Uomini, vicende e luoghi dell’industria laniera a Marone – la localizzazione

I quattro fattori economici di maggior peso nelle decisioni in tema di localizzazione delle attività produttive di tipo artigianale e industriale sono la disponibilità di energia, la manodopera, le fonti delle materie prime e il mercato…

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Uomini, vicende e luoghi dell’industria laniera a Marone

Roberto Predali

La localizzazione

«I quattro fattori economici di maggior peso nelle decisioni in tema di localizzazione delle attività produttive di tipo artigianale e industriale sono la disponibilità di energia, la manodopera, le fonti delle materie prime e il mercato. Solo di rado, tuttavia, questi quattro fattori hanno eguale peso. Nei singoli casi, uno dei quattro tende a prevalere sugli altri tre ed esercita un effetto dominante e decisivo sulla scelta della localizzazione»[1].

La terra di follo

La terra di follo (argilla smettica) è un’argilla di un grigio verdastro, molto idratata, che contiene quasi sempre un poco di calce, di magnesio e di ossido di ferro; è saponificante, detergente e sgrassante, grassa al contatto e si può stemperare facilmente nell’acqua che rende insaponata.

Nel 1892 Francesco Salmoiraghi, in un ampio scritto sulla terra follonica di Marone, scriveva: «[…] L’argilla smettica [deriva del greco smêktikos, σµηκτικός, nel significato di idoneo a pulire, ndr] di Marone e Sale Marasino è di color giallastro, poco untuosa al tatto, non molto fina e non priva di qualche plasticità. […] Essa quindi non presenta che in modo imperfetto i caratteri della vera argilla smettica e perciò non ha che una mediocre attitudine digrassante, talché viene usata solo, per il purgo degli articoli grossolani di coperte di lana, mentre per gli articoli più fini gli industriali devono ripetere la follatura con altre materie digrassanti o supplirvi interamente con esse. […] Può ritenersi che per 100 chilogrammi di lana occorrono da 75 a 100 chilogrammi di argilla smettica, quale si estrae dalle cave attuali, liberata però di sterpi e ciottoli. […]»[2].

La denominazione di terra follonica deriva dal latino fullàrefullo è detto da Plinio l’apparato per il purgo delle lane, fullonica l’arte relativa»), da cui il francese terre à foulon, e pare mostrare come, sul Sebino, non vi fu influenza tedesca nei primi che la impiegarono, come è evidente, invece, in Toscana dai nomi di gualchiera e terra da gualchiera, derivati da walken (tedesco, follare), wandern (tedesco, camminare) e walker (inglese, camminatore, con allusione alla più antica pratica di feltrare pestando i panni con i piedi) e walkererde (tedesco, terra di follo o di gualchiera).

“Una cava di terra di follo di proprietà del Comune di Marone, che i follatori esercitavano dietro pagamento di un canone annuo, si trovava a sinistra della Valle dell’Opol sotto la Punta dei Dossi e quasi di fronte al Santuario della Madonna della Rota, all’altezza di 590 m sul lago. L’argilla era trasportata con una fune aerea, fino sulla falda destra (strada mulattiera, che da Marone conduce a Gasso, che fino ad un certo punto era carrettiera). La fune, secondo il progresso dello scavo, era di tanto in tanto opportunamente spostata. La falda, su cui giace l’argilla, è boscosa e molto ripida; il manto argilloso di piccolo spessore, da 20 cm ad 1 metro. Un’altra cava in terreno privato, discontinuamente attiva, era molto più ad est della precedente, sulla stessa falda, sotto la vetta del Caprello e all’altezza di circa 852 m s. l. m., di fronte alla rupe dolomitica dell’Acquasanta. Depositi di argilla smettica erano anche a Ranco presso Pregasso all’altezza di 224 m s. l. m., nella regione soprastante ai Tufi di Sale Marasino a 290 m s. l. m.: “di più antiche cave mancano e traccia e ricordo. Ma è naturale che i primi follatori cercassero l’argilla nelle località più vicine agli abitati, e quindi più basse; poscia, quelle esaurite od ivi l’estrazione resa meno proficua, si rivolsero a località più lontane e quindi più elevate”.

Giacimenti sfruttati erano anche la falda del Caprello e della Punta dei Dossi che guardano verso Sale, un deposito sul Colle di Sale (878 m s. l. m) a sud-est del Caprello. «Il giacimento esaurito di argilla, che si estraeva un tempo sopra i Tufi di Sale, venne appunto messo a nudo, perché la poderosa morena che lo copriva fu erosa in quella località dal Torrente Tufo. […] Alcuni follatori di Sale, mal sopportando il canone imposto dal Comune di Marone, cercarono e trovarono altre argille […], ma dovettero abbandonarle perché inette. […] L’argilla smettica delle falde del Caprello e della Punta dei Dossi, da tanti secoli e tuttora scavata per il purgo delle lane, dopo che ha servito al suo scopo, viene in massima parte abbandonata nel canale della Sèstola, che anima i folli e gli altri opifici di Marone ed è trasportata al lago dal canale stesso, che ha foce fra le foci del torrente Bagnadore e della Valle di Marone. Ivi si depone sul fondo del lago, fra le conoidi dei due torrenti, in tempo di piena frammista ad esse […]».

La sorgente Sèstola

Sèstola deriva dal latino fistula nel significato di condotto, tubo[3].

È probabile che l’origine del nome sia da riferire alla presenza romana testimoniata dalla villa Ela e da altre vestigia coeve (nel medioevo il significato primario del lemma fistula è quello di «cannello d’oro o d’argento con cui si sorbiva dal calice il vino consacrato» e di piaga). I ritrovamenti archeologici e la persistenza a Marone di alcuni toponimi di origine latina non collocati nelle immediate vicinanze della villa Ela rendono plausibile una presenza romana non estemporanea cui non può essere passata inosservata la locale sorgente.

Nei documenti, la menzione più antica del termine Sèstola è del 1 giugno 1537[4]: Battista de Valotis, figlio di Appolonio de Valotis di Parzanica, abitante in Marone tratta con Marco Antonio de Gigolis la vendita di una pezza di terra a prato e con castagneto situata in Marone, in contrada de Sorisile seu de la Rover: «[…] super territorio de Marono in contrata de Sorisile seu de la Rover cui coheret a mane aqueductus[5] / de la Festola […]».

A questa altezza cronologica è dunque certa la canalizzazione delle acque della sorgente.

Nell’estimo del 1573[6] si parla della contrada della Fistola (la parola compare più volte in diverse varianti, Fistola, Fertola, Festola), e denomina, quindi, una zona piuttosto ampia, che ha al proprio interno un dugale. In dialetto bresciano dugàl è propriamente «canale fatto attraverso a’ campi per raccorre l’acqua piovana»[7], ma in generale significa canale per l’acqua. Nell’estimo del 1641 il canale è chiamato Festola e Testola. Innumerevoli, nei due estimi i riferimenti al dugale, nel 1573 detto anche seriola.

Nei documenti consultati, in particolare nel Libro del massaro, tra le entrate del Comune, mentre si rileva la riscossione degli affitti per le cave di terra follonica, non si fa mai menzione a riscossioni per l’acqua (ma risulta che le valli sono affittate “per cavar balotti”): la gestione del canale era quindi delegata agli usufruttuari, che se ne accollavano gli oneri. È presumibile che la situazione sia rimasta invariata fino ai primi atti formali del Consorzio di vasi Festola e Ariolo (1868).

Il canale della Sèstola è la più importante struttura idraulica artificiale del Comune di Marone. Trae origine dall’infiltrazione di acque piovane, in rocce fratturate, che poi si raccolgono in cavità carsiche scavate dalle stesse acque. La sorgente scaturisce a quota 360 m s. l. m., qualche metro sopra l’alveo del torrente Bagnadore, in località Verlì.  Tentativi di ispezione sono stati effettuati nel 1932, 1939 e 1982.  Per la sua portata si colloca tra le più imponenti risorgenze della Provincia di Brescia.  Sono state trovate le seguenti portate medie: 0,417 m3/s (Salmoiraghi 1885); 0,200 m3/s (1939); 0,150 m3/s (Giarratana - Commentari Ateneo, 1957); 0,250 m3/s (Ufficio Tecnico comune di Marone - 1980/82); 0,300 m3/s (1994).

La sorgente Sèstola fa parte del bacino imbrifero del torrente Bagnadore e quindi del fiume Oglio. Il bacino di raccolta del torrente, di forma semicircolare; una parte del corso d’acqua si trova nel Comune di Zone, e 1,50 Km circa, fino allo sbocco nel lago d’Iseo, si sviluppa nel Comune di Marone. Il bacino del Bagnadore si estende per circa 18,50 Kmq dall’altitudine massima di 1948 m s. l. m. (monte Gölem) alla quota 185,16 m s. l. m. (zero idrometrico del Sebino), mentre l’asta torrentizia misura 9,00 Km circa. Dall’opera di presa situata a ridosso della sorgente Sèstola, si snoda il canale artificiale a pelo libero, della lunghezza di 750 m circa, per il primo tratto intubato di recente (diametro 50 cm circa) e per la restante parte a sezione rettangolare a cielo aperto (0,60 mq circa): l’opera è dismessa e in pessimo stato[8].

Ora l’acqua della Sèstola alimenta l’acquedotto municipale e, parzialmente, la centrale elettrica di Marone Energia e Servizi.

Il Consorzio dei vasi Festola e Ariolo si costituisce nel 1897, davanti al notaio Giambattista Maraglio, per opera di Girolamo Ghitti, Eugenio Guerrini fu Matteo, Giuseppe Guerrini fu Matteo, Arturo Vismara fu Antonio, Andrea Cristini fu Luigi, Francesco Turla, Luigi Sozzi di Giuseppe, Giacomo Guerini fu Battista, Giovanni Guerini fu Battista, Giovanni Cuter, Luigi Guerini, Caterina Cristini, Pietro Bontempi, Domenico Serioli: a questa data gli utenti sono quelli riportati nella tabella seguente.

 

n° di mappa proprietario HP
1 328 Comune di Zone 5,80
2 326 Comune di Zone 3,00
3 324 Zeni Emilio fu A. 5,12
4 323/348 Cristini, Giovanni, Andrea, Rocco, f.lli di Luigi 8,38
5 1389 Vismara Arturo fu Antonio 3,50
6 Serioli Domenica vedova Guerini e figli 1,75
7 318/1382 Guerini Giovanni e Giacomo f.lli fu Battista 5,06
8 317 Cristini Caterina fu Giacomo e figli 2,93
9 356 Bontempi Pietro fu Giacomo 5,15
10/11 139/143 Guerrini Giuseppe e Eugenio f.lli fu Matteo 21,90
12 144 Tonni Giovanni di A. 3,00
13 147 Novali Giuseppe fu A. 3,50
14 312 Bonomo e Giacomo Sbardolini f.lli fu Giovanni 1,75
15 148 Zeni Egisto fu Angelo 4,97
16 150 Novali Camilla ved. Guerini e figli 4,42
17 131 Bonomo e Giacomo Sbardolini f.lli fu Giovanni 11,00
18 151/152 Battista e F.lli Cuter 7,57

 

Il primo dato certo, nella ricostruzione del percorso della Sèstola e del vaso Ariolo, è il progetto di riorganizzazione progettato dall’ingegnere Fontana nella prima metà anni ’30 del Novecento (i certificati storici catastali sono datati tra il 1935 e il 1936): nel disegno schematico il sistema idrico è suddiviso in tratti denominati B1 (sorgente e derivazione), B (collocato alla sommità della località Mulini di Zone, che, definito presa, indica l’inizio della tubazione – condotta forzata – che alimentava le turbine), A (congiunzione dei tre vasi), D (presa del canale Bagnadore inferiore), E (sbocco a lago), C (derivazione del vaso Ariolo).

L’analisi delle immagini d’archivio e della cartografia elaborata dal Fontana permettono di stabilire, con buona approssimazione, che l’intervento del 1935 consisté, da un lato, nella canalizzazione, con un manufatto in cemento, del vaso della Sèstola nel tratto B1 - B (pianeggiante: precedentemente questo tratto doveva avere argini naturali o essere parzialmente canalizzato con strutture in legno), e, dall’altro, nella realizzazione della condotta forzata che alimentava le turbine nel tratto B - A. La realizzazione di strutture in cemento, senza dubbio, ha interessato anche i canali del Bagnadore basso e del vaso Ariolo alle loro derivazioni.

Il tratto B - A era intubato e, sotto la tubazione, scorreva il canale a cielo aperto con argini sia naturali che costituiti da pietre e mattoni (in alcuni tratti ancora parzialmente visibile), che era utilizzato dalle ruote di mulino, la cui alimentazione era compiuta dalle tipiche canalette in legno.

In sostanza il sistema idrico era costituito da quattro canali distinti: B1 - A (la Sèstola vera e propria), D - A (il Bagnadore basso), C - A (il vaso Ariolo) ed A - E (la risultante dei tre canali Sèstola, Bagnadore basso e Ariolo).

Nel periodo preso in considerazione, dal XVI al XIX secolo, le condizioni essenziali per lo sviluppo dell’industria localizzata sono presenti, a Marone, in modo decisivo: la materia prima - granaglie, lana, terra di follo - provengono dai mercati locali, da Zone, dalla Franciacorta e dai paesi sebini, da Marone stessa la terra follonica; soprattutto la forza motrice è significativa grazie ai vasi Sèstola e Ariolo, ed è questo il fattore determinante. L’esistenza stessa di mercati limitati, determinata dalla frammentazione dell’Italia in vari stati, si costituiva come un elemento, se non propulsivo, almeno decisivo per la sopravvivenza stessa di quest’industria.

Dal XVIII in poi, la rivoluzione industriale determina la messa in discussione radicale dei presupposti di questo tipo di industria: l’introduzione delle macchine aumenta notevolmente la produzione, rendendo sempre più marginale ed economicamente svantaggioso il ruolo del singolo artigiano che lavora tra le mura domestiche (la filatura e la ritorcitura manuale divengono - altrove - obsolete); la progressiva introduzione del vapore prima e dell’elettricità poi, allo stesso modo, rendono la ruota di mulino marginale nella produzione di energia. Di pari passo all’aumento della produzione procede la necessità di ampliare gli spazi fisici dell’azienda, cui concorre la migliorata rete dei trasporti (strade e, soprattutto, ferrovia).

L’Italia è in forte ritardo rispetto al resto dell’Europa proprio per il proprio frazionamento politico (che diviene anche economico, non solo a causa delle frontiere interne: monete e misure diverse sono un deterrente al mercato) ma anche per la refrattarietà all’accettazione delle “future sorti e progressive” che la rivoluzione industriale ha introdotto, determinata dalla qualità del capitale nostrano, più fondiario che industriale.

Per dare una misura marginalità della produzione locale (89 occupati stabili, in gran parte follatori e cardatori, oltre a 236 addetti saltuari alla filatura), basti pensare che, al momento dell’Unità negli stabilimenti lombardi vi erano 414 operai nella filatura di cotone Ponti (10.000 fusi a Solbiate, Como), a Biella erano occupati 1600 operai, in tutta la Lombardia erano attivi 100.000 fusi, a Torino nelle industrie miste di cotone e lana ne erano occupati 3744 mentre, nel Salernitano, comprensorio in cui si concentrò per eccellenza l’industria tessile meridionale, gli operai addetti alle fabbriche di tessuti erano 10.244 con 50.000 fusi, senza contare le zone ad alta concentrazione di aziende come la Toscana e il Veneto.

Marone, tra 1700 e 1800, vive in una sorta di limbo: «sparsa ai piedi del monte», non ha lo spazio fisico - come, per altro, tutti i paesi del lago - per l’affermarsi della moderna industria - che ha bisogno di ampi spazi per i nuovi insediamenti - e forte com’è della “copiosa e perenne” fonte della propria energia, la Sèstola, concentra tutte le proprie energie in tecniche produttive obsolete. Il follo a martello è sostituito dai folloni a cilindri solo negli anni Trenta del XX secolo; la filatura meccanica è introdotta solo alla metà dell’800 in una sola fabbrica locale, a opera di Tempini, ma al momento dell’Unità la gran parte della produzione per le aziende locali viene dalle circa 250 filatrici «stando alla loro case ed alternando quest’occupazione colle faccende domestiche e lavori campestri»; abbiamo notizie, vaghe, di tessitura meccanica solo dopo il 1860. La rete dei trasporti era carente (la ferrovia giunge a Marone nel 1907 e la via più rapida per il trasporto merci era ancora quella lacuale).

Altro motivo di quiescenza è il rapporto tra attività tessile e molitoria, in cui la seconda è prevalente. Fino a ben dopo l’Unità d’Italia è la macinatura di grani quella che caratterizza l’economia maronese, con, ancora nel 1879, 21 ruote dedicate ai mulini contro 24 ruote per folli a martello, 4 per la filatura e una sola turbina elettrica (che muoveva due mulini un frantoio e una filatura).

È l’Unità d’Italia, per quanto localmente - sembra - vissuta solo di riflesso e senza alcun coinvolgimento diretto, che, modificando l’assetto politico, apre nuove prospettive di mercato (lo Stato come cliente): la prima conseguenza è l’aumento degli occupati nelle due principali ditte produttrici di coperte (Cuter e Cristini), senza però che a questo si accompagni l’ammodernamento tecnologico. Anche per l’orografia del territorio maronese, che non dispone di ampi spazi per nuovi insediamenti e per la scarsa tendenza all’investimento nell’industria da parte degli imprenditori, che paiono più orientati verso l’impiego dei capitali nell’acquisto di case e terreni, la produzione continua a essere frammentata in diverse piccole unità produttive. La filatura, per quanto riguarda l’azienda Cristini, è realizzata tra Ponzano e Marone, la tessitura a Marone, la follatura in vari edifici tra Ponzano e i Mulini di Zone, l’asciugatura a Ponzano, la finitura a Marone: manca, nei produttori lanieri locali dell’epoca, la visione unitaria della fabbrica, e da essa la comprensione completa delle mutazioni in atto nella società. Centra pienamente il problema il relatore della Relazione sullo stato dell’economia locale al momento dell’Unità quando sostiene che «causa del decadimento dell’industria fu il non voler seguire nella fabbricazione delle coperte di lana i miglioramenti suggeriti dal progresso, ma attenersi strettamente al piede antico».

È solo dalla fine dell’800 che si assiste a una trasformazione sostanziale con la conversione delle ditte individuali in società (su basi famigliari) e a un seguente (inevitabile, per la sopravvivenza) ammodernamento delle attrezzature: il progetto dell’ingegner Fontana del 1935, realizzato soprattutto in funzione dello sfruttamento della Sèstola per la produzione di energia elettrica, dimostra, però, quanto queste iniziative siano tardive.

Per quanto riguarda la provincia di Brescia, in cui, per quasi tutto il XIX la produzione laniera era quella sebina, nel 1889 nascono, su presupposti di industria moderna, il lanificio di Gavardo e nel 1907 il lanificio di Manerbio: tra 1897 e 1898 esistevano 12 industrie laniere in provincia, che davano lavoro a 605 operai; 292 erano a Gavardo (nel 1904, quando gli opifici in provincia si erano ridotti a 8, questo lanificio occupava 500 operai e produceva attorno a 14.000 coperte all’anno.

Il lanificio maronese già vecchio, si afferma, dopo il 1861, solo grazie agli ordinativi statali per ospedali ed esercito: l’imprenditoria locale non dispone dei capitali (e della conseguente progettualità) che le permettano di vedere oltre i confini locali (quelli di cui dispone non sono investiti nelle aziende) e la produzione dei feltri per cartiera, sebbene potenzialmente importante, si sviluppa pienamente solo dopo l’insediamento a Marone, tra 1921 e 1936, delle Industrie Tessili Bresciane e delle Feltri Marone.

Gli imprenditori lanieri di Sale Marasino avevano capito fin dalla metà dell’800 che il mercato si stava radicalmente modificando e avevano progressivamente modificato i loro obiettivi (i casi Zirotti, che si dirige verso l’investimento fondiario, e Tempini, che si rivolge ad altri, più redditizi, comparti industriali, sono indicativi).

Negli anni che seguono il 1861 l’industria maronese non ha fatto altro che riempire gli spazi lasciati vuoti dalla défaillance dei salesi: in questo consiste il successo e il fallimento dei Cristini e dei Guerrini, nell’aver conquistato un mercato, non nell’averlo creato.

Il presente lavoro consiste essenzialmente nella localizzazione delle attività laniere e molitorie, documentata a partire dal XVI secolo (da questo periodo partono i documenti disponibili) e che si manifesta, a questa altezza cronologica, già come un fatto sedimentato, segnale di una storia preesistenze e (purtroppo) non avvalorata da prove documentarie.

L’identificazione delle varie attività è realizzata partendo dal 1935, per risalire, ove possibile, al 1500: essa, oltre che essere utile a ricostruirne la storia, è indispensabile per la memoria, poiché, delle oltre 50 ruote di molino corrispondenti ad altrettante attività censite alla fine dell’800, ne rimane una sola (il mulino Panigada), priva di acqua per la dismissione del vaso Ariolo.

Rimangono molti i problemi irrisolti: la perdita e la dispersione dei documenti relativi alle due principali aziende locali (quelle dei Cristini e dei Guerrini) e la quasi totale assenza di testimonianze su quella dei Cuter rendono, al momento, pressoché impossibile la ricostruzione esatta delle dinamiche economiche e sociali precise che hanno portato al loro sviluppo e alla loro decadenza. Non è oggi possibile stabilire, sulla base di fatti accertati, le dinamiche di mercato (per esempio, gli ordinativi, la loro qualità e quantità), i rapporti tra imprenditoria e manodopera, ecc.

Nella storia dell’industria locale, i grandi assenti sono gli operai, donne, uomini e bambini, che inadeguatamente sono nominati nei documenti, salvo qualche rara, ma significativa nota: «per lavoro continuo noi abbiamo inteso 12 ore al giorno. Relativamente agli operai diremo che il loro stato fisico va soggetto ad alterazioni frequenti stante il saccidume portato dal maneggio della lana e dell’olio. Il morale è buono notando però una certa tendenza allo sciopero e non frequentano scuole serali non esistendo in paese, ne sono ascritti ad alcuna cassa di risparmio».

Sappiamo che dopo l’Unità, per opera degli industriali lanieri prima e della Chiesa poi, nacquero tre Società di Mutuo Soccorso (di cui una femminile), che vi furono alcuni scioperi, ma della reale vita quotidiana in fabbrica sappiamo ben poco di certo, se non ricordi che confondono il periodo tra le due guerre con tutta la storia di Marone (ma questo se è, forse, inevitabile non autorizza a considerarlo come “stato di fatto”).

[1] J. H. Paterson, R. Gasperoni, Introduzione alla geografia economica, Milano 1994, p. 267 e sgg. Il volume è consultabile in googlebook.

[2] F. Salmoiraghi, Giacimenti ed origine della terra follonica (argilla smettica) di Marone e Sale Marasino sul lago d’Iseo, in Atti della Società Italiana di Scienze Naturali, XXXIV, Milano 1892, pp. 349-366. Il volume è interamente scaricabile da archive.org.

[3] Il nome stesso implica, dunque, la canalizzazione.

[4] D. Omodei, Contributo alla catalogazione delle pergamene del Sebino: le pergamene dell’archivio parrocchiale di Marone, tesi di laurea, Università Cattolica del Sacro Cuore Brescia, Facoltà di Lettere e Filosofia, Anno Accademico 1997-1998; pergamena 1.

[5] Aqueductus, in latino, è il condotto dell’acqua con il diritto di irrigazione.

[6] Per comodità e per non fare continui rimandi in nota: l’estimo del 1573 è conservato presso l’Archivio storico del Comune di Marone (AsCM) ed è edito in e-book da FdP editore, Marone (Bs) 2005, e scaricabile gratuitamente dal sito maroneacolori; l’estimo del 1641 è presso l’Archivio di Stato di Brescia (ASBs), l’Archivio parrocchiale di Marone (ApM) e, in fotocopia, nell’AsCM; il Libro del massaro è nell’ApM; i documenti dell’AsCM citati nel testo sono nelle buste relative agli anni.

[7] G. B. Melchiori, Vocabolario bresciano-italiano 2 voll., stampa anast., Brescia 1985. Il volume è scaricabile da googlebook.

[8] R. Benedetti, Le origini, La Festola, in Marone, immagini di una storia I, Marone (Bs) 2005, pp. 97-106.

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