Mappale 150

La tabella del 1879 indica il mappale 150, proprietà di Guerini Andrea fu Giacomo come «Mulini Gaudenzi»: l’edificio è dotato di tre ruote ed è una macina da grano. L’origine di questa denominazione è dovuta al fatto che nel 1866 ne erano proprietari Salvi Alemanno fu Giuseppe e Gaudenzi Maria fu Giacomo.

Descrizione

Mappale 150.

Mulino Gaudenzi o dei Pèstunsì, poi falegnameria, via 4 Novembre

Mappale 150

Mulino Gaudenzi o dei Pèstunsì, poi falegnameria, via 4 Novembre

L’origine del nome

 
La tabella del 1879 indica il mappale 150, proprietà di Guerini Andrea fu Giacomo come «Mulini Gaudenzi»: l’edificio è dotato di tre ruote ed è una macina da grano. L’origine di questa denominazione è dovuta al fatto che nel 1866 ne erano proprietari Salvi Alemanno fu Giuseppe e Gaudenzi Maria fu Giacomo.
Il soprannome Pèstunsì è il diminutivo di Pèstù, soprannome di una famiglia Ghitti.
Giovanni Ghitti di Bartolomeo dei Pèstù, costituendo una propria famiglia, si separa dal nucleo originario quando il padre è ancora in vita. Giorgio Buscio lo colloca tra le famiglie di Ponzano, mentre l’elenco del 1764 pone il figlio Giovanni tra gli Antichi Originari di Marone; nell’estimo di 1785 Bartolomeo fu Giovanni[1] è elencato tra i contribuenti di Ponzano e non dichiara possesso di abitazione, per cui vive in una casa d’affitto.
La famiglia è povera e, di conseguenza, poco prolifica: Giulio e Bartolomeo convivono (il primo non ha partita) e limitano la discendenza sposandosi in età relativamente avanzata. L’endogamia territoriale, il matrimonio con un (probabile) cugino Bontempi e il matrimonio ritardato sono elementi, oltre ai dati dell’estimo, indicativi dell’indigenza della famiglia.
La denominazione «Mulino dei Pèstunsì» è piuttosto contorta.
Giovanni fu Bartolomeo fu Giovanni, sposa Domenica Guerini dei de Carlo [1762–1807] in prime nozze e non ha figli. Dopo la morte della prima moglie si risposa con una Domenica di cui non si conosce il cognome: da questo matrimonio nascono Bartolomeo [1809–1811], Lucia [1817–1865], Bartolomea [1819–1849] e Francesca [1821–1822].
Le due figlie sopravvissute, Lucia e Bartolomea dei Pèstunsì, sposano i fratelli Pennacchio Aurelio e Pietro.
In entrambi i casi il nome del mulino è dato ricavandolo dal cognome o da soprannome delle mogli dei mugnai.

 

La storia catastale

 

«UFFICIO DISTRETTUALE DELLE IMPOSTE DIRETTE E DEL CATASTO DI ISEO

CERTIFICATO CENSUARIO STORICO
Il sottoscritto Procuratore delle Imposte Dirette e del Catasto di Iseo attesta e certifica che a pagina 535 del Catasto fabbricati del Comune di Marone trovasi intestata la ditta Pennacchio Giovanni ed Angelo fu Luigi alla quale sono allibrati i seguenti immobili:
Molino da grano ad acqua in via Molini al civico n° 67 di piani 1/vani 1 in mappa al n° 150 sub 1.
Casa annessa di piani 3/vani 8 in mappa al numero 150 sub 2 col reddito imponibile di E 117,35.
I suddetti numeri di mappa corrispondono al mappale n° 150 del Catasto vecchio e all'attenzione dello stesso era intestato a Serioli Maddalena e Domenico fu Giovita e Novali Margherita fu Pietro Antonio.
1852 Luglio 3 con petizione n° 52 per lodo arbitramentale 26 Ottobre 1849 passato in giudicato come da dichiarazione 3 Dicembre 1849 della cancelleria dell'I. R. Pretura di Iseo passò a Novali Margherita fu Pietro Antonio maritata Pennacchio.
Detto mappale n° 150 del Catasto vecchio era descritto: molino da grano ad acqua con casa di pertiche censuarie 0,08 e rendita £ 134,33.
1852 Luglio 31 per petizione n° 99 per compra vendita per privata scrittura 13 Marzo 1850 passò legalizzata dalla Deputazione Comunale di Marone a Pennacchio Luigi fu Vincenzo.
1854 Giugno 16 per petizione n° 6 per compra vendita con privata scrittura 14 Febbraio 1854 in autentica della Deputazione Comunale di Marene parte del n° 150 e cioè il n° 150 sub B di pertiche censuarie 0,01 e rendita £ 0,90 passò a Comelli Francesco fu Giovanni Battista.
1854 Novembre 23 con petizione n° 16 per acquisto con atto 15 Novembre 1854 n° 412 del notaio dottor Francesco Rosa di iseo il mappale n° 150 sub A di pertiche censuarie 0.07 e rendita £ 133.43 passò a Comelli Francesco fu Giovanni Battista.
1855 Settembre 27 con petizione n° 4 giusta le risultanze della visita locale del Perito Censuario i mappali n° 150 sub A e 150 sub B furono reintegrati nel mappale n° 150.
1866 Luglio 6 con petizione n° 13 a fede di morte 25 Giugno 1866 dell'Ufficio dello Stato civile di Vello comprovante il decesso di Comelli Francesco fu G.B., passò a Salvi Alemanno fu Giuseppe e Gaudenzi Maria fu Giacomo.
1871 Luglio 18 con domanda n° 10 in base a processo d'asta finale 25 Maggio 1871 eretto dall'esattore comunale di Marone in concorso della Giunta Municipale registrato il 6 Giugno 1871 al n° 178 passò a Guerini Andrea fu Giacomo.
1881 Ottobre 22 con domanda n° 47 per successione apertasi il 13 Maggio 1881 come da certificato 11 Ottobre 1881 dell'Ufficio Registro di Iseo passò a Guerini Luigi, Elisabetta, Carolina e Giuseppe fu Andrea proprietari e Novali Camillo fu Camillo usufruttuario in parte.
1893 Aprile 11 con domanda n° 12 per successione apertasi il 28 Gennaio 1893 come da certificato 11/4/1893 dell'Ufficio Registro di Iseo passò a Guerini Luigi, Carolina e Giuseppe fu Andrea, Cristini Domenica e Alessandro fu Luigi proprietari e Cristini Luigi fu Alessandro e Novali Camillo fu Camillo usufruttuari in parte.
1907 Giugno 24 con nota n° 16 per riunione d'usufrutto avvenuta il 7/2/1907 come da certificato 28 Maggio 1907 dell'Ufficio Registro di Iseo passò a Guerini Luigi, Carolina e Giuseppe fu Andrea e Cristini Domenica ed Alessandro di Luigi proprietari e Cristini Luigi fu Alessandro usufruttuario in parte.
1907 luglio 6 con domanda n° 18 per cessione con atto 13/5/1907 n° 1746 del notaio dottor Serafino Chiappa di Brescia ivi registrato il 1/6/1907 al n° 2247 passò a Guerini Luigi, Carolina e Giuseppe fu Andrea.
1907 Luglio 6 con domanda n° 19 per compra vendita con atto 13/5/1907 n° 1747 del notaio dottor Serafino Chiappa di Brescia ivi registrato il 1/6/1907 al n° 2446 passò a Pennacchio Giovanni ed Angelo fu Luigi attuale intestati.
L'Amministrazione non assume alcuna responsabilità circa la presunta corrispondenza dei numeri di mappa dei due catasti.
Il presente certificato si rilascia dietro richiesta del sig. lng. Fontana Vittore di Brescia.
Iseo, 5 Agosto 1935 anno XIII.
Il PRIMO PROCURATORE (Illeggibile)».

Nel Prospetto dei vari opifici esistenti nel Comune di Marone datato 1879, il mappale 150 figura come molino Gaudenzi – proprietario Guerini Andrea fu Giacomo, macina con due ruote.
Nel 1935 l’immobile è così descritto: molino da grano ad acqua in via Molini 67 – mappale 1501, piani1 – vani 1 e casa annessa, piani 3 – vani 8 – mappale 150.

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Il Mappale 150 oggi.
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Il mulino Gaudenzi o El mulì dei Pestunsì , poi falegnameria Pennacchio.

Il mulino era quello di Bigio de Caméla, Luigi Guerini e macinava grano: con i Pennacchio le ruote muoveva i macchinari della falegnameria.
Luigi Pennacchio sposò Cristini Elisabetta e furono genitori di Giovanni detto el sior Gioàn, Angelo, Lucia e Francesca.
Angelo sposò Novali Giuseppina e formarono una numerosa famiglia, abitando sempre a Ponzano nell’attuale casa dei Pennacchio.

A piano terra di questa casa c’erano delle stalle e a fianco la bottega di falegname, oggi garage.
Disfatto il mulino di Bigio de Caméla, sistemarono pian piano la falegnameria, avendo prima eliminato le due ruote motrici sostituendole con una sola ruota, più grande, del diametro di metri tre e mezzo circa.
L’ attività cominciò prima del 1911.
«Mio papà,» precisa Giuseppe, uno dei figli di Angelo Pennacchio «fu esonerato dal servizio militare, perché operaio specializzato. La nostra era una ruota a velocità, cioè l’acqua che vi cadeva sopra non restava nelle pale più di tanto, essendo piccole e numerose. Non era cioè come quella della Conceria o Pélateria, che stava di sotto e a fianco a noi, che era a pesantùr, cioè a grandi pale a cassetta che si dovevano riempire a poco a poco e si muovevano moIto lentamente, ma con molta forza motrice.
Me la ricordo anch’io quella grande ruota della Pélateria, enorme, di ferro, demolita non molti anni fa, posta là sulla immensa parete a sud–ovest.

La nostra ruota aveva due perni, in dialetto le guèi: vi aderivano 72 denti – detti redèndem – quadrati con punta triangolare di un’altra ruota dotata di un albero di trasmissione di circa due metri con tanto di grande puleggia di un metro di diametro.
A questa puleggia era appesa una cinghia di pelle di cammello collegata all’albero di trasmissione con le cinghie di tutte le macchine, ognuna con un sistema di frizione, che le poteva far girare o arrestare, a seconda dell’occorrenza.
Le macchine, di cui era dotata la falegnameria, erano tante e potevamo fare tutti i lavori, anche i più complessi sia per grandezza che per rifinitura.
Avevamo un tornio per la lavorazione del ferro, un tornio per quella del legno, una sega a nastro che in dialetto è Bindèl, una circolare con banco scorrevole, una pialla a filo in ghisa (comprata nel 1922 dalla ditta Fulvio Cavallini di Firenze), una piallatrice a spessore, una Toupì per cornici e spine o denti di ingranaggio, un trapano con volano orizzontale, posto in alto e con manovella, una cavatrice per punte a bietta per spine dei serramenti, una mola con 80 centimetri di diametro in pietra di Sarnico e una forgia, alimentata con un congegno ad aria detto pompa idroeolica.
Si lavorava sodo: perfino le assi venivano portate su a spalle da Marone: quante sudate abbiamo fatto io, mio fratello Elio, Ferdinando Nando Peri, Girolamo Momo Gheza e el poèr Gingiéla, veneto dai mille espedienti per sopravvivere.

Nel 1911 mio papà Angelo comprò, in società con Giovanni Battista Cramer detto Lìo Mostaciù circa 4.000 metri quadrati in Bagnadore dai fratelli Ghitti e ne avevano intestato duemila ciascuno: pensava infatti che la falegnameria in quel posto strategico avrebbe funzionato meglio: niente più trasporti in spalla, ma attraverso ferrovia o strada.
L’attività sulla via dei Scalì cessò subito dopo la Seconda guerra: nel frattempo erano morti papà Angelo e zio Giovanni – e con l’alluvione del 1953 – la falegnameria che si trovava in Bagnadore fu gravemente danneggiata. L’attività – era anche segheria – cessò verso la fine degli anni Sessanta».

[1]  1785, c. 64v. Bartolomeo Ghitti detto Pèstunhì possiede, nel 1785, due pezze di terra a Ponzano, una in contrada della Fucina a Ponzano e una «chiamata la Costa» (43 tavole del valore di 27 lire).

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