Mappale 119

Nel 1860 vi sono sei frantoi, – due, senza dubbio, mossi da pale idrauliche (mappali 113 – questo mosso nel 1879 da una turbina – e 119), uno mosso dall’Opól e tre da uomini o animali – che, macinando 900 q.li di olive, producono 180 q.li di olio.

Descrizione

Mappale 119
Frantoio, via Adua

La cartografia del mappale 119.

 

Le notizie più antiche

Nel frantoio avvengono due operazioni distinte: la frantumazione delle olive – che anticamente era effettuata con molasse mosse da animali o dalla forza idraulica – e la spremitura, fatta, sempre anticamente, con torchi a bilanciere.

Nel 1573, Antonio Zeni possiede «Una pezza di terra arad:a, vidata, olivata, con una casetta et torcoletto, cont:a delle Are di Sotto la Via, à mezo di Gio: Jacc:o Pedergnia, à monte strada pio uno tavole trenta nove»; Tommaso Cassia «Una casa con horto, et torcolo, cont:* della Piazza, à mezo di la piazza, à monte Moretto de Maro. Est:a lire cento sessanta»; e Pietro fu Pietro Bontempi «Casa con corte, et horto, et un torcoletto cont:a de Campia à diman, et mezo di strada. Estimata lire duoi cento». Vi sono, dunque, tre frantoi per le olive: uno in una zona non identificata – la contrada delle Are di Sotto la Via –, uno a Collepiano e uno a Marone, posto dove oggi vi è il giardino di casa Guerini tra il Lungolago e via Makallé.

Nel 1641 Pietro Antonio fu Francesco Guerini è proprietario, a Vesto, di «due casette con un torcoletto dentro estimate lire trenta compreso il torcolo»; Francesco figlio del Tommaso Cassia cinquecentesco ha «una casa di corpi duoi terranei cilterati, et camare duoi sopra cuppate, con portico, et torcoletto dentro in contrada di Marone  […] Estimata lire cento et quaranta compreso il torcolo».

Nell’estimo del 1785 Bartolomeo Giuseppe e Lorenzo Ghitti dei Bertolini hanno partita.
Bartolomeo q. Bartolomeo[1] è sposato con Caterina Abondio di Darfo e ha 6 figlie, di cui una sposata a Viadanica e una con un Guerini di Vesto. Nel Buscio è scritto che Bortolo è stato «ucciso dai ladri nella campagna di Gorlago venendo da Bergamo». È proprietario, con il nipote Bartolomeo q. Lorenzo, di un frantoio («lavora in macinatora di venazoli», il suo non è dunque, a questa altezza cronologica, un frantoio che produce olio di oliva, ma olio di semi di vinaccioli)[2].
Bortolo e Lorenzo abitano in due case poste a poca distanza una dall’altra ma il Buscio non li considera fratelli “separati” (non lo dichiara, come in altri casi) e non elabora (con successiva numerazione) un nuovo foglio di famiglia: in questo caso l’elemento unificatore del gruppo parentale non è, evidentemente, l’abitazione ma l’attività del frantoio.
Nel 1869 proprietari sono Ghitti Girolamo, Elisabetta e Giulia fu Bartolomeo sono proprietari anche del mulino al mappale 149.
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Le immagini della fine dell’800 mostrano che la coltura dell’olivo era ampiamente diffusa. Nel medioevo, generalmente, l’olio era destinato a usi liturgici e alla tavola dei ricchi: non è, dunque, un caso che quasi tutti i piatti della tradizione locale siano a base di burro (che, spesso, era sostituito dallo strutto, per cui si compiva pienamente la cultura del burro e del maiale, più nord-europea che mediterranea).

Nel 1860 vi sono sei frantoi, – due, senza dubbio, mossi da pale idrauliche (mappali 113 – questo mosso nel 1879 da una turbina – e 119), uno mosso dall’Opól e tre da uomini o animali – che, macinando 900 q.li di olive, producono 180 q.li di olio. La resa del 20%, alta per lo standard attuale, era, forse, dovuta alla presenza di una varietà di ulivo oggi non più coltivata (molto alto, era chiamato in dialetto fogna), alla tradizione di iniziare la raccolta dopo l’11 novembre (san Martino) e dall’uso di non effettuare subito la spremitura.
Della produzione di olio sappiamo che il 21,5% (38,5 q.li) era impiegata nell’industria tessile (tessitura e follatura).
Centoquaranta quintali di olio erano, in gran parte, destinati al commercio.

[1]  1785, c. 6r. È proprietario - oltre che di metà del torchio con il nipote - di una casa che era «delli Antecessori d’esso» in contrada del Botto «con portico […] nuove camere di sopra con due lobbie col recto del cortivo» (non vi sono corrispondenze nel 1573 e nel 1641, ma la casa è, nel catasto napoleonico, il mappale 57) e di due pezze di terra (una in contrada del Foppello e una a Ponzano, 44 tavole che valgono 70 lire).
[2]  La coltura dell’ulivo - iniziata probabilmente con la dominazione romana di cui la villa Éla è un importante indizio e realizzata esclusivamente nei conoidi alluvionali e nelle zone collinari adiacenti - era destinata prevalentemente al mercato ma scarsamente, nella zona sebina, a uso alimentare (le ricette tradizionali locali sono tutte a base di burro e anticamente di strutto). A Marone l’olio era certamente utilizzato (in minima parte) per l’illuminazione domestica e soprattutto nella produzione laniera (filatura e follatura).

La storia cartografica
Nella mappa del 1808 il mappale 119 è posto tra via Foppello, via del Forno e via Razzica (via Foppello è oggi in parte chiusa, mentre a quei tempi portava al lago; via del Forno e quel tratto di via Razzica sono l’attuale via Adua): il complesso di case è proprietà della famiglia dei Ghitti detta dei Bertolini. Il mappale 119 corrisponde all’attuale casa Guerini dei Patatì.
Nel Piano Viganò del 1812 il torchio è collocato nel mappale 123 del 1808 (poi mappale 273) – da cui, probabilmente, vi era l’accesso – a fianco della «casa della vedova Ghitti [che dovrebbe essere Marta Domenica Cavallini [?–1812], moglie di Lorenzo, e bisnonna del Girolamo che ne è il proprietario nel 1879]».
In epoca austriaca è costruito lo Stradone che dalla chiesa parrocchiale porta a Toline: il centro di Marone è sventrato e muta radicalmente aspetto: il mappale 119 è parzialmente ridimensionato.

Nel 1879, nel Prospetto degli opifici esistenti nel Comune di Marone, che usano delle acque dell’Ariolo (Poi Consorzio dei Vasi della Festola e Ariolo del 1897) è segnata una macina d’olio di proprietà di Ghitti Girolamo fu Bartolomeo, descritta come «macina olio, motori, ruota motrice con pale piane di sotto, mappale 119».
Anche in una planimetria del vaso Ariolo in Marone – sempre del 5 Novembre del 1879 a firma dell’ingegner Adolfo Vasini – nel mappale 119 è segnato il simbolo di oleificio.
Nel 1897 fra i componenti del Consorzio, nato ufficialmente il 13 giugno 1897 – il proprietario dell’immobile del mappale 119 è sempre di Ghitti Girolamo ma la destinazione dell’opificio è torchio e non più macina olio.

Nel 1920 a corredo di una domanda per il rinnovo dell’autorizzazione all’uso delle acque del Vaso Sèstola e Ariolo, rivolta al Genio Civile, esiste una mappa, dove appare chiaro il di segno del mappale 119 e sopra la scritta Oleificio Zanotti.
Nel Profilo generale schematico degli opifici di Marone del 1938 il mappale 119 figura ancora intestato a Ghitti Girolamo con il disegno di una piccola ruota, che pesca nel canale di scarico uscente dallo stabilimento Arturo Vismara fu Antonio, poi fratelli Cristini fu Rocco.
Successivamente al 1920 all’oleificio subentrò l’attività di una distilleria.

Le immagini

 

Le testimonianze

Marcello Guerini fu Francesco Cesco dela Masna riferisce che «La casa, sita in Via Roma, 60 – di fronte all’ex–osteria Vino Cattivo, era proprietà prima dei signori Righettini e prima ancora del signor Soardi Nino, sarto–parrucchiere, ma era anticamente proprietà di Zanotti Angela (nubile), che aveva adottato come figlia la Annetta Gorini, che poi sposò Francesco Guerini dei Mosca detto dela Masna.

Fino all’ anno 1936 funzionava una distilleria per la grappa e fu chiusa perché la Finanza era lì tutti i giorni a controllare rigorosamente i guadagni da ridurti sul lastrico. Le grate dell’uva (raspi) erano portati in alcune stanze, che erano dove ora verdeggia il giardino della casa dei Guerini (Popi) sul lungolago: qui venivano coperte e fermentavano e al momento giusto schiacciate e distillate. Gli alambicchi, enormi, funzionavano a pieno ritmo: la grappa era l’unico distillato che la gente poteva permettersi a quei tempi.
Prima della distilleria questa casa era stata usata come frantoio delle olive, cioè alla line dell’800 e ai primi del ’900.
Sotto il livello del pianoterra c’erano due enormi cantine.

Gli alambicchi furono, infine, portati nella casa dei Guerini dela Masna al Lungolago e dove era attivo il frantoio delle olive, che cessò la sua attività negli anni ’60, quando la macina fu trasferita in via Giulio Guerini con la gestione di Sandro Ghirardelli.
Anche ad Ariolo, in via del Termen, nella casa di Giuliano Guerini dei Mosca esisteva una macina delle olive: si possono vedere tuttora (2002) i resti di due presse a mano, le cui molasse erano mosse da una ruota posta sul torrente Opól (oggi sono scomparse)».

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