Mappale 96

L’area attuale del mappale 96 – dismesso Feltrificio Moglia – comprendeva, nel 1808, i mappali 100, 99, 98, 97 (terreni) e 96 (il fabbricato); nel 1852 i mappali sono 100, 99, 98, 97 e 96, 212 (terreni) e 182 e 204 (i fabbricati); nel 1898 i mappali sono 98 e 220 (terreni) e 96 e 97 (i fabbricati).
Secondo Gabriele Rosa, qui vi era nel 1300 il forno fusorio.
Nel 1573, senza dubbio, vi erano il forno fusorio e la segheria comunale.

Descrizione

Il mappale 96

Forno fusorio, segheria comunale, mulino, setificio, lanificio dei Cristì de Sura, via Adua.

Il mappale 96

forno fusorio, segheria comunale, mulino, setificio, lanificio dei Cristì de Sura, via Adua.

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L’area attuale del mappale 96 – dismesso Feltrificio Moglia – comprendeva, nel 1808, i mappali 100, 99, 98, 97 (terreni) e 96 (il fabbricato); nel 1852 i mappali sono 100, 99, 98, 97 e 96, 212 (terreni) e 182 e 204 (i fabbricati); nel 1898 i mappali sono 98 e 220 (terreni) e 96 e 97 (i fabbricati).
Secondo Gabriele Rosa, qui vi era nel 1300 il forno fusorio.
Nel 1573, senza dubbio, vi erano il forno fusorio e la segheria comunale.Il forno fusorioFrancesco e fratelli fu Bernardino Hirma posseggono «Otto parti de dodeci hore di uno forno da ferro con la comodità de carboni et vini cont:a del Follo. Est: lire mille otto cento».
Giovanni Maria di Mazzi detto di Moretto possiede due quote, ovvero, «la sesta parte di un forno da ferro con un poco di terra appresso, cont:a del Forno. Est:o lire quattro cento cinquanta».
Il Comune di Marone ne possiede una quota «Uno corpo di forno da ferro con uno carbonile, cioè delle dodici parti una di esso forno, cont:a del Forno, à diman li heredi di Bernardino Hirma. Estimata lire duoi cento vinti cinque».
Gli eredi di Giovanni Maria Guerini posseggono una quota, «Di dodici parti una del forno de Maron de far ferro».
Il Catastico del 1609 di Giovanni da Lezze ci informa che il nobile bresciano Palazzo di Palazzi possedeva una parte di proprietà del forno. Il da Lezze sostiene anche che il minerale (la vena) proveniva da Pisogne, il cui Territorio era costellato di miniere, a partire dal Dosso Seradino fino a Fraine: nel Settentrione, dal Medioevo in poi i minatori erano chiamati fraini, da cui il nome Fraine della frazione di Pisogne.
Il Rosa sostiene che il minerale proveniva da miniere a cielo aperto sul monte Gölem, verso Inzino, in una località chiamata ancora nell’Ottocento Prati del Ferro: il toponimo è scomparso, ma nelle carte dell’I.G.M. vi è, poco a Sud della Volta di Pilato una località chiamata le Cave.

 

Da segheria a mulino
Nel 1573 l’edificio del mappale 96 era proprietà del Comune di Marone ed era descritto come «casa, et molino de duoi rothe, con una rassega, et casetta per il molinaro, in cont:a della Rassega […] Estimata lire mille duoi cento».
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Nel 1641 il fabbricato e di proprietà di Antonio fu Giovanni Giacomo Guerini - con valore di 1600 lire ed e affittato per 260 lire - ed era descritto come «Una casa con corpi due terranei, cilterati, et camerette sopra, cuppate et rothe due di molino, et altre case discoperte, et una casa terranea, cilterata con camera sopra cuppata, con un poco di corte avanti in contrada di Marone».Nell’estimo del 1785 i figli del defunto Stefano Guerini fu Giovanni Pietro, della famiglia chiamata dei Molini Nuovi, dichiara di possedere, in contrada del Forno, un mulino di tre ruote del valore di 340 lire «compresi li novi miglioramenti».

 

Notizie sul lanificio sebino: 1957-giarratana-lanificio.
I Certificati censuari storici: qui, qui e qui.

 

La storia catastale

 
All’attuazione del Catasto austriaco (1852) il mappale 96 era intestato a Zuccoli Giacomo, don Giuseppe, Antonio, Maddalena, Bartolomeo e Giovanni Battista, fratelli fu Andrea.
Dal 1852 al 1857 subì tre cambiamenti all’interno della stessa famiglia Zuccoli.
Nel 1857 l’immobile fu acquistato da Guerini don Luciano fu Giuseppe dei Mulini Nuovi e Guerini Pietro, Martino, Andrea, Pietro Antonio e Stefano fu Giacomo fu Giuseppe sempre dei Mulini Nuovi, subendo ben sei cambiamenti all’interno della stessa famiglia nel giro di una quindicina d’anni.
Nel 1872 passò per atto d’acquisto a Vismara Antonio e Carlo di Bartolomeo. È presumibile che in questi anni sia modificata la destinazione d’uso del fabbricato da mulino per grano in setificio.
Nel 1874 passò ai fratelli Gavazzi Antonio ed Egidio fu Giuseppe, industriali serici milanesi, e nel 1877 al solo Gavazzi Antonio.
Nel 1886 per successione passò a Vismara Antonio di Bartolomeo; nel 1897 ai figli Arturo, Paola, Carmela e Maria e a Livio Rachele fu Giosuè e, infine, al solo Vismara Arturo.
Nel 1907 lo stabile fu acquistato dalla ditta Curti Edoardo & C. società in accomandita per azioni con sede a Milano, industria serica costituitasi nello stesso anno con il capitale sociale di lire 1000. Il 15 aprile 1909, Edoardo Curti rassegna le dimissioni da «gerente» [amministratore unico] della società ed è sostituito da Curti Ettore e Gallese ragionier Giuseppe di Giovanni.
Lo stesso anno 1909 avviene, a Milano, la costituzione della Società anonima Unione Industriale Serica, con capitale sociale di 400.000 lire. «La Società ha per iscopo l'industria ed il commercio delie sete ed affini. La Società è duratura da oggi sino al 31 dicembre 1919». Le azioni sono divise tra «Arturo Semenza, lire 148,600, Comm. Francesco Gondrand, 5000, Rag. Giuseppe GaIlese, 22.000, Ennio Neri 10,000, Enrico Semenza, 20.000, Canzi Onorevole Luigi 10.000, Edoardo Colombo 5000, Banca Zaccaria Pisa 34.000, Francesco Felolo, 2000, Avv. Francesco Masperi 2000, Elisa Bolgeri vedova. Michel 43,800, Ing. Arturo Vismara 17,500, Cozzetti avv. Antonio 28.000, Cavenaghi Giovanni 2100, Ing. Alberto Castiglioni, 50,000. Totale lire 400.000. […] A comporre il primo Consiglio di amministrazione vengono eletti i signori: Campagnani rag. Carlo, Gallese rag. Giuseppe, Enrico Semenza, ing. Arturo Vismara, Mascarello rag. Giulio Luigi, avv. Antonio Cozzetti ed ing. Alberto Castiglioni. […] Il Consiglio e gli intervenuti nominano consigliere delegato della Società per i primi quattro esercizi il signor rag. Giuseppe Gallese».
Nel 1914 l’immobile fu venduto all’Unione Industriale Serica, società anonima con sede a Milano.
Nel 1917, per compravendita, passò a Gallese Giuseppe di Giovanni.
Nel 1927 fu acquistato da Cristini Luigi, Faustino, Battista E Giuseppe fu Rocco, intestatari al 5 agosto 1935.

Nel 1935, data del rilevamento dei certificati censuari storici, la situazione degli edifici manifatturieri posti sul percorso della Sèstola era la seguente. La ditta Fratelli Cristini fu Rocco era proprietaria degli immobili:

via

 

natura e destinazione dei fabbricati piani vani n° da mappa
Mulini di Zone 95 mulino da grano ad acqua 1 2     3281
Centrica 95 casa annessa 2 5 3282
Ponzano 90 follo da coperte con turbina idraulica 1 4 1118

13891

Ponzano 90 casa annessa 3 14   13892
Ponzano 90 zerbo = = 116
Ponzano 89 casa 3 9 317
Mulini 99 officina elettrica 2 4 3181
Mulini 99 follo da coperte con casa 2 3 3182
Mulini 68 filatoio di lana 2 2 149
Mulini 66 casa annessa 2 14 1561
Forno 96 setificio (fabbrica coperte di lana) 5 30 96

 

I Fratelli Cristini fu Rocco sono proprietari, inoltre e a Ponzano, dei mappali 361, 362 e 365 (Ciódere).

Nello stesso periodo le Industrie Tessili Bresciane (ITB) sono proprietarie dei seguenti immobili:

via natura e destinazione dei fabbricati piani vani n° da mappa
Mulini 196 casa 2 3 326
Mulini 196 ripostiglio 1 1 326
Mulini 96 mulino da grano ad acqua (parte di opificio) 1 1 325
Mulini 97 opificio, fabbrica coperte lana 2 2 3241
Mulini officina elettrica 1 1 3242
Mulini 196 casa padronale da abitazione 4 10 1115
Mulini di Zone 100 casa  

2

 

9

3512

3513

Mulini di Zone 100 casa abitazione 1 2 3511
Mulini 70 mulino da grano ad acqua 1 1 3121

3122

Mulini 73 gualchiera tessuti 2 4 143
Bascià1 71 follo da coperte 1 1 1471
Mulini Bascià 71 officina elettrica con turbina di HP 54 1 1 1471
Mulini 26 mulino da grano ad acqua con casa 2 2 139

 

Il mappale 150, falegnameria, è proprietà dei fratelli Pennacchio fu Luigi.
I fratelli Cristini fu Andrea sono proprietari del mappale 114, fabbrica di coperte di lana (in origine mappali 272, 273, 113, 114, 115 e 117).

Mappale 96: le immagini storiche.

 

La storia di una famiglia nella memoria della signora Giuseppina Cristini dei Cavallari moglie di Rocco Cristini detto Caifa fu Luigi detto Bigio.

La signora Giuseppina Cristini Pina, figlia di Giovanni Maria Cristini Lio Cavallari, si può considerare la memoria storica della famiglia Cristini: essa ha conservato gelosamente alcuni album fotografici con la raccolta di tutte le immagini della famiglia. Il frontespizio di uno di essi recita: «Questo album di fotografie è stato completato il 30.12.1984, a corredo della storia di tre grandi famiglie: la mia, quella del papà, la nostra».

«Sposandomi ero entrata a far parte di una grande famiglia, grande per numero e per tradizione.
Per risalire agli inizi della fabbricazione delle coperte di lana bisogna partire dal 1823 con il bisnonno Luigi, che dette inizio a questa attività: con la sola follatura delle coperte si allargò e progredì, durante il secolo, fino ad arrivare alla lavorazione completa, dal fiocco di lana fino al prodotto finito, nel 1860.
In seguito – secondo i tempi, le guerre, i periodi di crisi, di abbondanza di richieste (anche estere) – perfezionò la produzione con diversi tipi di coperte: bianche sopraffine, uso Bolzano pesanti, bigio uso casermaggio, per ospedali, istituti, negozianti e per l’esercito. Più tardi si arrivò alla coperta uso cammello, Jaquard a fiori, a quadri colorati con frange e panni di lana.

Luigi Cristini si sposò con Paola Zanotti di Pregasso ed ebbe cinque figli: Andrea, Rocco, Giovanni, Elisabetta (che si coniugò Pennacchio) e Margherita (coniugata Bontempi).
Rocco e Andrea continuarono l’attività iniziata dal padre, in società fino al 1906, anno in cui morì Andrea.
Rocco, nato nel 1847, è il capostipite della nostra famiglia.
Dall’età di venti anni fino ai trenta fu vice brigadiere a Gardone Val Trompia, dove conobbe Caterina Cabona che divenne sua moglie.
Generarono undici figli, quattro dei quali morirono: i sette rimasti erano Luigi, Bigio, (1880-1956), Fausto (1883-1960), Paola, suor Celeste delle Ancelle della Carità dal 1905, (1885-1973), Catterina Tirì (1888-1971), Battista, Tito, (1890-1968), Giuseppe, Gepe, (1893-1961) e Orsolina (1897-1895).

Tutta la numerosa famiglia, con quella del fratello Andrea, partecipava alla lavorazione delle coperte, facendo parte regolarmente, per molti anni, delle maestranze.
Nel 1907, fu acquistato lo stabilimento che poi fu denominato dei Brüsàcc, e sempre con i figli di Andrea, deceduto nel 1906, l’attività andava ampliandosi.
Nel 1911 le due famiglie decisero di costituire due società indipendenti e per questo fu sospesa la lavorazione delle coperte per un anno, per provvedere alla separazione amministrativa e logistica.
Nel 1912 le due aziende ripresero la produzione: i Cristini fu Andrea rimasero nello stabilimento vicino al lago (i Cristì de Sóta o Brüsàcc), mentre i Cristini fu Rocco ripresero l’attività a Ponzano con una quarantina di operai (i Cristì de Sura).

Con la volontà, che suppliva ai limiti ed alle ristrettezze dell’azienda, ripresero la lavorazione che aumentò al punto che, nel 1919, poterono acquistare il fabbricato che era stato il setificio Vismara, riconvertendolo ed ammodernandone anche le strutture murarie.
Durante la Prima Guerra Mondiale i due fratelli più giovani, Tito e Giuseppe, furono militari, il primo per quattro anni in artiglieria e per tre il secondo come sottotenente del genio telegrafisti.

Dopo il conflitto, i fratelli Luigi e Faustino, rimasti vedovi nel 1919, ripresero in pieno la lavorazione delle coperte con i fratelli Tito e Giuseppe (che divenne direttore dello stabilimento) e continuarono il lavoro fino al 1940, anno in cui il fratello Fausto si dissociò, andando ad abitare con la famiglia nel cosiddetto Palazzo dei Cristini, sito in paese, vicino al lago.
Luigi detto Bigio, primogenito di Rocco, sposato con Orsolina Guerini di Vesto (detta la signorina perché era figlia unica ed aveva ricevuto una buona educazione in un collegio di suore), ebbe otto figli, di cui quattro morirono in tenera età. Rimasero Teresina, Andrea, Rocco (mio marito) e Giovanni.
Dopo la Grande Guerra la Spagnola gli portò via la moglie Orsolina a soli 37 anni. Rimase vedovo per alcuni anni, rimanendo nella casa paterna di Ponzano, con i fratelli e con le sorelle Catterina e Orsolina, ancora nubili.
Più tardi si sposò con Oliva Cappelletti di Ghedi e si trasferì con tutta la famiglia in paese, in un grande appartamento contiguo alla fabbrica.
Dalla seconda moglie ebbe altri cinque figli: Michele, Carolina Lina, Caterina Catinì, Albino, che fece studi di perito chimico, ed Evaristo, perito tessile.

Quando io ho sposato Rocco, Teresina era già sposata con Giacomo Zenti, industriale della seta, residente a Riva di Solto, e aveva già un paio di figli.
Andrea si era sposato con Andreina Dusi, figlia di Isabella, cugina di Bigio: anche loro avevano già un maschietto, Gianluigi.
Con il nostro matrimonio avevamo formato un nucleo a margine della grande famiglia di Bigio, ed eravamo tutti dipendenti dell’azienda, presso la quale risiedevamo.

L’attività della fabbrica era già in crisi, e fu colpita dalla tremenda alluvione del 9 Luglio del 1953, che danneggiò irreparabilmente lo stabilimento, tanto da non potersi più riprendere come prima la produzione: era così danneggiato che il cortile a fianco dei reparti era invaso da massi enormi trascinati a valle dalla furia delle acque.
Dopo otto anni di tentativi di ripresa la fabbrica dovette essere abbandonata definitivamente e nel 1961 fu venduta a Sergio Moglia, che lo riadattò per la produzione di feltri per cartiera.
L’azienda, dopo oltre 100 anni di attività, cessò dunque la propria vita».

Il mappale 96 e l'alluvione del 1953.
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Il mappale 96 oggi.
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Le testimonianze

Giacomo Felappi riferisce «I Vismara erano oriundi di Rho, in provincia di Milano, e da proprietari terrieri divennero industriali.
Anche a Marone i loro possedimenti erano tantissimi: in Monte di Marone erano proprietari di El Giardì, Roadine, el Stalù, in paese del Bacologico, Villa Vismara, costruita dopo la Grande Guerra. Prima abitavano all’ingresso del loro stabilimento.
Nei dintorni di Marone vi erano numerose filande: quella Zenti a Vello, una era anche a Sale Marasino. Proliferavano le piantagioni di gelso e molte persone erano dedite all’allevamento del baco da seta, curato col lavoro di intere famiglie.
Il setificio prosperò fino al 1929, l’anno del crollo della Borsa americana di Wall Street, che sconvolse anche l’industria serica. Così il setificio di Marone (i Vismara ne avevano uno anche sul Lago di Endine e, forse, anche a Sulzano) chiuse i battenti.
Anche il Bacologico, luogo tipico della bachicoltura, fu venduto ai Dell’Oro.
La Villa Vismara fu acquistata dai signori Longhi-Stucchi di Iseo nell’anno 1985 e poi dal Comune di Marone. Tutte le proprietà di Monte di Marone sono state vendute in questi ultimi anni di fine e inizio millennio».

Giacomo Felappi riferisce ancora che, dopo l’acquisto da parte dei Cristini, «Fu demolito il tetto a capanna e gettata la soletta a cemento armato; alcuni macchinari furono recuperati e altri acquistati, altri adattati. Furono comperati ovviamente tutti i diritti relativi alla proprietà e al l’uso dell’acqua del Consorzio dei Vasi della Festola e di Ariolo prima di pertinenza del Setificio Arturo Vismara fu Antonio: il salto del l’acqua era di m. 6,04.
In questo nuovo stabilimento trovò posto adatto tutto il ciclo della lavorazione della lana, dal lavaggio alla tessitura: le coperte però erano ancora portate a Ponzano nella Sulférera per la disinfezione e la brillatura, nonché per essere asciugate e stirate sulle Ciódere.
A poco a poco però l’attività laniera di Ponzano cessò e dopo il boom della guerra, periodo in cui si lavorò tantissimo, diminuì pian piano anche nello stabilimento di Marone: il colpo di grazia lo diede poi l’alluvione del luglio 1953.
Più o meno durante il decennio antecedente la Seconda Guerra Mondiale la ditta F.lli Cristini fu Rocco acquistò il Copertificio Perani – vecchio d’anni e dalle strutture murarie poco stabili per poter sostenere il peso e i movimenti delle macchine, collocate al primo piano. I Perani erano proprietari anche del blocco di case, ora tutte disabitate e pericolanti in via Montenero e nelle cui stanze molto tempo prima erano piazzati i macchinari per la lavorazione delle coperte: avevano annesse Ciódere e Sulférera. Vi erano pure i folli, collocati vicino al canale della Sèstola, in località Vardèl dei bés.
Nel 1946 i fratelli Cristini si divisero in due tronconi e lo stabilimento Perani di via Piazze passò a Faustino e figli e la proprietà di via Montenero agli altri fratelli. A Fausto toccò anche il palazzo, posto in riva al lago e poco di stante dalla parrocchiale, chiamato popolarmente Vaticano. In seguito divenne sua proprietà anche il Bacologico.
Agli altri fratelli invece restò lo stabilimento detto dei Cristì de Sura (mappale 96)».

«A Ponzano si cominciò con i telai a mano» racconta Michele Cristini «e nonno Rocco ne aveva ancora uno, che usava al tempo della Prima Guerra Mondiale.
Lì veniva fatta tutta la lavorazione della lana, meno il lavaggio. I folli erano in via Fucina, sempre a Ponzano.
Mi ricordo i foi a martèi di casa Metelli con quel rumore caratteristico ritmato, che sbattevano le coperte nell’acqua contenente la terra di follo, finissima e rossa, che portavano giù dalla Madonna del la Rota.

Riferiscono i fratelli Fenaroli Giacomo e Martino «I Cristini fratelli fu Rocco cessarono la loro attività con l’alluvione del 1953, ma già dall’ anno 1950 gli operai facevano soltanto tre giorni di lavoro alla settimana.
Ci fu un periodo in cui si era scelto un operaio per ogni famiglia, che lavorava solo 4 ore al giorno, per dare a tutti la possibilità di guadagnare almeno un minimo per sopravvivere.
Con l’alluvione i titolari dell’azienda chiesero il contributo dello Stato secondo quanto stabiliva una legge speciale per facilitare la ripresa dell’attività lavorativa, ma – a quanto si è poi dimostrato – non era sol o questione di alluvione: altre cause più gravi a monte determinarono la chiusura totale. Tant’è che non riuscendo a restituire i capitali dei mutui e a pagare gli interessi, i titolari cominciarono a vendere gli immobili di loro proprietà: ricordi amo, a esempio, che fu in quel periodo, nel novembre del 1964, che fu venduto il fondo di Madai a Ponzano, casa e prato».
Dice, inoltre, Guerini Cesare «Moglia Sergio comperò l’immobile dei fratelli Cristini fu Rocco nel 1961 e nel 1969 vi aggiunse la parte nuova, che termina a confine con il muraglione in cemento armato con la ferrovia a Piazze».

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