Mappali 190-240: dai Ghitti di Fancini, ai Guerini fino alle ITB

Descrizione

Mappali 190-240: dai Ghitti di Fancini, ai Guerini fino alle ITB

I Ghitti di Fancini

Per come è ricostruita, nel Libro per le Famiglie, la storia di questa famiglia, quasi del tutto priva di date e di riferimenti, pare sia stata elaborata in funzione di Pietro Ghitti [†1821], possidente e benefattore locale.

La pergamena n° 9 dell’archivio parrocchiale di Marone[1] è un documento redatto il 2 giugno 1560 dal presbitero Iacopo Zatti di Zone, pubblico notaio. Antonio figlio del q. Berardo Gigola e Pietro «q. Francini de Gitti», cognato del Gigola, cedono alcuni beni, rendite e benefici enfiteutici a Bartolomeo q. Antonio Cassia, che agisce anche a nome della moglie Caterina Gigola q. Marco Antonio, «pro dote et legiptima [quota ereditaria] paterna» dovuta a Bartolomeo dal defunto Marco Antonio. Non si tratta di un contratto dotale, ma del suo atto esecutivo.

La possibile origine della famiglia dei Fancini, deriverebbe dall’avo Francini de Gittis, in cui il nome è un diminutivo di Francesco (Francinì, Francischì o Franculì, in dialetto, ne sono alcuni). Pietro Ghitti del Franci compare nel 1573[2] come contribuente di Collepiano. La casa nel 1641 è proprietà del nipote Francesco q. Giovanni Battista Ghitti[3] e nel 1785 - notevolmente ingrandita poiché ora è di tre stanze a volta al piano terra, altre al primo piano, con portico, lobbia e corte - degli eredi di Pietro Bontempi q. Giuseppe[4] che l’aveva acquistata, tra il 1735 e il 1755, dal sacerdote Antonio Ghitti q. Antonio dei Bagnadore (costituiva suo patrimonio personale perché non ve n’è traccia nel fedecommesso di Antonio padre). Il fatto che Pietro abitasse in Collepiano (frazione abitata da molti Gigola) non è casuale (vi abitavano due altre famiglie nucleari Ghitti).
Un elemento possibile di continuità della famiglia - che si ritrova nell’elaborazione del Buscio e nelle ricorrenze negli estimi - è la proprietà di una gualchiera in località Follo, posta tra Ariolo e Marone[5].

Fino al 1785 non vi sono notizie dirette della famiglia dei Fancini, se non quanto riportato nel Libro per le Famiglie.
Nell’estimo del 1785 unico della famiglia con partita è Pietro Ghitti[6], ultimo di otto figli. I fratelli, a questa data, o sono deceduti - i maschi senza dubbio, perché più anziani beneficerebbero dell’eredità paterna e sarebbero titolari di polizza, cosa che non è - e le donne, nubili, convivono con Pietro. La gualchiera, «in contrada di Coi, ossia del Follo» nel 1785 è sua proprietà e l’ha ereditata dai fratelli Ghitti q. Bartolomeo detti del Follo. Bartolomeo e uno dei figli di Paolo che nell’albero elaborato da Buscio - il quale documenta esclusivamente famiglie esistenti alla fine del XVIII secolo o da poco estinte - non ha figli (ma, evidentemente, ne aveva avuti e solo femmine, almeno stando alle eredità, poiché Pietro viene in possesso anche di alcuni appezzamenti degli eredi di Bartolomeo); all’inizio del XIX secolo la gualchiera è della famiglia Richiedei (sono cognati e nipoti di Pietro, in quanto la sorella Francesca ha sposato Carlo Richiedei), che a sua volta la cede - nel 1832 - ai Guerini[7].

Pietro, da quanto emerge dalla sua polizza d’estimo, è tra i maggiorenti di Marone. Possiede una casa prestigiosa (che nel 1600 era dei Fenaroli, e che dopo la sua morte e, forse, contestualmente alla vendita della gualchiera - ma con atto diverso - è ceduta alla famiglia Guerini, che, a sua volta, la vende, nel Novecento, ai Cristini) quanto quella dei Bagnadore e numerosi appezzamenti di terreno.
Le sue proprietà sono, oltre alla gualchiera[8], la grande casa in contrada delle Calchere - 14 stanze su due piani, solaio, loggia e corte - con orto di 15 tavole contiguo e una casa limitrofa in contrada delle Rosine (25 lire), «le case della torre con orto [che] fanno con la Città» e una «cosinetta con camerina sopra» da poco costruita in contrada di Monticelli (10 lire) e 16 appezzamenti di terreno (ad Ariolo, Collepiano e in Monte di Marone, oltre a 1,80 piò contigui al follo) per un’estensione di 18,79 piò e del valore di 1571 lire.

Nel suo testamento del 6 marzo 1821 «oltre a varj altri lasciti a favore d’altri Comuni, legava agli eredi l’obbligo della dispensa di n° 10 (dieci) carghe o sacchi di formento formentone ogni anno da dispensarsi ai poveri di Marone nel mese di Giugno»: il legato è a favore della Congregazione di Carità di Marone ed è amministrato da Paolo Richiedei, suo nipote, figlio di Francesca e Carlo[9].

[1]  D. Omodei, Contributo alla catalogazione delle pergamene…., cit.
[2]  1573, c. 19v. .
[3]  1637, p. 66 (le pagine del documento sono numerate recto e verso).
[4]  1785, c 63v.
[5]  Di questa gualchiera si conosce l’intera storia, essendo, nel Novecento, diventata la sede delle Industrie Tessili Bresciane. Vedi R. Predali [a cura di], L’economia bresciana… cit., p 134 e sgg. Nel 1573 Gaspare Ghitti q. Battista (partita 64, è Gasparo nel Buscio) ha una casa con orto ad Ariolo (confinante «à sera Zan Paol di Gitti») del valore di 240 lire, una gualchiera indivisa «con suo fr:ello» Giovanni Paolo, in contrada di Iniso (che è anche «cont:a del Follo», come è denominata nella partita 90, o di Coi). Giovanni Paolo q. Battista (partita 71, è Paolo nel Buscio) non denuncia la porzione di casa in comproprietà e la metà della gualchiera.
[6]  1785, c. 20v., 21r. e 80r.
[7]  R. Predali [a cura di], L’economia bresciana… cit.
[8]  «Un corpo di case di più stanze terranee, e superiori cupate, con edificio di Follo, nel tener di Marone in contrada di Coi, ossia del Follo ereditate delli frattelli Ghitti q. Bartholemeo detti del Follo».
[9]  Fondo Ghitti, busta 014 doc 033; A. Morandini, Marone sul lago d’Iseo... cit., p. 55.

I Guerini di Matteo

Il 15 aprile 1770 nasce a Marone Giacomo Guerini (m. 1842), figlio di Matteo (?-1778) e di Antonia (1733-1811); a ventitré anni si sposa con Maria Catterina (1772-1810, figlia del loverese - trasferito a Marone - Pietro Mondinali e di Francesca).La famiglia Guerini (o Guerini) detta di Matteo nel ‘700 abita ad Ariolo in una casa di “diverse stanze terranee, e superiori cupate, con corte”. Qui vi abitavano Giacomo e Giovanna (i capostipiti) con i figli Matteo, Giacomo, Lorenzo, Stefano e Francesca.

Di Matteo sappiamo che sposa Maria Antonia Guerini della famiglia degli Ottavio: dalla loro unione nascono Giovanna (1751-?), Margherita (1772-1840) e il Giacomo primo produttore di feltri.
Degli altri figli del primo Giacomo sappiamo poco: gli eredi di Matteo e di Giacomo, con i figli di Guerino, loro cugino (che è proprietario di una bottega nella Tresanda della Piazza a Marone), abitavano nella casa di Ariolo. In questo, come in numerosi altri, si constata la coabitazione, nello stesso cortivo, di più famiglie nucleari che si rifanno a un unico ceppo.
Nel 1785 Lorenzo Guerini di Giacomo possiede un’ampia casa di due piani “cupata” in contrada di Piazze, con un piccolo orto, una stalla in monte di Marone e la sesta parte della casa di Ariolo; gli eredi di Matteo Guerini possiedono quattro sesti della casa di Ariolo e un orto contiguo; un sesto della casa di Ariolo è proprietà dei figli di Guerino.

Morandini parla di un brevetto dato ai Guerini dal Governo Veneto (“è andato purtroppo perduto il brevetto concesso in antecedenza dal Doge di Venezia”): la cosa è improbabile in quanto, almeno fino al 1785, nessun membro della famiglia dei Guerini di Matteo era proprietario di un follo.

Il Morandini riporta: “Nel 1820 introduceva una nuova miglioria nella fabbricazione dei feltri e inoltrava domanda all’Imperatore di Austria Francesco I per averne il relativo brevetto. E il 24 marzo 1822 tale brevetto gli veniva concesso per 10 anni. Abbiamo potuto fin dal 1943 prendere visione e copiare il documento stesso per gentile concessione della compianta Annetta Guerini che lo conservava gelosamente come ricordo di famiglia. Il documento era steso in lingua latina [attualmente il documento non è più reperibile, ndr.]. Vi si dichiara che il signor Giacomo Guerini di Marone ha presentato umilissima supplica per avere il brevetto (Privilegium Exclusivum per decem annos) avendo introdotto una nuova miglioria nella fabbricazione di quel panno pressato fatto di parti di lana oleosa e grassa occorrente alla fabbricazione di una carta migliore. La miglioria consiste nella trattazione, purgazione e condensazione e la relativa descrizione segreta sigillata accompagnava la supplica”.

Il brevetto, più prosaicamente, viene concesso nel 1823 a “Guerini Giacomo di Marone, provincia di Brescia: miglioramento intorno al modo di sodare i panni privilegiato il 24 marzo 1823. L’inventore, nel sodare i panni fa uso di un’argilla che si trova nella provincia di Vicenza, e che serve soltanto alla fabbricazione del vasellame”. La miglioria consisteva “in sostanza, nell’estrazione di tutte le parti oleose ed untuose delle lane nella loro fabbricazione e nella piena purgazione delle medesime non che nella conseguente composizione di panni feltri indispensabili alla fabbricazione della carta, di qualità non solo infinitamente migliorata nel regno lombardo-veneto, ma eccellente in confronto di qualunque altra”1. Il privilegio ha la durata di dieci anni e nel 1834 non è più rinnovato.

Morandini continua dicendo: “A chi trasgredirà tale legge privilegio è comminata la pena di 100 fiorini d’oro da dividersi metà al signor Giacomo Guerini e metà ai poveri di Marone, rimanendo al Guerini i diritti di rifusione degli altri danni. Le macchine dei feltrifici di allora non permettevano la fabbricazione di feltri molto lunghi, mentre le cartiere avevano già macchine abbastanza lunghe. Bisognava dunque trovare il modo di supplire a questa deficienza. Fu tradizione viva in casa Guerini che Emilia (nipote dell’inventore dei feltri) fu quella che provando e riprovando riuscì a cucire tra loro le parti di feltri divise con una cucitura che si può dire veramente tessitura a mano”.
Il Morandini riporta anche una “[…] tradizione della stessa famiglia [che] sarebbe quella, non potuta controllare con documenti, che un’altra signorina Guerini sarebbe andata in Inghilterra come dama di compagnia della signora di un industriale dei feltri e lì avrebbe potuto copiarne la ricetta e portarla in famiglia”: la leggenda del viaggio e del furto della ricetta è comune a molte famiglie di imprenditori lanieri italiani, ed è indicativa del modo italiano di affrontare e giustificare il ritardo tecnologico.

Nel 1825, in occasione dell’Esposizione di oggetti d’arte e di manifatture in onore di Francesco I, la fabbrica privilegiata Guerini Antonio [?] espone alcuni tessuti di lana.
Il 02 Novembre 1832 è formalizzato l’atto del 14 Settembre 1828 con cui «Matteo e Giosuè Guerini del vivente signor Giacomo» divengono proprietari della «casa detta il Folo e l’edificio in essa indiviso unitamente il campo attiguo detto il Folo», i mappali 190 e 240, acquistata da Paolo Richiedei, che vende a nome dei genitori Angelo ed Elisabetta.
1832-atto-di-acquisto

È solo dopo l’Unità d’Italia, che i Guerini incrementano notevolmente le proprietà, gli occupati e la produzione.
Dal presumibile avvio di attività, precedente al 1822, per oltre un quarantennio, non si registra alcuno sviluppo dell’attività, anzi, pare vi sia una contrazione della produzione rispetto agli inizi.
È solo dopo l’Unità d’Italia, che i Guerini incrementano le proprietà.
Questo gruppo di proprietà, costituitosi attorno al nucleo dell’opificio del Folo acquistato nel 1832, costituivano le sedi produttive della ditta Guerini, mantenutesi tali fino al 1921, anno della cessione del Gruppo Tessile Guerini alle Industrie Tessili Bresciane.
L’assetto societario è, in questi anni, cambiato varie volte: sempre, però, all’interno della famiglia e, pare, esclusivamente in funzione di fatti anagrafici.

Nel 1877 la ditta F.lli Guerini, produttrice di feltri, ha sei operai e la ditta Guerini fu Matteo, produttrice di coperte, quattordici.
Dal 1877 al 1901 la ditta Guerini passa da 14 a 71 addetti (+ 507%): determinante allo sviluppo il nuovo assetto del mercato creatosi dopo l’Unità d’Italia, che da regionale diventa nazionale.

Nel 1921 il Gruppo Tessile Guerini viene ceduto alle Industrie Tessili Bresciane.

Industrie Tessili Bresciane (ITB)

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Le Industrie Tessili Bresciane (ITB) furono fondate nel 1919 su iniziativa di Giuseppe Ballerio (1883-1955) esponente, più tardi, del "Banco Mazzola e Perlasca" e promotore dell'"Unione Tecnica dei Feltrifici Italiani". Ebbero sede legale a Brescia, prima in via Gabriele Rosa 34, poi in via Veronica Gambara 5 ed in seguito in via Callegari 4.
Nel 1921 le ITB acquistano il Lanificio Sebino di Sale Marasino, il Gruppo Tessile F.lli Guerrini e la Ditta Battista e F.lli Cuter a Marone.
Il Ballerio, rilevando queste aziende e dando impulso alla loro meccanizzazione, immise nuove energie nella produttiva, ma non dinamica, industria laniera sebina.

Nel 1922 le ITB dispongono di 4 opifici, di cui 1 a Redona in provincia di Bergamo (nello stabilimento dell'ex Industria Cotoniera di Redona) dove venivano prodotti, con moderni impianti di tintoria e finissaggio, tessuti colorati, destinati in gran parte all'esportazione in Paesi europei ed extraeuropei, e 3 nel bresciano.
Sul lago di Iseo le ITB compirono opera di coordinamento di varie iniziative locali dando carattere di modernità alla secolare industria ivi esercitata: quella della lavorazione della lana.
A Sale Marasino acquistato lo stabilimento dell'ex Lanificio del Sebino lo ampliarono e perfezionarono dotandolo del macchinario più moderno. Le coperte di pura lana, di ogni genere, ivi prodotte, conquistarono un posto importantissimo sul mercato, a fianco delle più quotate industrie similari; quello di Sale Marasino fu tra i pochi stabilimenti del genere in Italia che poterono assumere forniture importanti per l'Esercito e per la Marina.

Agli inizi degli anni venti le ITB introdussero la confezione delle coperte con bordo jacquard e tutte jacquard (fantasia). Queste coperte si imposero rapidamente sul mercato per la regolarità della finitura, per la bontà della materia prima, per l'ottima riuscita del disegno e dei colori, acquistando come clienti oltre al Ministero della Marina, quello della Guerra, il Ministero degli Interni, le FF.SS., orfanotrofi, ospedali, manicomi, case di pena, case di ricovero, luoghi pii in genere.
A Sale Marasino dove erano impiegati oltre 100 operai si compivano le operazioni di battitura, di filatura e tessitura della lana.

Per le opere di finissaggio (follatura, garzatura, asciugatura, zolfatura e pianatura) veniva utilizzato lo stabilimento di Marone già della ditta Battista F.lli Cuter.
Sempre a Marone, nell'ex stabilimento Guerrini, si producevano feltri per cartiere, con telai per filtri umidi senza fine fino a 7,50 metri di luce di pettine, telai pesanti per essiccatori in cotone fino a 4,50 metri, cioè adatti per le più larghe e moderne continue per la fabbricazione della carta allora esistenti in Italia.
Nonostante la concorrenza specie austriaca, le ITB riuscirono a fornire già fin dal 1922 le principali cartiere italiane e a dare il via all'esportazione.
Le ITB furono presenti con successo alla prima Fiera Navigante sulla R. Nave Trinacria, alla Fiera Campionaria a Milano, e a quella di Trieste. Nel 1929 partecipavano alla 3° Fiera Campionaria di Tripoli.
Nei due opifici di Sale Marasino e di Marone. erano occupati complessivamente 126 operai che salivano a circa 200 nel 1930: in quest'ultimo anno la produzione di feltri delle ITB corrispose circa al 50% della produzione nazionale.

Nel secondo dopoguerra, dopo i primi anni di ripresa, le ITB risentirono delle difficoltà del mercato delle coperte e delle trasformazioni tecnologiche del feltro per cartiera.
La sezione copertificio venne chiusa, e quella dei feltri trasferita nel 1971 a Merone nel Comasco, in vista di un diverso programma industriale.

Con l’avvento a Marone del gruppo industriale di Ballerio e della Feltri Marone di Attilio Franchi (1932) la breve storia del feltrificio, quale prodotto locale, ha termine.
Nel 1935 – quando la proprietà del Gruppo Tessile Guerini è passata alle Industrie Tessili Bresciane – gli immobili di proprietà e su cui si godono i diritti dell’acqua della Sèstola e dell’Ariolo sono:

 

via natura e destinazione dei fabbricati piani vani n° da mappa
Mulini 196 casa 2 3 326
Mulini 196 ripostiglio 1 1 326
Mulini 96 mulino da grano ad acqua (parte di opificio) 1 1 325
Mulini 97 opificio, fabbrica coperte lana 2 2 3241
Mulini 97 officina elettrica 1 1 3242
Mulini 196 casa padronale da abitazione 4 10 1115
Mulini di Zone 100 casa  

2

 

9

3512

3513

Mulini di Zone 100 casa abitazione 1 2 3511
Mulini 70 mulino da grano ad acqua 1 1 3121

3122

Mulini 73 gualchiera tessuti 2 4 143
Bascià1 71 follo da coperte 1 1 1471
Folletto 300 Filatoio e tessitura lana 3 5 240

190

Folletto 300 Cardatura lana 2 2
Folletto 300 Casa annessa 2 6
Folletto 300 Grandi edifici a sched e tettoia chiusa 2 2 240
Folletto 300 Studio annesso 1 1 190
Folletto 300 tettoia 1 1
Folletto 300 Portineria, casa del portinaio 2 6 240
Mulini Bascià 71 officina elettrica con turbina di HP 54 1 1 1471
Mulini 26 mulino da grano ad acqua con casa 2 2 139

 

La testimonianza del geometra Cesare Guerini.

Dopo la Grande Guerra l'industria attraversò il suo periodo più nero, che culminò nella debacle di Wall Street del 29 ottobre 1929, che coinvolse tutto il mondo finanziario di allora.
I Fratelli Guerini non vollero rischiare più di tanto e vendettero alle ITB tutto l'immobile e la relativa attività dello stabilimento di Marone: amministratore delegato era il commendatore Ballerio.
Così le ITB si accorparono anche l'esclusiva dei feltri, da sempre la caratteristica industriale di Marone: infatti ai Guerì la specializzazione era sempre stata quella dei feltri, mai delle coperte.

Per tessere i feltri l'operazione è simile a quella delle coperte, ma bisognava conoscere il segreto di unire i capi estremi per dare loro la forma di un tubo per poter essere poi montato sui cilindri delle macchine delle cartiere e girare come una cinghia.
Nell'anno 1957 le Industrie Tessili Bresciane abbandonarono Marone per Merone (Como) e la Dolomite Franchi acquistò tutto l'immobile, lo demolì e ne ricavò lo stabilimento per la costruzione di mattoni refrattari: ovviamente la Franchi entrò automaticamente a far parte del Consorzio della Festola e dell'Ariolo come socio di diritto.

Per inciso: nel 1928 circa nacque la Feltri Marone sui resti dell'immobile, dove erano stati cominciati i lavori per la fabbricazione degli elettrodi (1920), fabbrica che che si trasferì a Forno d'Allione: qui a Marone gli  operai di detta fabbrica erano stati battezzati Strōc’.

 

La testimonianza di Guido Pezzotti

Entrai a lavorare alle ITB o Industrie Tessili Bresciane nell'anno 1940 nel reparto Tessitura Feltri, praticamente a inizio della Seconda Guerra Mondiale.
Non so perché i Guerì vendettero alle ITB una tale esclusiva di lavorazione e quindi anche una tale garanzia di lavoro.

Vi si filava la lana per i feltri per cartiere, lunghi fino a venti metri di pettine, misurati cioè in piano e quindi di ben 40 metri, il doppio, se considerati nelle loro vera struttura, che è quella tubolare: servono infatti per essere fatti girare su cilindri .
Si facevano anche manicotti per pastifici, lunghi un metro o poco più .
In casi speciali preparavamo feltri anche più lunghi di 40 metri: nel caso però venivano agganciati i vari pezzi da mani espertissime, con un sistema sofisticato che pochi operai sapevano fare: a lavoro finito non si sapeva trovare il punto della loro congiunzione.
Diciamo che il feltro normale era quello di 20/40 metri e che i telai erano stati costruiti per tale misura standard; si lavorava per trama (larghezza) e ordito (lunghezza) .

Lo stabilimento era veramente grande e vi si accedeva per una strada, il cui  ingresso era esattamente dove ora ci sono i cancelli automatici della Dolomite Franchi; si saliva un po' e lì stava la portineria.

Vi si svolgeva la lavorazione completa della lana; allora i feltri erano fatti solo di lana e non di fibre sintetiche come oggi.
Vi era il reparto cardatura: la Lupetta era una macchina che spaccava il bioccolo di lana, ulteriormente sfilacciato poi dalla Cardatrice. A volte vi era un'aggiunta anche di cotone.
Poi si passava la lana ai filatoi che effettuavano le ultime e definitive operazioni sulle fibre tessili per trasformarle in fili di diverse e programmate misure.
A volte si torcevano due o più fili , a seconda delle necessità usando la torcitrice; i fili poi venivano avvolti sui rocchetti usando la roccatrice.

Nel reparto Rammendo le rammendatrici, erano quasi sempre donne, controllavano il feltro millimetro quadrato per millimetro quadrato e dove c'era anche solo un piccolo difetto veniva fatto un lavoro di sostituzione filo per filo in maniera perfetta.
Il feltro passava poi nel reparto Finissaggio dove veniva lavato con acqua e ingredienti vari e quindi si procedeva alla follatura.
Il follo era una macchina che sbatteva il feltro dentro una vasca con acqua e terra di follo e lo infeltriva quanto voluto.

Sulle calandre poi, dentro stanze ricche di vapore acqueo, riceveva la misura definitiva: le calandre erano due grossi cilindri su cui veniva fatto girare il tessuto: serviva sia a distendere come a comprimere il feltro.
Infine il prodotto rifinito veniva depositato in magazzino e nel reparto Spedizioni impacchettato e spedito ai destinatari.

Fare il calcolo adesso di tutte le macchine grosse o piccole è difficile: so di sicuro che c'erano 25/26 telai e 3 filatoi (filarői) grandi e dotati di centinaia di fusi'.
Appena dopo la guerra gli operai raggiunsero il numero anche di 250, ma il numero medio s'aggirò sui 140/150.
Le condizioni di lavoro e l'igienicità degli ambienti potrei definirle buone per quei tempi: lo stipendio medio era sulle 35.000 lire.

I canali della Sèstola e dell' Ariolo servivano allo stabilimento per due motivi: far funzionare le due centraline elettriche di proprietà delle ITB ai Molini di Zone e quella Novali. Le due centraline erano collegate via telefono con la Direzione delle ITB; poi, l'acqua del canale proveniente dall'Ariolo era usata all'interno dello stabilimento per i vasi usi delle pulizie e del lavaggio della lana e dei feltri e degli altri prodotti.

Le ITB erano tra i più forti soci del Consorzio del Canale della Festola, dell'Ariolo e Basso Bagnadore: non avevano ruote da far girare, tipo quelle dei mulini.
Presidente era il comm. rag. Giuseppe Ballerio (poi altri come il signor Tremolada), direttori vari il signor Domingo Leporatti, Zatti, Moglia e ciò fino al 1960 circa, quando bolliva in pentola il trasferimento a Merone.
lo non so le ragioni precise di questo trasferimento, che causò scioperi e malcontento fra la popolazione di Marone; si dice che i proprietari effettivi erano i signori azionisti residenti sul lago di Como, dove avevano un'industria laniera ben avviata, ma non feltrificio. Stava loro bene riunire là il tutto e come stabilimento e come maestranze: ai nostri operai fecero grandi promesse, se si fossero trasferiti là.

Nel 1957 cominciarono a demolire la portineria e la casa del direttore, appena costruita qualche anno precedente (è qui che successe la disgrazia della morte di Cesare Corrà, detto Cesara, travolto da una ruspa).
Poi furono rimosse e spedite le macchine di alcuni reparti.
Nel 1964 il trasferimento era stato completato e tutta l'area fu acquistata dalla Dolomite Franchi che, come si vede, vi costruì suoi capannoni. Ovviamente i Franchi divennero automaticamente Soci del Consorzio del Canale della Festola al posto delle ITB.

Anch'io mi trasferii a Merone, con un aumento di più del doppio dello stipendio quale caporeparto: ma fu proprio lì che il 10/09/1964 la navetta di un telaio uscì dalla sua sede e mi spappolò l'occhio.
Dopo quell'incidente anche altri maronesi vennero a Merone, chi per molto tempo e chi per poco: Guerini Luigi Borsa, Domenica Guerini Guargì, Caterina Guerini Bute, Camilla Peri e altri.
Dopo 36 anni di lavoro (1940/1961 a Marone e 1961/1979 a Merone; sono andato in pensione.

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