Mappale 139

Luigi Pénte era della famiglia di Vesto dei Guerini Taì e si trasferì nel mulino di Ponzano intorno agli anni Venti e lo fece funzionare fino alla sua chiusura nel 1935.
Prima di Luigi Guerini, mugnaio gestore del mulino era Serioli Vittore detto Itóre, padre di Antonio detto Tunù, di suor Giustina e di Maria, che fu poi assunto come portinaio alle ITB.

Descrizione

Mappale 139
El mulì dei Pénte, via IV Novembre

Mappale 139
El mulì dei Pénte, via IV Novembre

 

Partendo dalla curva della strada provinciale di Ponzano e imboccando il portico cha sta sotto la casa ad archi che fu di Velia Zani, comincia la fila interminabile dei gradini, detti gli Scalì di via IV Novembre.
Si passa sotto un grosso tubo, sospeso a tre-quattro metri su due enormi piloni quadrati, che era la condotta forzata dell’acqua del canale della Sèstola: dopo pochi gradini sta la casa che fu el mulì de Pénte ora [2002] proprietà Scarni-Zanotti.
Naturalmente l'edificio non ha più nulla del vecchio mulino che era ancora in funzione, se non ricordo male, negli anni Trenta, quando da bambino passavo spesso per scendere a Marone.

Nel 1852 il mappale 139 – alla partita 615 del Catasto terreni austriaco – era proprietà di Guerini Matteo fu Giacomo ed era descritto come mulino da grano ad acqua con casa di pertiche 0,11.
Nel 1868 ha 2 ruote e nel 1879 tre ruote.
Nel 1874 per successione – fu trasportato a Guerini Giacomo, Giuseppe, Cesare, Eugenio, Emilia e Luigia fratelli e sorelle fu Matteo proprietari e Rosa Carrara vedova Guerini madre, usufruttuaria in parte.
Nel 1877 la proprietà cambia in Guerini Giacomo, Giuseppe, Eugenio ed Emilia fratelli e sorella fu Matteo e Carrara Rosa fu Giuseppe, usufruttuaria in parte. Nel 1879 – per successione – i proprietari sono Guerini Giuseppe, Eugenio ed Emilia fratelli e sorella fu Matteo e Carrara Rosa fu Giuseppe, usufruttuaria in parte.
Nel 1881 il mappale 139 fu scaricato dal Catasto dei terreni e caricato al Catasto dei fabbricati del Comune di Marone in testa alla medesima ditta, come segue: via dei Mulini n° 26 – mulino di grano ad acqua con casa – mappale 139 piani 2 e vani 2.
Nel 1919 tutte le proprietà industriali dei Guerini, compreso il mappale 139, passarono alle ITB. Infatti, nel 1935 il mappale 139 – mulino da grano ad acqua con casa, via dei mulini n° 26, piani 2, vani 2 – è intestato alla ditta Industrie Tessili Bresciane con sede in Brescia alla partita n° 715 del Catasto dei fabbricati del Comune di Marone.

Leggi o scarica il Certificato censuario storico del mappale 139.

I Guerini Pacì-Pente

 

Nel 1929 Doralice Bernardi [1911] di Berzo Demo in Valle Camonica andò sposa a Guerini Francesco detto Pacì [1902] figlio di Luigi [1869] detto Pénte e di Bontempi Orsola [1869], che era rimasto vedovo con cinque figli, quando Francesco aveva 7 anni. Quando si sposò, Doralice andò ad abitare col suocero e due zie, Bontempi Luigia e Maria, sorelle della moglie del nonno Luigi Pénte, nel mulino di Ponzano.
Francesco Guerini Pacì non fece mai il mugnaio, bensì il carrettiere.
Gli altri quattro figli di Luigi erano: Giovanni Maria, che morì nella Grande Guerra, Eulalia suora, Margherita, morta di spavento quando, nel 1916, bruciò lo stabilimento dei Cristì de sóta all'età di 16 anni e Maria, che sposò Zanotti Pietro dei Giombe e che morì di parto.
Luigi Pénte era della famiglia di Vesto dei Guerini Taì e si trasferì nel mulino di Ponzano intorno agli anni Venti e lo fece funzionare fino alla sua chiusura nel 1935.
Prima di Luigi Guerini, mugnaio gestore del mulino era Serioli Vittore detto Itóre, padre di Antonio detto Tunù, di suor Giustina e di Maria, che fu poi assunto come portinaio alle ITB.

«Il nonno Pénte» dice Orsolina, seconda dei tredici figli di Doralice «aveva una caratteristica: il suo piede destro aveva sei dita e noi ci divertivamo a contarle, quando nel catino si lavava i piedi.
La signora Doralice partorì i primi suoi due figli in quel di Demo e gli altri undici al mulino di Ponzano: Giovanni Giani Pacì [1930], Orsolina [1931], Luigina [1933], Mario [1935], Angelo [1937], Ludovico Vico [1939], Martino [1940], Tranquillo [1944], Armanda [1946], Walter [1949], Umberto [1950], Carmine [1953] e Angela [1958].
«Pensi» mi dice la novantenne Doralice «che il 14 giugno 1932 passava di lì don Butturini, di lì al mulino, e vedendo il mio Giovannini di due anni e la mia Orsolina di un anno seduti fuori sui gradini, ha dato loro due caramelle ciascuno dicendo: “Tulì, bèi Pentulì e fì i brai! [Prendete, piccoli Pénte, e fate i bravi]”. Poco dopo, giunto in casa di Cristini Orsolina e sorella Caterina detta Tirì si sentì male e morì d'infarto».

Continua Doralice «Dai gradini di via dei Mulini si entrava nel mulino, a piano terra e subito dopo si saliva di tre gradini sopra un ballatoio di legno dove stava l'impianto della macina.
Al termine della macinatura suonava automaticamente un campanellino legato a uno spago, non ricordo più con quale diavoleria o marchingegno.
In quel mulino c'era appeso sul muro il quadretto di una Madonna; la preghiera più frequente che le si rivolgeva era questa «Madóna benédeta, lasìmen to fo amò öna palèta [Madonna benedetta, lasciatemene togliere ancora una paletta]», ovviamente di farina.
A quei tempi i contadini seminavano grano e granoturco nei loro piccoli appezzamenti di terreno o si fornivano direttamente di grano in quantità sufficiente alle necessità delle loro famiglie andando a rifornirsi nella bassa bresciana.

Poi – a seconda dell'occorrenza – venivano man mano al mulino a far macinare piccole quantità per volta, qualche sacchetto ogni tanto.
Al mulino quindi era un andirivieni di gente, che ne approfittava per scambiarsi opinioni e sapere le novità.
La macinatura del grano non si pagava in lire, ma si lasciava al mugnaio una corrispondente quantità di farina, che lui avrebbe poi venduto ai vari avventori, ricavandone il suo guadagno».
Il compenso non doveva essere poi tanto fisso, poiché Doralice dice che qualcuno lasciava il giusto (e di solito erano i più poveri), mentre altri non lasciavano nemmeno «la polvere che c’è sul vetro del quadro della Madonna».

«Noi macinavamo molto per quelli di Zone, che erano buoni clienti, ma molto di più per l’Istituto Girelli».
Le Girelli facevano arrivare a Marone grandi quantità di granoturco e frumento, che venivano stesi a seccare sugli spaziosi solai dell'Istituto. Era il papà Francesco l'incaricato di trasportare il grano dai solai al mulino col mulo: i figli Gianni e Orsolina lo accompagnavano ogni giorno, salivano sui solai, riempivano i sacchi sempre con la stessa quantità da misurarsi in secchi (i quartér). Facevano di solito due e anche tre viaggi al giorno, a seconda delle necessità, legate al numero delle orfanelle ospitate.
«A pota, loro, le ragazze delle Girelli, erano signore!» continua Doralice «Venivano da ogni chissà dove, le vestivano coi bei mantelli blu, le facevano studiare... E senza pagare una lira. Poi, quando avevano l’età giusta sui vent’anni erano pronte per tornare a casa e sposarsi».
Le Girelli avevano un consumo medio mensile di due quintali di farina bianca e di due quintali di farina gialla.

Il mulino lavorava più di notte che di giorno a causa della quantità di acqua del canale della Sèstola: di giorno infatti la precedenza per il consumo dell'acqua spettava alle turbine degli stabilimenti.
Il mulino Pénte prelevava l'acqua appena sotto i lavatoi pubblici di Ponzano, che erano a poche decine di metri di distanza, attraverso una canaletta sospesa in alto e che convogliava l'acqua in caduta sopra la grande ruota, che stava sulla parete rivolta a mezzogiorno, verso le case della contrada: la ruota copriva tutta la parete.

Il mulino cessò di funzionare nel 1935, quando nacque il figlio Mario.
«Troppe tasse, i tempi erano cambiati!, si doveva comperare a nostre spese il grano, macinarlo, aspettare i clienti, che spesso dilazionavano il pagamento, che a volte non è mai arrivato. Me li ricordo bene ancora oggi quei bei musi da bulletti che non mi hanno mai pagato, uno dopo l’altro e non sono pochi. Con tredici figli da allevare, per forza che ho dovuto chiudere»
Guerini Francesco Pacì fu alla fine assunto in pianta stabile dai fratelli Cristini fu Faustino e adibito al trasporto delle coperte da Marone a Ponzano, dove c'erano le Ciodére e la Sulférera o da Ponzano ai Mulini di Zone.

La famiglia Pénte de Cesco Pacì lasciò il mulino nel 1968, per andare ad abitare ai Mulini di Zone dove stettero per dodici anni; nel frattempo molti figli si erano sposati e accasati altrove e alcuni in Svizzera, altri nelle case degli alluvionati di via Alagi fino al 1996.
L'immobile del mulino fu venduto dalle ITB a Scarni Angelo detto Pea nel 1961.
I macchinari del mulino esistevano ancora, come la ruota e le due molasse stettero tanto tempo adagiate lì fuori nell'angolo dei Scalì.

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