Descrizione
L’industria laniera a Marone, appunti per una storia
Franco Robecchi
Vi sono isole territoriali nelle quali si concentrano specializzazioni produttive antiche, non sempre facilmente spiegabili circa le motivazioni. La vocazione è talora legata a risorse materiali locali, e, in altri casi, essa è, invece, basata su condizioni transitorie che poi trovarono l’humus opportuno per lo sviluppo. In altre situazioni le ragioni dell’origine di una tradizione manifatturiera sfuggono all’indagine e si configurano come una sorta di fenomeno oscuro, tanto più resistente alla spiegazione quanto più è invece eclatante la realtà dell’importanza successiva.
Il caso della lavorazione della lana in Marone, sulla costa orientale del Lago d’Iseo, si colloca a mezza via nella casistica ed è stata riconosciuta come debitrice di una reperibilità di sostanze naturali predisponenti. Si sarebbe trattato della presenza di “terra da gualchiera”, della quale sono noti giacimenti in Val d’Opol, a monte di Sale Marasino e di Marone. La disponibilità di quel materiale si sarebbe innestata, come catalizzante, sulla risorsa sottesa e più genericamente diffusa, quella delle greggi di pecore, allevate dalle popolazioni di montagna e collina. L’allevamento ovino risale a tempi remotissimi, come è noto, e anche nel Bresciano il fenomeno è normalmente presente, sino dall’epoca romana. Nel territorio bresciano i monaci benedettini di Serle erano noti per la lavorazione della lana e pare che la vocazione, che si sarebbe ampiamente sviluppata, dei lanifici di Gavardo, abbia questa lontana origine. Nella città capoluogo l’importante presenza medievale degli Umiliati, notoriamente dediti alla filatura e alla tessitura della lana, così come l’antichità degli statuti della corporazione dei lanaioli, costituisce il dato emergente di una realtà certamente diffusa e anche fiorente. Gli stessi statuti comunali di Brescia, del XIII secolo, includono annotazioni prescrittive con riguardo al commercio della lana, soprattutto volte ad evitare truffe. Era vietato, ad esempio, lavorare e vendere pelo di bue e di capra, surrogati della lana di pecora. La “questione di lana caprina” è rimasta, per quel motivo, nella lingua italiana. Nel Bresciano esistevano, anticamente, due mercati annuali della lana e si svolgevano, uno, in Brescia e l’altro a Montecchio di Darfo. La collocazione sulla bocca della Valcamonica orienta ulteriormente in quei territori una speciale concentrazione del prodotto. I dati sulla distribuzione, fra XVI e XVIII secolo, delle “teze” per la raccolta degli escrementi ovini finalizzati alla produzione di salnitro, e quindi della polvere da sparo, confermano la distribuzione, così come la concentrazione nel citato territorio di Gavardo. Anche la presenza ovina costituì un fattore originario, ma non fu persistente quando la struttura economica del settore evolse. Come spesso è avvenuto, il dato di partenza viene ampiamente superato, una volta che il meccanismo economico è stato avviato. E’ significativo che, già nel 1630, si annoti una manovra di importazione di animali più adatti alla richiesta qualitativa della lana. Le pecore locali producevano un pelo soffice ma eccessivamente corto. I montoni della Dalmazia e delle terre serbe furono importati per produrre, con incroci, una lana più corposa e resistente.
L’antica lavorazione della lana si basava su operazioni molto elementari, che non richiedevano altro che il paziente impegno domestico delle donne per essere eseguite. Tuttavia, per quanto riguarda Marone, un secondo fattore determinante fu costituito dalla presenza della ripida e nutrita sorgente Sestola, incrementato dalle confluenze del Vaso Ariolo e dal Bagnadore Inferiore. L’estimo di Marone fa rilevare, già nel 1573, diversi folli a martelli, sfruttati soprattutto dalla famiglia Dosso, che aveva una vasta notorietà nel campo del commercio laniero. Alla fine del Settecento troviamo già un Giacomo Guerrini capace di produrre panni di lana : il feltro, già, in buon parte, destinato alle cartiere, che ne fanno un uso essenziale nel proprio procedimento produttivo. A quell’epoca il materiale era una specialità quantitativamente trascurabile nel quadro generale laniero, eppure costituiva un germe che avrebbe avuto un importante avvenire. Si constatava, nel XVIII secolo, ancora una suddivisione delle competenze produttive di questo tipo: una filatura della lana sparsa nell’attività domestica, un Sale Marasino specializzato nella tessitura e un Marone orientato alla follatura. Il prodotto finale
era già quello che avrebbe avuto una forte conferma nel XIX e XX secolo: le coperte. Era una produzione che ben presto assunse notorietà nazionale. Si pensi che, a metà Ottocento, tutte le famiglie artigiane del settore, in Sale Marasino, producevano coperte: i Turla, i Fonteni, i Tempini, i Burlotti, gli Sbardolini. Fu la ditta di Bonomo Sbardolini a fornire le coperte all’esercito italiano nella guerra risorgimentale del 1866. Anche in Marone, dopo la più antica officina dei fratelli Guerrini, apparvero altre ditte produttrici di coperte di lana: quella di Giovan Battista Cuter, le fabbriche di Egisto Zeni, di Emilio Zeni, di Giacomo e Giovanni Guerini, quella dei Fratelli Cristini fu Luigi & C., orientata alla produzione di coperte verso il 1850 da Luigi Cristini, fu Giovan Battista. A metà del XIX secolo Marone divenne più attrattiva, per l’evolversi dell’uso delle macchine, peraltro già invocato, anche con pubblici concorsi, in epoca napoleonica. La ditta di Bonomo Sbardolini traslocò, da Sale in Marone, i suoi impianti produttivi, tuttavia mantenendo in Sale Marasino la sede commerciale. Intorno al 1860 veniva fondata la ditta di Giovan Battista Cuter, con circa un centinaio di operai. La ditta Cristini fu costituita formalmente nel 1895, avendo fra i proprietari i fratelli Andrea, Rocco e Giovanni, nonché un socio, di nome Agostino Benassaglio, che possedeva un negozio di tessuti in Brescia. Si ricorda che il titolare di una di queste ditte, Emilio Zeni, fu una di quelle persone senza le quali l’economia non sarebbe mai progredita. Aveva una personalità poliedrica e tipicamente ottocentesca, tesa al nuovo e curiosa di ogni moderna applicazione. Lo Zeni era persona geniale e intraprendente. Per la produzione di filati e per la tessitura, già alla fine dell’Ottocento, si era dotato di macchine d’avanguardia acquistate in Germania e si era subito interessato delle applicazioni dell’elettricità, non solo per la sua attività imprenditoriale, ma anche, con quel piacere per la diffusione del benessere, che ha sempre caratterizzato i migliori imprenditori, per la sua comunità. Marone, infatti, già nel 1900 possedeva un impianto elettrico di illuminazione pubblica. Da Marone, lo Zeni portò, con una sua linea elettrica, l’energia anche a Sale.
La forma industriale si era lentamente evoluta, in linea con l’andamento generale lombardo. Nel 1844 la presenza media delle maestranze in un opificio era di 49 persone e la presenza di macchine era ancora assai limitata. Nel 1861, su una popolazione residente in Marone di 1.038 abitanti, gli impiegati nelle fabbriche laniere erano 309, pari al 24%, con 18 telai manuali, grazie ai quali, e con il lavoro che era limitato a tre mesi l’anno, venivano prodotte 1.500 coperte piccole, che uscivano da undici officine. Tale produzione era in esaurimento e nel 1867 era pressoché scomparsa. I sei folli esistenti, quasi tutti a Sale, producevano 140.000 chilogrammi di coperte, mentre la cardatura della lana avveniva ancora quasi completamente a mano. La filatura era affidata a 236 addetti, dei quali 229 erano donne che lavoravano nelle proprie abitazioni. Nonostante l’interesse specialistico, la lavorazione della lana era, tuttavia, nel 1877, di piccola entità, sia in assoluto (solo il 6% della popolazione vi era addetta), sia in relazione all’ancora dominante attività sericola, che, soprattutto ad opera della ditta di Antonio Vismara, era prevalente, con i suoi 223 occupati. Tuttavia l’evoluzione era continua. Ad esempio, si rileva che nel 1877 non esistevano più filatrici che lavorassero a domicilio. Già dalla metà dell’Ottocento non risultava più attivo il polo laniero che, tempi addietro, aveva avuto una sua rilevanza: quello di Lumezzane e Agnosine. All’inizio del XIX secolo quelle officine producevano 1.000 pezze di panni, quando Marone e Sale producevano 40.000 coperte di lana. A metà dell’Ottocento le fabbriche di Marone e Sale avevano contratto la loro produzione del 50%. La lana locale scarseggiava e ci si dovette approvvigionare di materia prima con importazioni dalla Grecia, dalla Turchia, dal Montenegro, dalla Bulgaria, dal Marocco, dalla Spagna e dalla Tunisia. Le capacità di reagire non mancavano.
Alla fine del secolo, in Marone, si installarono nuove macchine, come i folli a cilindri, che sostituirono gli antichi folli a martelli.
I telai meccanici, mossi ad acqua, erano già presenti dal 1849.
Nonostante la crisi nazionale dell’industria laniera italiana, del 1900, nel 1904 le fabbriche di Sale e Marone, che erano otto, mettevano sul mercato 140.000 coperte l’anno, ossia, come fu osservato, 100.000 in più rispetto all’inizio dell’Ottocento. Grazie alla loro intraprendenza, gli operatori di Marone superarono la prima Guerra mondiale. Mentre alla fine dell’Ottocento esisteva una ditta Fratelli Cristini & C., nella quale erano soci Giovanni, Rocco e Andrea Cristini, divenuta, nel 1901, la Fratelli Cristini fu Luigi, dopo l’uscita del Benassaglio, alla fine del conflitto sussistevano due ditte: la Fratelli Cristini fu Rocco e la società di Giuseppe Cristini fu Andrea, che aveva ampliato la sua attività, soprattutto dopo un disastroso incendio che aveva pressoché distrutto l’opificio delle coperte di Marone. Giuseppe Cristini aveva quindi acquistato una fabbrica di feltri di Fiorano al Serio, che produceva materiali per la cartiera Fogliardi, e, a Sale Marasino, aveva acquisito il Lanificio Sebino, erede della ditta di Bonomo Sbardolini, che fu acquistato, nel 1921, dalle Industrie Tessili Bresciane. Gli eredi di Rocco rimasero senza variazione societarie sino alla seconda Guerra mondiale quando la fabbrica era attivata da circa un centinaio di operai. Nel 1929 era deceduto Giuseppe Cristini fu Andrea, che era riconosciuto come abile imprenditore. Egli aveva gestito, inoltre, durante il conflitto mondiale, il lanificio di Susa e aveva acquistato la manifattura di Clusone, che filava cascami. I figli, Luigi e Romualdo, riattivarono l’abbandonata fabbrica di coperte di Marone, a suo tempo distrutta dall’incendio, e vi ripresero la produzione. I feltri continuarono ad essere prodotti a Fiorano. Dopo una stagnazione durante la seconda Guerra mondiale, la ditta si suddivise nella Fratelli Cristini fu Rocco - dei fratelli Luigi, Battista e Giuseppe fu Rocco – e nella Manifattura Lane di Fausto Cristini.
Mentre i Cristini si dedicavano prevalentemente alla produzione di coperte, la ditta dei Guerrini puntava esclusivamente sul feltro per cartiere. Alla fine dell’Ottocento la ditta si costituì con la denominazione di Gruppo Tessile Fratelli Guerrini & C., per confluire, nel 1921, nella Industrie Tessili Bresciane.
Dopo che ai due poli di Marone-Sale e Gavardo si era aggiunta, dal 1907, anche l’unità laniera di Manerbio, creata da Emilio Antonioli, dal capoluogo prendevano le mosse, nel 1919, le Industrie Tessili Bresciane, su iniziativa di Giuseppe Ballerio, finanziere che avrebbe avuto anche ingerenze nel Banco Mazzola e Perlasca. Nel 1921 la nuova società si fece subito protagonista attiva nell’ambiente di Marone e Sale Marasino, acquistando il Lanificio del Sebino, il Gruppo Tessile Fratelli Guerrini e la ditta Battista Fratelli Cuter. L’azione del nuovo imprenditore fu vivace e attivante, così come nel quarto stabilimento, l’ex Industria Cotoniera di Redona, in provincia di Bergamo. L’impulso dato dal Ballerio fu notevole. Gli operai che, inizialmente, nei due opifici di Marone, Guerrini e Cuter, erano 126 giunsero a 200 nel 1930, quando la produzione dei feltri delle Industrie Tessili Bresciane si collocava al 50% della produzione nazionale.
La situazione quale risultava dall’inchiesta sull’economia bresciana del 1927 dava il seguente quadro. Le fabbriche di Sale Marasino e Marone, in numero di cinque, sempre impegnate nella produzione di coperte e feltri, risultavano ammodernate sul piano degli impianti. Il numero delle coperte prodotte si era ridotto, rispetto al recente passato, giungendo a 70.000 unità annue. Si registravano anche 60.000 metri di flanella per militari. Le lane erano tutte di importazione e subivano, sul Sebino, tutti i trattamenti necessari prima di essere utilizzate nella tessitura. Risultava che, mentre a Sale e Marone si eseguivano tutte le lavorazioni intermedie sulla lana, fra la materia prima e l’impiego nella confezione del prodotto finito, nel polo di Gavardo ci si limitava alla pettinatura e alla tornitura. In Manerbio non esisteva lavorazione della lana poiché si acquistava il filato già confezionato. Gli approvvigionamenti della lana, da parte del centro laniero di Gavardo-Villanuova, che si limitava alla filatura della lana ed escludeva la tessitura, facevano capo al territorio nazionale, ma, soprattutto, all’Africa, all’Astralia, all’Argentina e all’Uruguay. Il macchinario era tutto di provenienza tedesca. Le fabbriche di Marone, tre, e di Sale Marasino, due, acquistavano la lana in zone diverse dalle precedenti: Italia, Francia, Spagna, Inghilterra, America. Gli oli erano acquistati in Italia, mentre il macchinario proveniva dalla Germania, come per le industrie di Gavardo, ma anche da Brescia e dal Belgio. Mentre Gavardo aveva i suoi mercati, prevalentemente, in Brasile, Grecia e Turchia, mentre i tessuti manerbiesi trovavano collocazione in Inghilterra, le coperte di Marone e Sale avevano i loro mercati di smercio nel Bresciano, in Lombardia, nel Veneto, in Italia e nelle sue colonie, nonché in America. Erano anni in cui era ancora presente, benché con una buona consistenza, l’industria della seta, sia pure nella sua fase di riduzione rispetto alla massiccia presenza, su tutta la costa orientale del Sebino, del XIX secolo.
Nel 1928 faceva la sua apparizione, sulla scena laniera di Marone, Attilio Franchi, rilevante imprenditore bresciano, che partito dal settore dei filati, con la filanda di famiglia e il filatoio per seta, era poi passato, nel 1896, al settore meccanico e, proprio in Marone, all’impianto per la cottura di un altro minerale donato dalla natura di quei luoghi, la dolomite. Accanto, nei primi anni Venti, Attilio Franchi, aveva costruito uno stabilimento, primo e unico del genere in Italia, per la produzione di elettrodi di grafite. Nel 1928 la produzione di grafite fu trasferita a Forno Allione e, nello stabile inutilizzato di Marone, Franchi insediò una nuova fabbrica di feltri. L’innesto dell’intelligente e tenacissimo imprenditore costituì una linfa di modernità e capitalizzazione che lanciò ulteriormente, con molte innovazioni, l’antico settore dei feltri di Marone, portandolo, fino agli anni Settanta, a livelli di forte efficacia industriale e commerciale e costituendo, per Marone, accanto al settore della dolomite, una fondamentale risorsa, anche quando importanti realtà, come quella delle Industrie Tessili Bresciane, chiusero la sede di Marone, mortificando la tradizione di esperienza e di imprenditorialità anche con una sorta di beffa linguistico-toponomastica, abbandonando cioè gli impianti di Marone per trasferirli a Merone, nel Comasco. Agli anni Settanta ci fermiamo, perché, poi, la storia si fa cronaca.