I Mulini di Zone

Nella Poliza del Comun de Zon presentata l’anno 1573, il Comune dichiara di essere proprietario di «Item trei molini cum una roda per molino sul il territorio di maron contrata de Botini over Calon de li quali ne caveremo per ogni anno sachi quattro formento detrato perhò li spesi» [Sina, 1941].

Descrizione

I Mulini di Zone

1. I Mulini di Zone

Marone sul lago d’Iseo confina con il Comune di Zone, paese montano ai piedi del monte Gölem.
Quasi al confine tra i due paesi, in località Verlì la natura creò una sorgente d’acqua di portata eccezionale e continua.
Era logico che, nel tempo, gli abitanti della zona pensassero a sfruttare questa manna di Dio nei modi utili alla loro vita quotidiana per il soddisfacimento delle loro necessità.
L’ uso di quest’ acqua si perde ovviamente nel tempo, soprattutto a fini agricoli.
Non si hanno dati certi ma lo sfruttamento a fini artigianali e poi industriali risale, almeno, al secolo XIV, ma si deve giungere al 13 giugno del 1897 per la costituzione legale di un Consorzio, che regoli i diritti e i doveri tra i soci, riguardo l’uso delle acque.

L’ex sindaco di Zone, signor Cagni Luigi, sostiene che anticamente la sorgente della Sèstola apparteneva al territorio di quel Comune e che fu venduta a quello di Marone, perché per loro era inutilizzabile: l’acqua infatti scende e non sale.

Come mai una via o frazione di Marone si chiama popolarmente Mulì de Su?
Come mai l’attuale Via Montenero — che parte da Ponzano e raggiunge la strada provinciale per Zone poco dopo Collepiano, via oramai quasi completamente disabitata — agli inizi del 1900 era chiamata ufficialmente «Strada Comunale dei Mulini» e in dialetto Bià dei Mulì de Su, nominativo tuttora in uso?
Le risposte delle persone interpellate, ondeggianti tra i se e i ma, tra i ricordi e i mi pare — più o meno confluiscono in un dato unico: lassù c ‘era un mulino di proprietà di quelli di Zone.

Gli zonesi, produttori di granoturco (formentù), di orzo (órs) e anche di grano (formét) scendevano con muli e asini a macinare a Marone, proprio in quel mulino, che per primo sfruttava l’acqua del Canale della Sèstola, i cui macchinari erano azionati dalle ruote mosse dalla sua caduta.
Qualcuno dice anche che quel mulino, che funzionava nell’attuale immobile o casa intestata a Bertelli Lorenzo, in Via Montenero 21, fosse di proprietà della famiglia Almici.

Andai allora dagli attuali Almici, interessati alla vicenda, quelli dell’albergo omonimo; e ho parlato con il nipote Giulio: «Mai avuto un mulino a Marone, né i miei genitori, né i miei nonni; non ho mai sentito parlare di questo mulino.  lo son figlio di Luigi e suo papà era Francesco, detto Paneco, che agli inizi del 1900 costruì il rifugio sul Monte Guglielmo e poi l’albergo, qui a Zone, con annessi un mulino e una segheria.  Il mulino qui a Zone e non a Marone.  Mio nonno fu il primo in tutta la zona del Sebino a costruire anche una  centralina elettrica sul torrente Bagnadore, qui sotto, a fianco delle Piramidi, in località Nimulì, tra le Marse de sura e i Colèc’ de Camplani de sóta, che poi passammo alla Bresciana, poi ENEL, e che ora è di proprietà Bazzana.

A Marone, ai Mulì de Su, mio nonno comperava energia elettrica, perché quella che producevamo non era spesso sufficiente a far andare e mulino e segheria contemporaneamente ed era Egisto Zeni, detto Giusto o Gusto, che ce la forniva; lo so, perché ogni tanto non ce la mandavano su e allora si doveva scendere ogni volta a chiederne il perché: intanto si dovevano fermare le macchine. A volte ci fornivano energia elettrica solo di notte, quando a Marone non funzionavano gli stabilimenti».

Questa la testimonianza dell’Almici, che si discosta alquanto da quella rilasciata dal signor Cagni Luigi, che dice:
«Il nonno degli attuali Almici dell’albergo, detto Paneco, venne a Marone a gestire di persona il primo mulino, quello situato nell’attuale casa Bertelli.
A quei tempi, a cavallo tra il 1800 e il 1900, fu incoraggiato, istruito e aiutato a costruire una centralina elettrica a Zone, in località Nimulì sotto la frazione di Sant’Antonio, dove fino a qualche anno fa esisteva una cabina, da parte di un tecnico e amico di Brescia; col permesso dell’Amministrazione Comunale di allora raccolse tutte le acque della zona e le convogliò in una condotta forzata per fare girare una dinamo, che poi diede corrente elettrica per una delle prime forme di illuminazione pubblica e privata.

Solo dopo aver allestito e fatto funzionare la centralina, Paneco abbandonò il mulino di Marone, che passò in gestione a Panigada Francesco detto Papù [1878-1935) per qualche anno, e a Zone costruì un mulino suo proprio, vicino all’ albergo e successivamente anche una segheria.
Il Panigada venne a Marone da Fraine nel 1895, a 17 anni, e lavorò al mulino di Via dei Mulini solo per qualche anno; poi nel 1905 comperò e gestì in proprio il mulino di via Piazze, tuttora di proprietà dei nipoti.

Il mulino e la segheria in Zone erano in piena attività, pare, ancora negli anni Venti del Novecento».
Mi sono rivolto infine anche al signor Giuseppe o Beppe Pennacchio, classe 1927, di Marone ma da qualche tempo abitante a Zone e lui, finalmente mi svelò l’arcano.
Ecco la sua testimonianza.

«Non erano gli Almici ad avere il mulino a Marone, ma il Comune di Zone, mulino che cessò ogni attività prima della Guerra Mondiale 1940-45: forse addirittura intorno agli anni Trenta.
La nuova strada Marone-Zone fu fatta negli anni 1930-32 e prima si passa va solo dall’ attuale Via Montenero, nome che sostituì quello antico di Via dei Mulini o Mulì de Su dopo la prima Guerra Mondiale del ’15-18; la gente allora andava a piedi o coi carretti trascinati da muli, asini o più raramente da cavalli, che scendevano e salivano a portare merci.
Il mulino era in una posizione strategica, anche come luogo di incontro delle persone, che si scambiavano spesso e volentieri quattro chiacchiere e non pochi pettegolezzi, nonché interessanti informazioni.

Mi ricordo, io avrò avuto sei o sette anni, che avevano tirato fuori le molasse, le enormi ruote di pietra che girando macinavano il grano, e le avevano buttate lì sul fianco della strada: ciò vuol dire che l’attività era cessata del tutto.
Tu lo sai che la mia famiglia era fatta di falegnami e io da ragazzo salivo spesso ai Mulì de Su col mio papà Angelo, che veniva ogni tanto chiamato ad aggiustare le ruote di legno, che a furia di girare, si rompevano ora qua ora là.
Le ruote, questo me lo ricordo bene, erano due: una per il mulino della farina gialla e una per quello della farina bianca e ho presente davanti agli occhi il buio pesto che c’era dentro, dove intravvedevo un cancellino, sormontato da una tenda a rete per non lasciare disperdere la polvere».

Il signor Beppe Pennacchio, a cui notoriamente piace la compagnia, si dilunga a precisare — a proposito di corrente elettrica — che ai Mulì de Su è nata la prima vera centralina elettrica, che ha fornito all’ intero paese di Marone l’energia per l’illuminazione.
Il promotore e il costruttore fu Egisto Zeni detto Glisto o Gilisto, papà di Giuseppe detto Bepo Zeni, i cui figli furono tutti più o meno tecnici della elettricità: la centralina stava vicino a Bolerne, mappale 322 fienile e prato Pennacchio, e sfruttava l’acqua del canale della Sèstola: egli poi la vendette alle I.T.B. (Industrie Tessili Bresciane).

A gestire la centralina fu chiamato Turelli Domenico detto Nosènt i cui figli, Antonio e Giulio, avevano adattato in uno stanzone una falegnameria con alcune macchine, le prime a quei tempi, che funzionavano azionate da un contralbero, dotato di cinghie di cuoio, mosso da energia elettrica.
«Mio nonno Luigi — insiste ancora il signor Beppe Pennacchio— fu il primo costruttore di un acquedotto privato ad uso familiare. Sfruttando una sorgente chiamata el sistirnì — che stava proprio lì sotto al Mulì de Su, appena a fianco dell’attuale casotto del depuratore del Comune di Marone, mise dei tubi, che portavano acqua a due fontanelle, una di qua della strada vicina alla casa dei Gianìe e l’altra di là, fuori casa Zeni, e alla nostra cascina di Bolerne e poi — giù fino al tornante di Guadai, tuttora funzionante.

Successivamente costruì un serbatoio nel prato delle sorelle Uccelli a Ponzano, ex proprietà fratelli Cristini fu Rocco, e da lì i tubi entravano nella casa di Battista Cristini, detto Tito, e delle sue sorelle Orsola e Caterina detta Tirì per finire in casa nostra».
Per tornare infine all’argomento iniziale la ragione vera di tutta questa storia sta nei Certificati Storici Catastali, scoperti nell’ archivio di proprietà attuale del Feltrificio Moglia.
Il Comune di Zone era proprietario di ben tre mulini Marone: uno alloggiato in casa Bertelli, un secondo nel casotto dell’attuale depuratore delle acque dell’acquedotto comunale e il terzo nella casa ora intestata a Zanotti Giovanni Pietro dei Quaranta, disabitata, quella stessa dove tanti anni fa abitavano i fratelli Turelli Antonio, Giulio e Rina di Domenico Nosènt.

3. Il mappale 328.

La famiglia Parzani (poi Arisi e poi Almici) di Zone possiede nel 1531 «Un molino et folo in contrata de Calon sul territorio de Maroni», che può essere localizzato o nella casa di Ghitti Luigi Pagi della Sèstola (mappale 217) o nel mappale 304.
Nella Poliza del Comun de Zon presentata l’anno 1573, il Comune dichiara di essere proprietario di «Item trei molini cum una roda per molino sul il territorio di maron contrata de Botini over Calon de li quali ne caveremo per ogni anno sachi quattro formento detrato perhò li spesi» [Sina, 1941].
I tre mulini rimangono di proprietà del Comune di Zone fin verso il 1880 (326-324 con vari passaggi, nel 1921 divengono proprietà delle ITB) e il 1936 (328, quando passa alla ditta dei fratelli Cristini Luigi, Faustino, Battista e Giuseppe, i Cristì de Sura).

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Il mappale 328

Il mappale 328 è una macina per grano e una pila da orzo di due ruote (cassette di sopra) del diametro di 3,60 e 3,40 m.
Il 29 ottobre 1936 — atto notarile n° 4.922 del notaio Tullio Bonardi di Iseo — il Comune di Zone vende ai fratelli Cristini Luigi, Faustino, Battista detto Tito dei Nine e Giuseppe fu Rocco:
Un mulino da grano ad acqua di piani 1, e vani 2 (mappale 328—1) con casa annessa di piani 2 e vani 5 (mappale 328—2), situati in Via Centrica — Mulini di Zone — n.° 95. Dal catasto austriaco risulta che detta proprietà era intestata al Comune di Zone «in forza di antico possesso» e vengono così descritte le sue caratteristiche:
«N° di mappa 328 — Mulino da grano e Pila da orzo ad acqua, con casa di pertiche metriche 0,12 e con la rendita di lire austriache 47,76».
L’immobile accatastato al n° 328 corrisponde all’attuale casa Bertelli.
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4. La testimonianza di Bertelli Lorenzo detto Renzo.

«Partendo dall’alto il primo opificio azionato dalla forza dell’acqua del canale della Sèstola — dice il signor Renzo — è stato il mulino di Zone, che era insediato nella mia casa. Detto mulino è quello che ha dato il nome a tutta questa via negli anni passati: i Mulì de Su».

A dire il vero - aggiungo io - la via dei Mulini anticamente cominciava a Piazze con il nome di via dei Mulini o Bià dei Scalì, fino a Ponzano, dove cominciava la via dei Mulì de Su fin quasi ai Dossi: dopo la Grande Guerra del 1915—18 la prima parte fu chiamata via IV Novembre e la seconda parte Via Montenero.
Naturalmente l’attuale edificio ha una veste tutta diversa, a causa dei miglioramenti edilizi di quasi cent’anni, tali da renderlo irriconoscibile, a seguito anche del cambio e del passaggio di molti proprietari.
A pochi metri — a monte di casa Bertelli — termina, come terminava in passato, il corso all’aria aperta del canale, che dalla località Verlì giunge lì apparentemente pianeggiante e con una piccola cascatella presso la casa Sèstola, ma con dislivello effettivo di metri 19,82 su una lunghezza complessiva di 740 metri.

Nel punto dove termina il tratto pianeggiante c’è una presa, una vasca in cemento, non più di uno slargo del canale, ora tutta rovinata e abbandonata, cosicché l’acqua se ne va libera lungo l’alveo, che un tempo era adibito allo smaltimento del troppo pieno; fino a una decina di anni fa (1990) esisteva, appoggiata su robusti piloni, una condotta forzata in grossi tubi di ferro, di cui ora rimane solo l’imboccatura dentro la massa di calcestruzzo.
Più in basso di qualche metro esiste ancora un pilastro, basso e robusto, a testimoniare di aver sopportato per anni il peso della tubazione, esso stesso appoggiato su un grosso masso.

«I tubi li ho tolti io, conferma il signor Renzo, intorno agli anni ‘80 e i resti li puoi vedere laggiù accanto al canale, oltre la casa, assieme all’ imbuto di inizio, ormai tutti arrugginiti e disfatti».
Per fare spazio al nuovo cortile venne rimosso anche un alto pilastro di sostegno della condotta forzata: «Dava fastidio lì in mezzo e poi non ser viva a nessuno».

«Prima degli anni ‘30 del Novecento vi venne ad abitare la famiglia di mio padre e cioè mio padre Bertelli Luigi detto il Magher, suo fratello Giovanni e la loro madre e mia nonna Francesca; presero possesso di due stanze, quelle poste verso il lago, una sopra l’altra: a piano terra la cucina e al primo piano la camera per tutti e tre».
Luigi, detto el Magher sposa nel ‘30’ Guerini Angela della famiglia dei Présenc’ di Vesto e nascono, dal 1932 al 1946, sei figli, di cui a tutt’oggi (2001) cinque viventi: Giovanni detto Gianni, Lorenzo detto Renzo, Francesca, Giuseppe e Andreina.
Abitarono in questo complesso, cambiando stanze a più riprese e pagando l’affitto al Comune di Zone fino al 1936, poi ai fratelli Cristini fu Rocco e, infine, alle I.T.B.

«Mi ricordo, dice Renzo, che da bambino accompagnavo mio papà a Zone, quando saliva a pagare l’affitto al Comune, come ho presente il signor Andrea Cristini, che veniva personalmente da noi a riscuoterlo per conto del signor Giuseppe, el sciòr Giusèpe: ammontava a lire 12.000».
I fratelli Cristini comperarono l’immobile del mulino dal Comune di Zone il 29 ottobre 1936 non tanto per le mura quanto per i diritti legati all’ uso dell’acqua del canale della Sèstola, per avere più potenza ai fini industriali, tant’è che vendettero ai signori Bertelli la casa nel 1958, ma si tennero tali diritti.
I Bertelli comperarono poi anche le due stanze verso lago dalle ITB, compresi gli orti circostanti, nell’anno 1968.

Negli anni intorno alla Seconda Guerra Mondiale questo immobile ospitò nelle sue stanze un nugolo di inquilini: la Basgiutìna, la Ninì coi figli Carlo, el Sindèch e la sorella Mea, Battista Ghitti detto Nino dei Genìa, appena sposato, che aveva qui la camera da letto, mentre la cucina stava nell’edificio di famiglia più sotto di una cinquantina di metri.
La parte verso monte dell’edificio e a piano strada era tutta adibita a mulino, mentre l’attuale abitazione dei signor Renzo Bertelli era occupata da un enorme solaio dove veniva depositato il grano ad essiccare.

Il mulino si apriva su un portico, che copriva tutta la strada acciottolata e ripida, grazie al prolungamento del tetto, che terminava su un pilastro da un lato e sul muro della casa dall’ altro: il portico fu demolito più o meno nel 1990 e ora rimane solo il pilastro.

Gli asini e i muli carichi di grano venivano fermati e legati sotto il portico, erano liberati del loro carico e rifocillati, ricaricati di sacchi di farina e poi avviati a destinazione.
«Il signor Giudici Terzo detto Terzo Capù di Ariolo, ricorda Renzo, mi raccontava di quanti sacchi di grano aveva rifornito questo mulino, spingendo fin quassù il suo asino!».
«Edèt chele gambe stórte che go? — gli diceva la Laurina — Iè storte per el peso dei sach de formét e formentù e de farina, che go portàt! Óter che bale... le me bele signurine d’en cö!» [«Vedi queste gambe storte? — gli diceva Laurina — Sono storte per il peso dei sacchi di frumento e granturco e di farine che ho trasportato! Questa è la verità… mie belle signorine di oggi!»].

A sinistra dell’ingresso al mulino esisteva un enorme blocco rettangolare di pietra con scavati dentro due grossi buchi semisferici, uno a fianco dell’altro, le così dette pile, dove si dice che venissero ripuliti dalla pula el formét e l’orzo
Altri sostengono che servissero a pestare con un mortaio èl formét, l’órs e il sale e che gli addetti a quel particolare lavoro fossero chiamati Pestù e Pestunsì.

Il complesso dei macchinari era il solito: su una struttura di legno, come un palco, stava il mulino vero e proprio, composto da due molasse di pietra: quella sotto immobile, l’altra che girava in tondo mossa da un sistema di alberi e ingranaggi, collegati con la ruota a pale esterna, che a sua volta si muoveva spinta dalla caduta dell’acqua.
L’acqua giungeva sopra le pale cieche della ruota, scorrendo dentro dei canali in legno a forma di U e accavallati gli uni sopra gli altri [le canalette, ndr]; le ruote erano a metà parete del muro esterno, posto a Nord, e furono tolte negli anni nella seconda metà del Novecento.
Un pezzo di una vecchia molassa sta, ancora adesso, a basso dell’unico pilastro rimasto, che sosteneva il portico.
«Il resto delle molasse finì in pezzi a formare gli infiniti gradini (i scalì) dell’attuale strada; mi ricordo che eravamo appena prima della guerra e che avrò avuto sette/otto anni — ribadisce Renzo — e non so fino a quando funzionò esattamente il mulino; certamente nel decennio dal 1920 al 1930 qualche segno di vita ci doveva essere ancora: mio padre non mi ha mai raccontato di averlo visto funzionare».

Domando: «Non ricordi di un piccolo edificio, qui sotto casa, dove poteva funzionare un piccolo laboratorio, visto che dagli elaborati tecnici a firma di Vittorio Fontana, figura disegnata in quel posto una piccola ruota motrice?».

«Il casotto del depuratore dell’acqua dell’acquedotto comunale ha sostituito un vecchio stallino, successivamente trasformato in una piccola falegnameria, dove lavoravano i fratelli Turelli Antonio e Giulio; io l’ho sempre visto quel l’edificio e tra la mia casa e quell’edificio lì stava e sta un piccolo serbatoio d’acqua, con i resti di un grosso tubo, ora riempito di terra a formare un’aiuola.
Può darsi che ci fosse una ruota motrice e ci fosse magari un piccolo maglio, un follo... Che ne so?».
Nel prato-parcheggio antistante il locale del depuratore (mappale 326), in fondo, passa ancora la condotta forzata dell’acqua del Consorzio del canale della Sèstola, sostenuta da piloni e appena oltre scorre a cielo aperto l’acqua del troppo pieno.

5. Il mappale 326

Il mappale 326

Il mappale 326 corrisponde al casotto del depuratore dell’acqua dell’acquedotto comunale, al di sotto e al confine con la proprietà Lorenzo Bertelli.

Dall’estratto catastale storico della partita 725 del Catasto Fabbricati di Marone, datato 11 luglio 1935 — XIII E.F. — risulta intestato il mappale n° 326 è così descritto:
«Nel trentennio 1854 - 1884 il mappale n° 326 del nuovo Catasto dei fabbricati del Comune di Marone, corrispondente al n° 326 della mappa del vecchio Catasto di detto Comune trovasi intestato alla ditta Comune di Zone per antico possesso come segue: 326 mulino da grano ad acqua pertiche 0.50 rendita f: 39.80».

Il 4 Aprile 1874 il mappale (con i mappali 321, 322, 324, 324 e 325, prati e pascoli, solo il 324 mulino) diviene proprietà «della ditta Guerrini Giacomo, Giuseppe, Eugenio, Emilia e Luigia fratelli e sorelle fu Matteo proprietari e Rosa Carrara vedova Guerini madre, usufruttuaria in parte».
Il 1° Giugno dello stesso anno la proprietà cambia nome, e il mappale accatastato alla «ditta Guerrini Giacomo, Giuseppe, Cesare, Eugenio ed Emilia fratelli e sorelle fu Matteo»; Rosa Carrara vedova Guerini madre, rimane usufruttuaria in parte.
«Nell'anno 1877 Dicembre 19 detti mappali per petizione n° 31 furono, dico come da istrumento di assegno 18 Ottobre 1877 n° 350 del notaio Maraglio di Sale Marasino, detti mappali furono trasportati alla ditta Guerrini Giacomo, Giuseppe, Eugenio ed Emilia fratelli e sorelle fu Matteo e Carrara Rosa fu Giuseppe.
Nel 1879 Novembre 20 per petizioni n° 44, come da certificato di denunciata successione 13 Novembre 1879 dell'Ufficio Registro di Iseo, i predetti mappali furono trasportati alla ditta Guerrini Giuseppe, Eugenio, ed Emilia fratelli e sorelle fu Matteo e Carrara Rosa fu Giuseppe proprietari e la stessa Carrara Rosa usufruttuaria in parte».

Nel 1921 I Guerrini, che intanto avevano modificato il nome della ditta in Gruppo Tessile Guerrini, cedono tutte le loro proprietà alle Industrie Tessili Bresciane di Giuseppe Ballerio: tra queste il mappale 326 che nel 1935 è così descritto: «Via Mulini 196, casa piani 2 — vani 3 – mappale 326 – rendita lire 40,00; Via Mulini 196, ripostiglio — piani 1 — vani 1 — mappale 326 – rendita lire 53,35».

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6. Il mappale 324.

Il mappale 324.

I tre numeri di mappa 322 (prato detto Bolerne), 325 e 324 nell’anno 1877 erano venduti dal Comune di Zone alla ditta Ghitti Angela fu Giovanni Battista «per istrumento d’acquisto 19/12/1877 n° 413 del notaio D.r Maraglio di Salemarasino».

Il 5/2/1881 il mappale n° 324 passa dal Catasto terreni al Catasto fabbricati, come segue: «Contrada Centrica, n° 239 - mulino da grano ad acqua - piani 1 - vani 1 al n° 324 di mappa - reddito lire 40.
«Nell'anno 1881 i detti mappali venivano da questa partita 377 intestati alla Ditta Ghitti Angela fu Gio. Battista trasportati dal Catasto dei terreni a quello dei fabbricati per ordinanza 5 Febbraio 1881 n° 3540 dell'Intendenza di Finanza di Brescia limitatamente al n° 324 mentre i numeri 322 - 325 sopra descritti nell'anno 1884 dalla ditta Ghitti Angela fu Gio. Battista venivano discaricati ed in forza di istrumento 4 Maggio 1884 n° 1532 dal notaio Maraglio di Sale Marasino venivano trasportati alla ditta Zeni Emilio di Angelo, partita 1185 del vecchio Catasto dei terreni dove risultavano caricati a tutto il 1884.

Il mappale 324 trasportato dal Catasto dei terreni a quello dei fabbricati come segue: Contrada Centrino n° 239, mulino da grano ad acqua di piani 1/vani 1 al n° 324 di mappa reddito f: 40 in testa alla ditta Ghitti Angela fu Gio. Battista per ordinanza intendentizia del 5 Febbraio 1881, come innanzi è stato accennato, nell'anno 1884 in forza di atto di vendita del 4 Maggio 1884 n° 1532 del notaio Maraglio di Sale Marasino veniva trasportato alla partita 282 di detto Catasto alla ditta Zeni Emilio di Angelo ove risultò caricato a tutto il 1886.
Il 4/5/1884 i tre numeri di mappa 322/325 e 324 «in forza di atto di vendita» passano alla ditta Zeni Emilio di Angelo, ove risultano caricati a tutto il 1886».

Nella mappa catastale del 1852 il mappale 224 risulta in ristrutturazione e ampliamento.
Alle Industrie Tessili Bresciane, in data luglio 1935, sono intestati i mappali n° 324, 325 e 322 corrispondenti ai nuovi mappali del Catasto unitario 325-324/1-324/2 e parte del mappale n° 1115, che figuravano accatastati sempre alla stessa ditta del Comune di Zone nel trentennio 1854-1884 a titolo di antico possesso, come segue: «Mappale 322 - Prato - Pertiche 0,71- rendita lire 2,12; Mappale 325 - Pascolo - Pertiche 0.14 - rendita lire 0,09; Mappale 324 - mulino da grano ad acqua - Pertiche 0,14 - rendita lire 37,40».

Nel 1935 vengono così descritti: «Via Mulini, n° 96 - mulino da grano ad acqua - piani 1 - vani 1 - mappale 325 - parte di opificio; Via Mulini, n° 97 - opificio, fabbrica coperte di lana - piani 2 - vani 2; Mappale 324/1; Via Mulini, n° 97 - officina elettrica - piani 1 - vani 1 - mappale. 324/2».

Da tutto questo groviglio di dati possiamo dire che il mappale n° 324, corrispondente all’attuale casa di proprietà del signor Giovanni Pietro Zanotti detto Quaranta e ora disabitata, era sede di un mulino di grano ad acqua originariamente di proprietà del Comune di Zone, probabilmente al primo piano con ingresso dal prato (mappale 325) che sta appena sotto al depuratore comunale.
Alla fine dell’Ottocento in quell’edificio funzionava anche un lanificio al piano terra, ma in parte anche al primo piano, pare di capire, e ciò fino alla Prima Guerra Mondiale o poco più.
Dal 1901 il signor Zeni vi installò la prima turbina elettrica, che soppiantò nel giro di poco tempo l’energia meccanica prodotta dal girare delle ruote mosse dalla caduta dell’acqua. La turbina fu installata appena a destra dell’entrata principale, che guarda a lago.
In quest’immobile quindi — a cavallo tra i due secoli — funzionavano contemporaneamente un mulino, un opificio e una turbina.

Anche il mappale 322 (poi 324/2) era annesso al mappale 324 (poi 324/1) e consisteva in un triangolo di terreno davanti e a fianco a Nord della casa contenete il mulino, l’opificio e la turbina: fu usato come Ciodéra dagli Zeni.
Attualmente questo prato, detto Bolerne, è proprietà della Dolomite Franchi (precedentemente era proprietà dei fratelli Pennacchio di Ponzano).

7. La testimonianza di Turelli Giulio fu Domenico detto Nosènt.

Il signor Turelli Giulio, papà di Guglielmina e Savio, fratello di Antonio e Caterina detta Rina, figlio di Domenico detto Noshènt e di Maddalena Gregorini di Piancamuno detta Madalì, visse per anni ai Mulì de Su come addetto al funzionamento e alla manutenzione della turbina dei Guerì.
Riguardo al mulino di casa Bertelli e area circostante conferma più o meno esattamente le stesse notizie prima riferite.
Anche lui erroneamente attribuisce la proprietà agli Almici, segno che molti a quei tempi credevano fosse vera.«Era un andirivieni continuo, ricorda, di muli carichi di sacchi, pieni di granoturco, frumento e orzo, ora appoggiati sui basti, ora sui carretti o anche sö le prèale.
Scendevano dalla vecchia strada di Zone, se erano molto carichi, ma salivano anche da Ponzano lungo la ripida mulattiera, se un carico veniva dalla Bassa bresciana».

Domando: «Nel disegno dell’ing. Fontana quel mulino si presenta con tre ruote motrici, due grandi e una piccola e appena sotto viene disegnato un piccolo opificio con una sola ruota di media grandezza: sai dirmi qualcosa di preciso?».
Dopo aver localizzato il piccolo edificio nel posto dell’attuale depuratore del Comune di Marone e nell’ area circostante, dice: «Doveva essere sede di un maglio, dove l’artigiano che vi lavorava far giava attrezzi agricoli: altro di più preciso non ti so dire».

Nei documenti catastali, datati 1938, quel piccolo edificio figura di proprietà delle I.T.B.
E scendendo di poche decine di metri sulla strada ancora selciata di sassi lucidi per il lungo uso secolare si giunge alla terza officina, ora di proprietà del signor Giovanni Pietro Zanotti dei Quaranta, l’ultima in fondo a questo primo gruppo di case dei Mulì de Su.

Prima del 1900 vi funzionava un mulino ed era di proprietà del Comune di Zone; successivamente questo mulino fu acquistato dal signor Zeni Emilio, padre di Giuseppe detto Bèpo Zeni coniugato con Vittoria Poli e genitori di una numerosa famiglia, il quale vi collocò un’industria laniera a lavorazione completa, dalla filatura della lana alla tessitura delle coperte, utilizzando in un primo tempo la forza motrice tradizionale della ruota, fatta girare dalla caduta dell’acqua del canale della Sèstola e poi dall’energia elettrica, fornitagli da una turbina da lui stesso congegnata e collocata in quello stesso locale.
Si dice che il Comune di Zone gli avesse venduto l’immobile col mulino a patto che si realizzasse il progetto della centralina e a condizione che lo Zeni fornisse energia elettrica al paese di Zone, anche se solo di notte.

Per fare ciò egli progettò e realizzò un tubo per la condotta forzata dell’acqua, facendo costruire sotto casa Bertelli un enorme serbatoio, del quale esistono tuttora i resti o muri di contenimento, riempiti di terra e trasformati in aiuola: il lato a lago reca ancora il cerchio in ferro della prima parte della grossa tubazione.
La turbina cominciò a funzionare nell’anno 1901 e da quell’ anno si presume sia stato smantellato il vecchio apparato della ruota, dei canali in legno, di tutti i congegni relativi alla fornitura dell’energia meccanica per far funzionare sia il mulino che l’opificio.

La turbina era ed è sempre stata collocata nella prima stanza a destra, entrando dalla porta principale, che guarda tuttora a lago, mentre lo stabilimento della lana stava a monte, dove erano sistemate in ordine logico di lavorazione diverse macchine dal lavaggio della lana grezza alla cardatura delle coperte: folli, lupette, filatoi (filaröi) e telai (téler).
Vicino alla casa di abitazione, tuttora esistente alta, lunga e stretta, a destra di chi sale, lo Zeni sistemò nel prato scosceso (parte del mappale 323) tre file di ciodére, un marchingegno fatto di due lunghe travi orizzontali e parallele, munite di un’infinità di punte di ferro, con sopra una lamiera in posizione obliqua, che riparasse dall’acqua, ma che non impedisse di prendere più sole possibile alle coperte, che — chiodo dopo chiodo — venivano fissate e conficcate verticalmente dopo essere state tirate da un arganello: qui dovevano asciugare.
Ma gli affari allo Zeni non devono essere andati troppo bene, se qualche tempo dopo gli subentrarono i bergamaschi signori Perani, titolare legale Luigi Perani, a cui cedette l’immobile e tutto il terreno fino al confine Bertelli e che a suo tempo aveva comperato dal Comune di Zone.

Ma anche la loro attività non andò oltre un lustro e nel 1915, primo anno della Guerra Mondiale, proprietà ed attività passarono alla banca, la sola che esisteva a Marone, la quale vendette subito il tutto alle Industrie Tessili Bresciane, a cui interessava la centrale elettrica, più che l’attività laniera, la quale — pare — durò sì e no fino al 1920.
Fu approntata una condotta elettrica dai Mulini di Zone fino allo stabilimento, che sorgeva, dove ora stanno i nuovi capannoni della Dolomite, a fianco di Via Europa.
Dal 1900 al 1915 la centralina fornì energia elettrica per l’illuminazione a Marone, Sale e Vello, che allora era Comune autonomo.

Nel 1921 le ITB. collocarono come custode e tecnico elettrico il signor Turelli Domenico, da tutti conosciuto come Nosènt, che vi si trasferì con tutta la sua famiglia. ­
La turbina non occupava che una piccola parte a piano terra dell’immensa casa, per cui negli anni 1920—25 la restante parte a monte fu trasformata in zona di abitazione civile: vi abitarono la famiglia di Ghitti Francesco (Chì Gianìa), quella di Ghitti Francesco (Chì Bièt) e quella di Bontempi Luigi (Bigio Michèt), padre di Giani Mento.

Questa centralina, come quella situata in casa Novali Luca, a metà di Via IV Novembre o dei Scalì, sempre di proprietà delle ITB, funzionò fino agli anni Sessanta del Novecento; poi nel 1962-64 le ITB cessarono la loro attività in quel di Marone per trasferirla a Merone (Como).
Nel 2002, sia in casa ex-Turelli che in quella del defunto Novali esistevano ancora i macchinari delle turbine, ovviamente in uno stato di ferraglia arrugginita da Campo Emmaus.

8. Il mappale 1115, la casa degli Zeni.

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La casa Zeni (negli anni '30 del Novecento proprietà delle ITB), è contraddistinta dal mappale 1115 ed era cosi descritta nel 1935: «Via Mulini, 126 - casa padronale da abitazione - piani 4 - vani 10 - rendita lire 513,30».
Nella mappa catastale del 1808 non compare; risulta in costruzione nella mappa del 1852; è terminata nel catasto unitario.

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