrava tutta l’acqua necessaria a far girare la turbina di Cìa Mutilata con la dovuta velocità. Allora mia madre correva su nel casottino, che sta ancora sotto la casa Zeni, apriva la porticina, ne tirava fuori un rastrello, faceva tutte le dovute operazioni di pulizia e tornando in casa la trovava piena di luce.
Questo lavoro durò fino al 1955, più o meno, quando la turbina cessò di funzionare: la Società Elettrica Bresciana (SEB) stava monopolizzando la fornitura di energia elettrica in tutti gli stabilimenti e nelle case private.I fratelli Fenaroli asseriscono che nell’altra parte più bella e più sana della casa, con tante finestre a lago, a piano terra funzionava una macchina per la cardatura della lana fino agli anni 1950-52: l’unico operaio addetto era Bontempi Antonio detto Tóne Michèt.
La macchina consisteva in due cilindri, su cui scorreva la coperta: accanto a uno dei cilindri un congegno pettinava la coperta, ammorbidendone la superficie sollevandole i peli e l’altro tendendola: l’addetto a caricare le coperte nella macchina era il signor Zanotti Stefano dei Quaranta, che le trasportava anche col carretto trascinato dal mulo da e per Ponzano, dove alla fine venivano messe sulle ciodére per essere asciugate al sole e stirate.
Il Quaranta seguiva la strada di Madài, quella per intenderci che collegava Ponzano con la chiesina di Ponzano, deviava a U nel campo di Zanotti Elia dei Salvi, per giungere a collegarsi con via Mulini».La parte superiore di questo immenso stabile, con vista meravigliosa sul lago, divenne poi abitazione di alcune famiglie.
Vi abitò prima Colosio Alessandro [Angelo], morto tragicamente rotolando dalla Riva di Campadèl e finendo proprio davanti alla porta di casa sua.
Poi vi abitò il figlio Colosio Giovanni, imprenditore edile più noto col soprannome di Möla, fino al 1953.
Successivamente vi abitò Antonio Serioli detto Tóne Bacés, con la moglie Bianca Corrà e il figlio Giovanni detto Vanni, il quale ultimo, rimasto solo alla morte di entrambi i genitori, l’abbandono a seguito del suo matrimonio.
Da allora nessuno più mise piede alla «Machina» e cominciò il suo definitivo declino.Lo stabilimento era diviso in pratica in tre parti ben distinte: la prima parte a nord era costituita da muraglioni, come un grande stanzone, dove l’acqua muoveva le due ruote; la seconda era la zona dei folli, la più buia e umida, e infine il più grande vano a lago e il più luminoso dove avvenivano i lavori di tessitura e rifinitura dei manufatti. Le numerose ruote mettevano in movimento congegni di trasmissione a base di perni, pulegge e cinghie di cuoio.
La lavorazione era fatta quasi completamente al piano terra, quello superiore essendo adibito in prevalenza a magazzino.
Nello stanzone intermedio - a piano terra - stava una grande vasca, della misura di metri 4x3, dove vi si buttava la lana grezza, appena tosata alle pecore per essere lavata attraverso il movimento continuo di pale, che smuovevano (le rügàa sö) acqua, sapone e lana contemporaneamente.
Qui stavano anche i folli - due magli o martelli - che sbattevano, come due stantuffi, prima l’uno e poi l’altro, le coperte immerse in acqua e terra di follo, rossiccia e collosa, per infeltrirle; così erano poi anche lavate.
I magli o martelli erano mossi automaticamente, posti diametralmente su un perno, che girando permetteva al primo di sbattere la coperta, mentre l’altro si alzava dalla parte opposta e si preparava a scendere e a battere a sua volta la coperta.Quando, dopo la Seconda Guerra Mondiale, la ditta Cristini si trasferì in centro a Marone, anche i folli cambiarono struttura: presero la forma di due cilindri, risultanti da un puzzle di cunei di legno di rovere, che girando schiacciavano irregolarmente la coperta, tenuta sotto pressione anche da un’asse di legno verticale, azionata da una leva.
A introdurre dai Cristini questo nuovo sistema (queste macchine erano in funzione alle ITB fin dalla loro nascita nel 1921), nonché il suo costruttore, fu Pennacchio Angelo, titolare dell’omonima falegnameria, situata appena sopra Piazze, in via dei Scalì oggi via Quattro Novembre: si dice che nessuno sapesse meglio di lui ripararne eventuali rotture o difetti di funzionamento.
Gli operai chiamarono queste nuove macchine le Fòle o anche soltanto Fòle e le più grandi Fulù.Sempre su alla «Machina» operava il reparto della cardatura - la gardadüra o el gard - che serviva a sollevare il pelo delle coperte, dando loro morbidezza.
Il nome «cardatura» deriva da cardo, detto anche Cardo dei lanaioli, il cui frutto a forma di piccolo uovo a punte ricurve spinose, essiccato era usato anticamente nella cardatura o pettinatura dei tessuti.
Una volta si cardava tenendo in mano i cardi in un lavoro paziente, duro e rischioso per la pelle delle mani.Fu sempre Angelo Pennacchio, così dicono, costruire la prima macchina dei Cristini, che alleviasse la fatica e migliorasse la resa del lavoro, tra il 1920 e il 1940. Su un grosso cilindro erano praticate fessure longitudinali, che imprigionavano i cardi secchi: lo si faceva ruotare su sé stesso e abbassare fino a sfiorare la coperta, che - tesa - avanzava lentamente, venendo così cardata.
La leggenda narra che il Pennacchio non brevettò la sua invenzione e che alcuni tedeschi, venuti a Marone, per ragioni di lavoro, scoprirono, copiarono e brevettarono nel loro paese.
Successivamente la macchina fu ulteriormente migliorata: su un grosso cilindro furono applicate infinite coppie di cilindretti ruotanti l’uno in senso inverso dell’altro, movimento che alzava il pelo alla coperta, ammorbidendola.A tal proposito, dice il signor Michele Cristini, che su alla «Machina» dei Mulì de Su negli anni Trenta, funzionava questo tipo di cardatrice.
Al piano superiore dell’edificio detto «Machina» stavano anche alcuni telai (i filarì) e altri piccoli macchinari e congegni, atti a completare le operazioni di rifinitura delle coperte.
I telai a mano a Marone durarono presumibilmente fino alla Prima Guerra Mondiale.
La famiglia di Cristini Luigi Bigio Cristì, infatti, lasciò la fabbrica di Ponzano nel 1925 e si stanziò a Marone, nello stabilimento a tutti noto da sempre come i Cristì de sura, dove funzionavano telai elettrici.«Mio papà, racconta il signor Geminiano Bontempi, ex-sindaco di Marone, il più delle volte passava la notte dentro la fabbrica della «Machina», dormendo sö lé bösàche o sulle coperte. Vi lavorò continuamente, notte e giorno, dagli anni Venti agli anni Cinquanta, quando cioè tutta l’attività fu portata a Marone centro e la proprietà subì continue variazioni, fino a giungere all’acquisto ultimo da parte del signor Moglia Sergio, che vi ha tuttora un feltrificio.
Mio padre, Tóne Michèt, andò in pensione a 72 anni, contro la volontà del sciòr Giusèpe, che non voleva mollarlo per nessun motivo. Lo insignirono perfino di medaglia d’oro.
Gli operai di quel tempo, conclude Geminiano, vivevano il rapporto con il datore di lavoro - el sciòr padrù -come se appartenessero alla stessa famiglia.
A quei tempi gli operai non godevano certo di tutti i benefici di previdenza e assistenza di quelli di oggi: in pratica dovevano lavorare fino a quando se la sentivano, mettere da parte risparmi per la vecchiaia, fidarsi della Provvidenza e della carità e comprensione della buona e brava gente. Anche le condizioni igieniche dell’ambiente lavorativo non erano oggetto di controlli da parte di nessuno». 

La Machina [mappali 323-348] e la Ca’ dei Foi [mappali 1118 -1389-1 e 1389-2]: le immagini storiche.

 

La Machina [mappali 323-348] e la Ca’ dei Foi [mappali 1118 -1389-1 e 1389-2]: le immagini dell'oggi.
I mappali 1118 -13891 e 13892, la Ca’ dei Foi: la storia
Il mappale 1389 sub 1 era intestato, per «antico possesso», a Giovanni Maria Bontempi fu Pietro ed era descritto come «porzione di casa al piano terreno e ai superiori che si estende anche sopraparte del n° 351 con follo da coperte di lana ad acqua». Il mappale 1389 sub2 era intestato a Giovanna Ballardini fu Pietro ved. Bontempi ed era descritto come “porzione di casa al 1° e 2° piano superiore”.Nel 1852 passò a Carlo Bontempi fu Pietro e nel 1854 passò a Giovanni Maria Bontempi fu Pietro.
Il mappale 1389 sub 3 era intestato a Giovanna Ballardini fu Pietro vedova Bontempi fu levato dal 1389 sub 2 portato a Bontempi Giovanni Maria fu Pietro. Nel 1870 i mappali 1389 sub1/1389 sub2/1389 sub3 passarono ad Antonio, Marta, Elisabetta e Caterina Bontempi fu Giovanni Maria; furono rilevati, nel 1870, dal solo Antonio.Nel 1889 furono acquistati da Antonio Vismara fu Bartolomeo; dopo la sua morte, nel 1897, passarono ai figli Arturo, Paola, Carmela e Maria Vismara fu Antonio proprietari e Rachele Livio fu Giosuè vedova Vismara usufruttuaria in parte. Nel 1897 Arturo Vismara ne diviene l’unico proprietario.
Nel 1899 passarono a Giovanni e Giacomo Guerini fu Giovanni Battista.Luigi Perani fu Giuseppe acquista i due mappali nel 1915. Nel 1929 la proprietà fu suddivisa, per ragioni testamentarie, tra i fratelli Giuseppe Perani per 5/8 e Lucia, Elisa e Dirce fu Luigi per 1/8 ciascuna. Nel 1931 passarono a Lucia ed Elisa Perani fu Luigi («follo da coperte con cabina per turbina e turbina idraulica di HP 9,7 effettivi in via Ponzano Folli al civico n° 90 di piani 1 / vani 4 in mappa ai n° 1118 e 1389 sub 1 e casa annessa di piani 3 / vani 14 in mappa al n° 1389 sub 2»).
Gli stabili (mappali 1118 e 13891, follo da coperte con cabina e turbina idraulica e mappale 13892, casa annessa) pervennero alla ditta Cristini Luigi, Faustino, Battista e Giuseppe fu Rocco nel 1936.

 

I mappali 1118 -13891 e 13892, la Ca’ dei Foi: le testimonianze
Sappiamo quindi che al momento dell’acquisto - l’8 Giugno 1936 - da parte dei fratelli Cristini fu Rocco la Ca’ dei Foi conteneva quantomeno un follo di coperte ad acqua e una cabina, che racchiudeva a sua volta una turbina elettrica.
Dai disegni del progetto di condotta forzata risulta che all’esterno, sulla parete a nord, giravano due ruote mosse con caduta d’ acqua libera, mentre la condotta forzata serviva la turbina.
Lo stabile di 14 stanze era una sorta di condominio.Raccolgo ancora la testimonianza di Bontempi Geminiano.
«Durante e dopo la Seconda Guerra Mondiale in questo edificio abitarono numerose famiglie: Fenaroli, Tolotti, Pezzotti Tapi, Camplani Ciflìch, Guerini Luigi detti Pacì o Pénte e altri.
Prima però, al tempo della proprietà Perani 1915-1936, in questi suoi numerosi vani si effettuavano tutte le operazioni di lavorazione della lana, dal lavaggio della lana alla sua filatura: le stanze più umide erano naturalmente quelle verso il Vardèl dei bés dove c’era il follo e girava la turbina.
Il resto delle lavorazioni era manuale. La navetta del telaio veniva spostata manualmente; le operaie tiravano
el pèten a mano; con le mani o col movimento del piede erano alzate i licci, così come le donne le scórsao sö el sébol (subbio).Questo edificio, detto El stabilimènt dei Perani o più semplicemente Sö dai Perani era dotato di proprie ciodére che erano collocate sopra il muraglione ancora esistente all’interno del tornante della strada acciottolata che sale ai Molini di Zone: proprio sul tornante esiste tuttora una fontanella, costruita dalla famiglia Pennacchio, e lì in parte, in un angolo c’è a tutt’oggi un casottino, ex pollaio, che a quei tempi funzionava da sulferéra di proprietà Perani.
Allora gli operai lavoravano anche quindici ore al giorno e - tanto per fare alcuni nomi – Battista Pezzotti, suo padre Vincenzo e Antonio Bontempi detto Tóne Michèt, uno dei capi e padre di Irma, Giovanni, Rosi e mio vivevano in pratica tutta la loro giornata dentro quegli stabilimenti, passando da quello detto «Machina» a quello sottostante dei Perani e ancora più sotto nella turbina in casa di Francesco Bontempi detto Cischì Michèt  e Lucia Metelli Cìa Mutilata, controllori attenti e competenti di tutte le fasi della lavorazione delle coperte e della funzionalità delle macchine .
Tutti questi stabili erano collegati fra loro da un sentiero esterno, a gradini e le costruzioni sottostanti avevano il tetto praticamente all’altezza delle fondamenta di quello immediatamente superiore».La testimonianza di Felicita Bontempi in Tolotti completa il quadro storico della situazione nei due edifici «Machina» e «Ca’ dei Foi», in quanto vi lavorò per lunghi anni e vi abitò anche come famiglia.
Le ripetizioni, a volte non perfettamente concordanti, stanno a dimostra re come la memoria delle persone e soprattutto il tempo lontano incidano negativamente sulla precisione dei dati, non togliendo nulla però alla realtà e alla veridicità degli avvenimenti e dei fatti.
Dice, concentrandosi ogni tanto per coordinare le idee: «Lo stabilimento della «Machina» era a due piani, enormi, due stanzoni che non finivano più, piano terra e primo piano.
Verso i Mulini di Zone c’erano due ruote, che venivano mosse dal canale della Sèstola e ai loro perni erano attaccate pulegge e cinghie, che facevano muovere tutte le macchine.
L’acqua del Canale della Sèstola scendeva fuori dei muri mentre appena dentro e a piano terra, c’erano i foi e un’altra macchina, che noi chiamavamo la Lupèta, cui era addetto Faustino Pezzotti detto Fèro.La Lupèta era una macchina che «sgargiào fò i buciù dela lana en modo de falo dientà töta bela morbida e ariusa. Ghè stat ön periodo che ènsema ala lana dele pere i mesciàa po' a la lana sintetica, ma l’era ön disastro: quando i gnìa fò i mantei o le coèrte, mè tocào ciapà l’inciòster e ön penilì e curiga dré a töte le mace bianche dela lana artificial per fale dientà negre. La lupèta l’era ’na machina périculusa. L’èt cugnusìda la Scarpétuna? El sò bras l’ia restat déter nela lupèta, mia sö lé, però, ma da ön’otra banda! [La Lupetta lavorava la lana in modo da renderla morbida e soffice. C’è stato un periodo che di mescolava la lana naturale a quella sintetica, ma era un disastro: quando i mantelli o le coperte erano finiti, dovevamo prendere pennellino e inchiostro per correggere le macchie bianche della lana sintetica e farle diventare nere. La Lupetta era una macchina pericolosa. Hai conosciuto la Scarpétuna? Lei ci ha perso un braccio, in quella macchina, non dai Perani però, ma da un’altra parte]».

«Verso la metà dello stanzone c’era poi la Carda, la macchina per la cardatura della lana: in parole povere l’ammasso di lana, uscito dalla Lupèta, era sfaldato dalla carda in fili lisci, che si arrotolavano su un cilindro, formandone öna bócia di varie forme e grandezze, il cosiddetto borlòt.
I fili lisci del borlòt erano poi passati al piano di sopra per la filatura.
I fili venivano fissati sui selfati [self-acting, filatoio, ndr] detti in dialetto i filaröi per essere ritorti a vari spessori e resi resistenti; poi erano arrotolati su cilindri, che formavano i rocchetti di lana, pronti per essere messi sui telai e farne i tessuti.
Tutto questo lavoro su allo stabilimento «Machina» durò per una ventina di anni, dal 1930 al 1950 circa: l’ultimo operaio addetto lassù alla cardatura fu Tone Michèt, mio padre.
Nella casa sotto, nella Ca’ dei foi c’erano anticamente i telai per tessere le coperte; anche lì lavorai per qualche tempo».

La signora Felicita continua la sua testimonianza riferendo tante altre notizie riguardo al suo lavoro.
«A fianco del caseggiato c’erano allora le ciodére così chiamate perché erano formate da due travi di legno orizzontale e parallele, munite da infiniti chiodi, con la punta rivolta verso l’esterno e dove venivano conficcate le coperte per essere asciugate al sole.
Le coperte uscivano dal follo, e per questo erano chiamate fólade, ed erano il prodotto della lavorazione di un’unica mandata di un telaio: cioè erano lunghe decine di metri e avevano segnate delle righe, che indicavano il punto dove sarebbero state tagliate in singole coperte.
Anche se su ai Molini di Zone c’erano queste ciodére, usate dai Perani, precedenti proprietari di quell’opificio poi acquistato dai fratelli Cristini fu Rocco. Le coperte o fólade erano poi portate a Ponzano.
L’addetto al trasporto era Zanotti Stefano Quaranta.

Sulle ciodére finivano sempre le fólade intere, ai cui estremi erano fissati due grossi listoni di legno con un gancio, tirato da un argano a mano e tese il più possibile: dopo di chè e sempre a mano, gli operai addetti cominciavano un lavoro paziente e pericoloso, che consisteva nel fissare i due estremi delle coperte in basso e in alto agli infiniti chiodi, ad uno ad uno, con la pressione di un dito.
Prima però di finire sulle ciodére, le fólade erano appese a dei rampini, fissati nel soffitto della sulférera, attaccate in modo che sembravano le spire di un serpente o le anse di un fiume in pianura, e lì stavano una notte intera.
Nel centro della stanzetta c’era un vaso scavato in un masso di granito, contenente cilindretti di giallo zolfo, che venivano accesi; dopodiché si chiudeva ermeticamente l’unica porta: questa operazione serviva, dicono, a far brillare la superficie del tessuto, se le coperte erano nere o di color cammello, e a rendere più bianche quelle bianche».

«L’attività di tessitura terminò intorno agli anni 1930-35, quando tale operazione industriale passò definitivamente a Marone centro, nello stabilimento, detto dei Cristì de Sura dei fratelli Cristini fu Rocco.
Subito dopo, l’immobile si trasformò in casa civile di abitazione e assieme a noi c’era il nonno Pezzotti Pacola e la nonna virginia, genitori di Matteo, marito di Alice e ci ha abitato anche la sorella di Matteo Pacola, Ernesta che noi chiamavamo Luce, e tanti altri; en sia ona carètada de sèt, prope tac’ sö lé, encalcàc’ déter ensema a tac’ sórech che nao dèspertöt [eravamo in sette, proprio in tanti, ammassati lassù insieme ai topi che andavano ovunque]».

I fratelli Martino e Giacomo Fenaroli precisano a tal proposito:
«L’attività industriale in questo edificio della Ca’ dei foi cessò qualche anno prima della Seconda Guerra Mondiale e in tale periodo tutto il fabbricato era tutto abitato.
Al piano terra si entrava da un portone ancora esistente, anche se piuttosto mal messo, e ci si trovava in una grande vano, come un atrio comune: a destra e a terrapieno alcuni fondaci, la cui struttura ci fa pensare che lì dentro ci fossero i folli. A sinistra, invece, alcune stanze, anche con vista a lago, dove abitava la famiglia Pezzotti Bortolo, detto Tapi, ed Ernesta. Al primo piano e verso il Vardèl dei bés abitava la famiglia di Tolotti Guglielmo e Felicita con i rispettivi sei figli e quella di Pezzotti Battista con sette e più tardi quella di Matteo Pezzotti, con quattro figli e il padre. Negli anni ’50 a Pezzotti Battista subentrò Camplani Francesco, detto Ciflìch, con la moglie Maria Codemo e la figlia adottiva Bianca Corrà. Noi invece ci andammo ad abitare nel settembre del 1938: eravamo in nove fratelli, otto maschi e, l’ultima, una femmina».

Mappale 351

Gualchiera, via Montenero

 

Come già detto, nel 1750 Giacomo Bontempi Cucagna «lavora in proprio folo di coperte» e nell’estimo del 1785 Giovanni Maria Bontempi fu Giacomo [1743-1798] (che di definisce «Foladore», gualchieraio) continua il lavoro del padre nel mappale 352 (poi 351): il follo è, poi, venduto ai Novali.
Nella mappa del 1808 il mappale è indicato con il numero 352: diventa il mappale 351 dalla cartografia austriaca in poi.
Nel 1851 il mappale 351 del catasto austriaco, corrispondente ai nuovi mappali 351/1, 351/2 e 351/3, era intestato a Novali Antonio fu Giovanni Battista e per antico possesso come segue: mappale n° 351 follo da coperte di lana ad acqua con casa soprastante, sulla quale casa si estende parte del mappale 1389/1 dell'edificio attiguo - pertiche 0,26.
Dai Profili longitudinali schematici dell’ingegnere Fontana del 1935, questo edificio era dotato di una ruota di mulino con diritto di un salto d'acqua pari a metri 6,30.
Negli anni tra il 1865 e il 1870 avvengono diversi passaggi di proprietà tra i componenti della stessa famiglia Novali per giungere, il 10 Novembre 1870, a essere proprietà di Guerini Andrea fu Antonio.
Nel 1881 il mappale 351 era trasportato dal catasto terreni a quello dei fabbricati, come segue: via Ponzano n° 244, follo di coperte di lana ad acqua e casa annessa mappale n° 351 di piani 3 e vani 11 dove risulta caricato fino al 1895.
Tra la fine dell’800 e il 1919 è probabile che lo stabile sia acquistato dal Gruppo Tessile Guerrini. Infatti, nei certificati catastali storici intestati alle Industrie Tessili Bresciane (ITB), il fabbricato in via Mulini di Zone n° 100 (casa piani 2 vani 9, mappale n° 351/2 e n° 351 /3 e casa di abitazione piani 1 vani 2 mappale n° 351/1) è venduto dalle ITB (il 04 novembre 1925 con atto notarile n° 5046 del notaio Stolfini di Chiari) a Uccelli Domenico fu Girolamo dei Fólec’. Alla morte di Domenico Uccelli, la proprietà passa al figlio Angelo detto Manina e quindi a Mario Uccelli figlio di Angelo.Nelle interviste fatte nessuno ha mai fatto cenno alla presenza di un follo in quella casa.
Qualcuno anzi, da me informato riguardo al problema, mostrò grande sorpresa: «Mai sentito dire nulla di ciò!».
Forse, oltre che nei fatti, il follo cessò di esistere anche nella memoria della gente.

PARTNERS

SUPPORTERS