Mappale 114

Il fabbricato denominato Cristì de Sóta, sebbene abbia subito nei secoli numerosi interventi edilizi, mantiene al proprio interno, al piano terreno, una porzione di costruzione che – come sembrano confermare i documenti consultati – risale al XVI secolo.

Descrizione

Il mappale 114

Mulino da grano, poi lanificio, Via Razzica (ora via Makallé).

Il mappale 114

Mulino da grano, poi lanificio, Via Razzica (ora via Makallé).

Notizie sul lanificio sebino: qui (saggio di A. Giarratana) e qui (saggio di M. Pennacchio).
Il Certificato censuario storico: qui.

Il fabbricato denominato Cristì de Sóta, sebbene abbia subito nei secoli numerosi interventi edilizi, mantiene al proprio interno, al piano terreno, una porzione di costruzione che - come sembrano confermare i documenti consultati - risale al XVI secolo.
La parte di edificio adibita ad abitazione è stata abbattuta, rimodellata e ricostruita a cavallo dell’Unità d’Italia e negli anni seguenti (nel catasto austriaco è il mappale 272), ma gli antichi mappali 273 e 113 mantengono le primitive caratteristiche.
La parte adibita ad attività manifatturiera è, quindi, sostanzialmente integra.
Sono scomparse, al piano terra, le antiche volte a botte dopo l’incendio del 1919 (sostituite dalla soletta in cemento armato).
Rimangono, comunque, i muri portanti in pietra e il tracciato del canale Sèstola, sia nel percorso sette-ottocentesco sia nella derivazione fatta nella seconda metà dell’Ottocento. Non vi sono più, ovviamente, le canalette di legno che alimentavano le tre ruote di mulino quando il canale seguiva la naturale pendenza del terreno e la cui derivazione nelle canalette era circa a -1, -1,20 m del livello della odierna strada provinciale (attuale canale Sèstola); è stato, infine, riempito di materiale lo spazio tra gli edifici.
Sebbene rimaneggiata nel corso dei secoli, la porzione di fabbricato in oggetto rimane l’unica testimonianza visibile del passato manifatturiero maronese, avendo avuto, al suo interno, gualchiera, mulino, filatoio e, infine, fabbrica di coperte.

Il mappale 114 nell'estimo del 1573
Nell’estimo del 1573 i fratelli Martino, Antonio, Ludovico e Giulio di Capitani detti di Maphetti - originari di Lovere - possiedono una «casa [in] contrada della Rassega ad adiman [confina con la] strada, à sera il lago. Estimata lire trenta. Un’altra [casa] à monte la infraditta pezza di terra con due rothe de follo. Estimata lire sei cento. Una pezza di terra prativa contigua alla sopras:ta casa, à monte valle, à mezo di la inf:ta pezza di terra tavole ottanta. Un’altra prativa, olivata, à monte la sopras:ta seconda casa, et pezza di terra tavole settanta cinque. Estimate tutte duoi lire duoi cento novanta nove».
Fabbricati e terreni corrispondono, nella mappa del 1808, ai mappali 113 (casa confinante a ovest con il lago e gualchiera) - 114 e 115 (prato) e 117 (prato e uliveto).
A sud dell’abitazione dei Capitani, separata da via Razzica, vi è la casa dei fratelli Almici fu Graziolo, mercanti, stimata 500 lire (casa lussuosa, quindi): «Una casa sita ut supra in contrada della Rassega per nostro uso con hera et horto coherentia a mezodi messer Giovan Maria Moretto et a sera il lago, quale se porria affittar ogni anno liri vinti planet», corrispondente ai mappali 58 e 59 del 1808. A sud della gualchiera è posta l’ancor più lussuosa casa di Giovanni Maria Maggi detto il Moretto, proprietario di 1/6 del forno fusorio: «Casa con cortivo et, brolo, à diman Francesco di Gizi, à sera il lago. Estimata lire sette cento in tutto», corrispondente ai mappali 61-62 (casa) e 63-64 (brolo) e di cui si conserva ancora lo stemma marmoreo - unico in tutta Marone - nella chiave della volta del portale.
L’area delimitata a sud da via Razzica e a nord dal torrente Bagnadore è occupata, oltre che dalla gualchiera dei Capitani, dal forno fusorio e dalla fucina del pestaloppe (probabilmente mappale 189 nel 1808) e dalla segheria comunale (mappale dal 96 nel 1808) ed è attraversata dal canale a cielo aperto della Sèstola.
Il mappale 114 nell'estimo del 1641
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Il forno fusorio, attivo ancora nel 1609 come testimonia il Catastico di Giovanni Da Lezze, nel 1637 non esiste più, così come, nell’estimo, non si fa più menzione della segheria comunale: negli anni seguenti la peste del 1630 Marone vive, dunque, una seria crisi economica.
Giovanni Maria Maggi, già proprietario di una quota del forno, cede la propria casa a Battista Cafello, mentre i Guerini acquistano dai Capitani la gualchiera e l’abitazione contigua.Nel 1637 proprietario dei fabbricati in oggetto è Lorenzo Guerini di Giulio, di 39 anni, sposato, con un solo figlio Giulio di 7 anni.
Nell’estimo del 1641, dopo la morte del padre Lorenzo, la proprietà passa all’undicenne figlio, Giulio: «una casa con corpi duoi terranei, camare sopra, con un’altra casa, con trei rotte di molino dentro, confina à mattina Christofforo Cafello, et parte Battista Cafello, à mezodi detto Battista, à sera il lago, à monte ingresso, con tavole dieci otto di terra a essa contigua. Estimata lire novanta sei soldi quattro la casa et brolo. Il molino estimato lire mille seicento. Si batte il sesto per il molino [si affitta], che è di lire doi cento sissanta sei soldi tredeci».
Giulio Guerini non è, però, il proprietario dei limitrofi appezzamenti a prato e uliveto.
L’abitazione fronte lago ha due stanze al piano terra e due camere al primo piano. La casa non ha le stesse caratteristiche di quella cinquecentesca e ha quasi un valore doppio - circa 50 lire - (un piò di orto era stimato 250 lire): tra i il 1573 e il 1641, molto probabilmente, sono state edificate altre due stanze.
Rispetto al 1573 è aumentato anche il numero delle ruote - e l’estimo del mulino passa da 600 a 1600 lire -, che da due diventano tre. È presumibile, come per altro conferma l’estimo del 1785, che alle due ruote che muovevano i folli a martello della gualchiera si sia aggiunta una ruota per la «masinatura» dei cereali. Forse è avvenuta una variazione nell’uso dei locali, come pare confermare la situazione che si riscontra nel secolo successivo.
Il mappale 114 nell'estimo del 1785 e nella mappa Viganò del 1811
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Nell’estimo del 1785 i fratelli Bonaventura [1731-1802] e Paolo [1741-?] Guerini della Rassega fu Giulio [?-1761] - eredi del seicentesco Lorenzo fu Giulio - possiedono «un corpo di case di diverse stanze terranee, e superiori, con solari sopra cupati con tre Rothe di molino, ed una masinatura, con corte avanti verso mezzodì mediante strada, sive Ingresso, poste nel tener di Marone, in contrada della Rassega, a cui confina da mattina parte il Dugale, e parte Mauro Cafelli q. Gio: Batta:, a mezo di Ingresso, a sera il lago, ed a monte l’infrascritta pezza di terra broliva, ed ortiva, estimata in tutto detratto […] d’una cosinetta e camera in fondo alli molini, e compresi li miglioramenti di camere sudd:e fabricate, e compresa pure la caneva acquistata, come alla partita R.v S.r D.n Desiderio, e Nepoti Guerini di lui zii in Catastico 1727 lire trecento ottanta»; i due fratelli sono inoltre proprietari del terreno prativo e olivato a est del fabbricato; i due fratelli hanno anche acquistato dai fratelli Rossetti fu Antonio una stanza con fienile al primo piano contigua all’abitazione.
Fabbricati e terreni corrispondono, nella mappa del 1808, ai mappali 113 (mulino, abitazione e la stanza e il fienile acquistate dai Rossetti e che si affacciano sul lago), 114 e 115 (brolo e orto) e 116 (prato e orto).
L’abitazione, posta fronte lago, ha la tipologia tipica delle case maronesi: corte antistante; zona giorno al piano terra (cucina e stanze di servizio) con volta a botte; zona notte al primo piano; solaio; tetto con coppi in cotto. La comunicazione tra i piani è ottenuta con scale interne in pietra di Sarnico (nelle abitazioni più povere vi erano le lobie, scale esterne in legno con ballatoi di legno).

Nella mappa del piano Viganò (1811) i mappali sono genericamente indicati come «orto e case di Bonaventura Tenca», ultimo erede dei Guerini della Rassega, figlio di Nicola Tenca e Maria Caterina Guerini (figlia di Bonaventura Guerini della Rassega e Elena Fasci).
Bonaventura Tenca [1774-?] si coniuga con Marina Dell’Oro nel 1803; la moglie proviene da una famiglia che a cavallo dei secoli XIX e XX avrà un ruolo notevole nell’industria serica locale.
Il tracciato della Sèstola è lineare e a cielo aperto nei mappali 117 e 116 (orto) e non è disegnato nei fabbricati (ma il percorso era, senza dubbio, identico a quello delle mappe 1808-1815).
Nel catasto napoleonico (mappe 1808 e 1815) i mappali oggetto di studio sono i 113 (fabbricato) - 114 (orto) - 115 (orto) - 116 (prato) - 117 (prato), delimitati a sud da via Razzica (attuale via Makallè) e a nord dalla strada consorziale del Foppello (oggi non più agibile). Il tracciato della Sèstola è lineare nei mappali 117 e 116, con un angolo di 160° circa quando entra nel mappale 113; il canale è indicato come a cielo aperto.
Fino al 1846 i mappali sono proprietà di Girolamo Signoroni fu Cassandro, imprenditore tessile di Sale Marasino, che li ha acquistati da Bonaventura Tenca in data imprecisata (post 1811).
Nel 1846 la proprietà degli immobili e dei terreni passa a Giacinto Passarini fu Giacomo e a Giuseppe Cè fu Faustino (l’atto è registrato nel 1852).

La storia cartografica

 

Il mappale 114 nel 1852
Nel catasto austriaco i mappali oggetto di studio sono i 113 (fabbricato e orto) - 114 - 115 - 272 (fabbricato) - 273 (fabbricato) e 117, delimitati a sud da via Razzica (attuale via Makallé) e a nord dalla strada consorziale del Foppello (oggi non più agibile); nella mappa è indicato a matita il tracciato della costruenda [attuale] via Roma che delimita i confini a est.
Il tracciato della Sèstola è lineare e a cielo aperto nei mappali 117 e 116 (orto) e non è disegnato nel fabbricato 113, ed è dunque interno al fabbricato e coperto, e tratteggiato nei mappali 272 e 273 (interno ma a cielo aperto).

 

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La «Strada provinciale da Iseo a Pisogne»

La costruzione della «Strada provinciale da Iseo a Pisogne» - conclusasi verso il 1850 - comporta, nell’abitato di Marone capoluogo lo sventramento della zona posta tra la parrocchiale e il mappale 123.A monte della strada scompare il mappale 165 (fabbricato) di fronte alla chiesa e sono fortemente ridimensionati gli orti dei mappali 75 e 69, è ridimensionato il mappale 119 (fabbricato) e scompare l’orto del mappale 118. A valle sono edificati ex novo gli edifici che si affacciano sulla nuova strada compreso il nuovo edificio adiacente la chiesetta del Carmine che sostituisce il piccolo sacrato. Nel 1878 è abbattuta la torre civica (antico campanile della parrocchiale originaria demolita nel 1700), che, infatti, non compare più nella mappa del 1898.La zona ora Cristì de Sóta (ex Cittadini) è solo lambita dall’intervento viario, senza sostanziali mutamenti. Sebbene non indicato nella mappa del 1852 è probabile che la copertura del canale Sèstola - dal mappale 99 al mappale 113 - sia contestuale alla costruzione della strada.

Il mappale 114 nel 1860-1906

Nel catasto unitario (1898-1909) i mappali oggetto di studio sono i 1427 (abitazione), 113, 272 (opificio) e 114 e 117. L’area è delimitata a sud da via Razzica (attuale via Makallè) e a nord dalla strada consorziale del Foppello (oggi non più agibile), a est dalla «Strada provinciale da Iseo a Pisogne» (realizzata nel periodo austriaco, oggi via Roma) e a ovest dal lago.
Nel 1865 la proprietà passa alla società costituita da Francesco Nullo, Orazio Bordiga, Bortolo Zuccoli, Franchi fu Attilio, Silvio Damioli, Carlo Bonardi (sacerdote) e Antonio Zineroni.
Nel 1870 - dopo che nello stesso 1865 e nel 1867 vi erano stati cambiamenti di ruolo nella società suddetta - l’intera proprietà è rilevata da Giacomo Fonteni, Giacomo Tempini e Angelo Turla di Sale Marasino.
Nel 1878 i mappali in oggetto passano alla società costituita dai fratelli Cuter fu Giovanni Battista, Battista e Giovanni, Giacomo Fonteni fu Antonio e Angelo Turla fu Francesco.
Nel 1879 il fabbricato, proprietà della ditta «Kuter fratelli, Fonteni Giacomo di Antonio e Turla Angelo di Francesco», comprende una macina idraulica per le olive (mappale austriaco 272), l’olio serve per filare e soprattutto follare la lana ed è scarsamente utilizzato per usi alimentari), una filatura di lana (mappale austriaco 114, già orto) e due macine da grano (mappale austriaco 273 e parte al pianterreno del 113). Tutte le macchine - da una fonte documentaria, ma ritengo esclusivamente il filatoio - sono mosse da una turbina da 8 cavalli vapore (un semplice meccanismo con ruota di mulino collegata a una dinamo che produce corrente continua). Al primo piano vi è la casa con bottega (mappale 113)
Nel 1891 e nel 1893 è proprietà dei fratelli Fonteni fu Giacomo, di un certo Fabeni e di Francesco Turla fu Angelo e fratelli.
Dal 1894 al 1901 il complesso artigianale e i terreni sono proprietà dei fratelli Turla fu Angelo.
Nel 1902 diventa di Francesco Turla fu Angelo, Luigi e Sofia Turla fu Vittorio proprietari e Maria Giugni di Felice vedova Turla usufruttuaria in parte.

Nel catasto unitario la parte ortiva del mappale 113 e una parte del 117 sono edificate, così come il mappale 114 e parti del 115 e del 117 - unificati nel mappale 272 - e il canale Sèstola è ha una nuova diramazione parallela a quella antica, forse funzionale alla turbina.
Le nuove costruzioni e la diramazione del canale sono, presumibilmente, opere realizzate a cavallo dell’Unità d’Italia, forse contestuali alla costruzione della Strada Provinciale o tra il 1850 e il 1870.

Il mappale 114 nel 1907-1935

 

Nel 1907 l’intera area fu acquistata da un certo Antonio Romeri fu Luigi che, il 20 aprile dello stesso 1907, li rivende a Giuseppe, Luigi e Romualdo fu Andrea e a Rocco Cristini fu Luigi, fratello del defunto Andrea.
Il 3 giugno 1913 i mappali furono sostituiti in questo modo: i mappali 113 («casa con bottega che si estende anche sopra parte del 273»), 114 sub 1 (orto), 117 («prato vitato») e 272 («mulino da grano ad acqua con casa, sopra la quale si estende in parte il 113») con la dizione «opificio per la filatura e scardatura della lana, torchio da olio e locali annessi» e i mappali 114 sub 1 e 272 con la dizione «portico e loggia portichetto e motore elettrico della forza di 10 HP». Con atti successori iniziati nel novembre 1912 e conclusi il 3 giugno 1913 la proprietà passa a Giuseppe, Luigi e Romualdo fu Andrea, Luigi, Faustino, Battista e Giuseppe e a Paola, Caterina e Orsolina fu Rocco e a Caterina Cabona, vedova di Rocco Cristini usufruttuaria in parte.
Il 27 giugno 1913 tutti i mappali furono accorpati nell’unico 114 descritto come «fabbricato rurale di are 19,30» (1930 mq) e passò a Cristini Giuseppe, Luigi e Romualdo fu Andrea.
Nel 1919 l’edificio era stato in parte danneggiato da un incendio (da qui un altro soprannome, i Brüsacc); fu ricostruito - poco dopo - con solette in cemento armato e tetto a Shed.
Il 17 dicembre 1929 i proprietari divennero Luigi, Romualdo, Paola e Isabella fu Andrea.
Nel 1935 l’edificio è sede della ditta «Cristini Romualdo fu Andrea ed eredi Cristini fu Andrea».

Il mappale 114: l'alluvione del 1953
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Il mappale 114 oggi
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La testimonianza di Andrea Cristini fu Romualdo.

«Mio nonno Andrea e suo fratello Rocco avevano cominciato insieme l’attività industriale.
Mi ricordo che quando ero bambino i miei zii e anche mio padre mi dicevano che agli albori del loro lavoro andavano coi carri, trascinati da muli o cavalli, a vendere le loro coperte direttamente dai grossisti, negozianti, ospedali, caserme, bottegai di vario genere e che soprattutto frequentavano le fiere della lana, dove trovavano clienti vecchi e ne cercavano di nuovi. Per le fiere stavano lontani da casa anche una settimana intera, senza ovviamente poter comunicare con la famiglia. Siamo dopo la metà del 1800.
I motivi per cui si separarono non li so proprio: certamente non in modo malevolo e di sicuro prima della Guerra Mondiale 1915-18.
Penso invece che la causa probabile della loro separazione sia stato l’incendio del ’19, che ha distrutto lo stabilimento a lago, che doveva essere un insieme di casermoni, più che un edificio costruito ad hoc.

Dopo l’incendio si costruì uno stabilimento coi dovuti crismi del tempo: in pratica come lo abbiamo conosciuto tutti e come in parte lo si vede ancor oggi.
Lo stabilimento di sopra aveva il pregio dell’acqua del canale della Sèstola con caduta più alta ed era per questo che all’inizio era il luogo della vera attività laniera: la maggior potenza della caduta della acqua permetteva di produrre anche   maggior energia elettrica.
Per questo motivo si dotò di ruota e di acqua abbondante anche lo stabile a lago; anche qui c’erano tutti i reparti della filatura, dei lavaggi vari, della follatura, della tessitura, della garzatura e gli essiccatoi detti ciodere per via dei numerosissimi chiodi senza capocchia, disposti in duplice fila parallela orizzontale, sui quali erano tirate e stese le coperte ad asciugare alla luce e al calore del sole e alla forza del vento.
Ai Brusàcc le ciodére si trovavano sulla soletta del tetto, che era una terrazza senza coppi, e mostravano la loro superficie verso il paese di Tavernola, cioè a sud-ovest.
Non avevamo la shulferéra e non so il perché.

Mi ricordo che il signor Cramer, Lio Mostaciù, il nostro portinaio, mi diceva che, quando mio nonno aveva cominciato la sua attività, le donne filavano ancora la lana a mano e coi fusi di legno.
Anche la nostra ruota, mossa dall’ultima parte dell’acqua della Sèstola, era collegata direttamente con ingranaggi e pulegge a un generatore, che produceva energia elettrica ma solo per illuminare il piano terra, quello della filatura: le macchine della tessitura erano tutte al primo piano.
L’acqua che cadeva sulla ruota azionava e faceva girare un grosso perno, a cui erano attaccate tante pulegge  su cui scorrevano grosse cinghie di cuoio, collegate agli ingranaggi delle varie macchine.

Avevamo un contratto con la Società Elettrica Bresciana, poi ENEL, per il restante fabbisogno di energia elettrica.
Nell’immediato dopoguerra, quando gli Americani vendevano i residuati bellici, fu acquistato all’asta un generatore diesel per compensare la carenza di energia elettrica per il funzionamento di tutte le macchine di filatura e tessitura.
I Cristini di sopra invece utilizzavano la maggior altezza della condotta forzata dell’acqua del Canale della Sèstola per muovere il rotore di una turbina e produrre energia elettrica sufficiente per il loro fabbisogno.
La nostra ruota si trovava nell’angolo interno a lago, dal lato della chiesa parrocchiale, sulla parete divisoria col reparto macchine del piano terra e l’acqua, che aveva una leggera pendenza a partire dal piano strada, davanti all’ osteria del Vino cattivo, gestita allora dal vecchio fotografo Predali, cadeva sulle pale e la faceva girare.
Era di ferro e aveva un diametro di cinque metri e novanta centimetri: nel 1953, anno dell’alluvione, funzionava ancora; non so che fine abbia fatto, anche se con ogni probabilità fu smontata e venduta ai robivecchi, come quelle degli altri opifici.

L’ alluvione segnò in pratica la fine dell’attività industriale del nostro stabilimento, ma anche la scomparsa di un mondo industriale tipico maronese, fondato sullo sfruttamento delle risorse idriche del Canale della Sèstola.
Per quanto ci riguarda poi personalmente il Genio Civile non permise più per ragioni di sicurezza 1’utilizzo dell’immobile, se non per lavori, che non comportassero le vibrazioni tipiche delle macchine di tessitura, constatata l’instabilità del fondo lago, col quale confinavano i muri perimetrali.
La direzione della società diede allora l’incarico all’Amministrazione Comunale di trovare un utilizzo adeguato e, dopo un tentativo di ricominciare l’attività con un feltrificio da parte del signor Sergio Moglia, lo stabilimento fu acquistato dal signor Cittadini di Sulzano, che vi piazzò alcune macchine tessili, dopo che il Genio Civile aveva fatto palificare la sponda».

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