Mappale 149

«Detto numero 149 corrisponde allo stesso mappale del Catasto Vecchio [austriaco] ed all’attivazione dello stesso [1852] era intestato a Ghitti Bartolomeo fu Bartolomeo ed era descritto: mulino di grano ad acqua di pertiche censuarie 0,06 e colla rendita di lire austriache 61,60».

Descrizione

Mappale 149
Mulino, via IV Novembre

La storia cartografica del mappale 149.

 

La storia catastale
«Detto numero 149 corrisponde allo stesso mappale del Catasto Vecchio [austriaco] ed all’attivazione dello stesso [1852] era intestato a Ghitti Bartolomeo fu Bartolomeo ed era descritto: mulino di grano ad acqua di pertiche censuarie 0,06 e colla rendita di lire austriache 61,60».
Nel 1853 - per petizione e per privata scrittura di acquisto del 7 marzo 1845 - passò dal Ghitti a Bonomelli Giovanni fu Giuseppe.
Nel 1858 passò prima a Bonomelli Giuseppe fu Giovanni proprietario e Facchi Laura fu Pietro sua madre usufruttuaria in parte e poi a Bonomelli Rachele fu Giovanni, maritata Comelli.
Nel 1859 passò a Danesi Francesco fu Francesco e Gabanelli Giulio.Nel 1865 - per scrittura privata autenticata dalla Giunta municipale di Parzanica - passò a Danesi Francesco fu Francesco e, nello stesso giorno, a Ghitti Bartolomeo fu Bartolomeo.
Nel 1869 proprietari sono Ghitti Girolamo, Elisabetta e Giulia fu Bartolomeo e le stesse Ghitti Elisabetta e Giulia usufruttuarie.
Nel 1871 sono proprietarie Ghitti Elisabetta e Giulia fu Bartolomeo.
Nel 1876 la proprietà passa a Ghitti Girolamo fu Bartolomeo.
Nel Prospetto dei vari opifici esistenti nel Comune di Marone, lungo il corso del Vaso Festola dell’anno 1879, in questo edificio è collocata una filatura lana intestata a Ghitti Girolamo fu Bortolo e sotto - quasi illeggibile - il nome Zeni Egisto.
Nel 1882 ne è proprietario Zeni Egisto di Angelo.
Nel 1920 - con nota n° 5 per compra vendita con atto 23 dicembre 1913 n.° 3768 registrata a Gardone V.T. il 2/1/1914 - passò a Perani Luigi fu Giuseppe.
Nel 1929 proprietari erano Perani Giuseppe fu Luigi per 5/8 e Perani Lucia, Dirce, e Elisabetta fu Luigi per 1/8 ciascuna.
Nel 1931 la proprietà passa a Perani Giuseppe fu Luigi.
Il 27 maggio 1936 il «Primo Procuratore delle Imposte Dirette attesta che alla partita 721 del vigente Catasto urbano del Comune di Marone figura iscritta la ditta Cristini Luigi, Faustino, Battista e Giuseppe fu Rocco per i seguenti stabili: Via Mulini 68, filatoio lana, piani 2 - vani 2, mappale 149».
Nel Profilo Generale Schematico di tutti gli opifici animati dalle acque del Canale Festola questo immobile - mappale 149 - è dotato di due ruote, una piccola a monte e una grande verso lago.
È interessante rilevare come il pelo di scarico dell’acqua del mulino di Bigio de Caméla – del limitrofo mappale 312 – sia di metri 227,67 e il pelo di carico di questo opificio sia invece di metri 227,65 con una pendenza quasi nulla di m. 0,02.

 

I Ghitti dei Bertolini.

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Scorrendo l’albero genealogico appare evidente l’origine del soprannome di famiglia, dovuto al ripetersi tra i discendenti del nome Bartolomeo e della sua variante Bortolo (5 volte in 4 generazioni, sempre al primogenito maschio). È, questo, un caso frequente, che tra l’altro è origine - non unica, si pensi alle deformità fisiche - dei soprannomi. Dare, di padre in figlio, lo stesso nome è costituire un elemento tangibile, insieme al patrimonio, dell’unità e della continuità della famiglia. Dissolto il clan e la famiglia allargata (estesa e multipla), sono ora le famiglie nucleari conviventi - quelle che, unite da stretti legami parentali, possiedono una porzione della casa e terreni propri, pur vivendo in un unico cortivo - l’elemento caratterizzante della società e della cultura locale. L’essere Ghitti (o Guerini, o Bontempi, etc.) rimanda ad antichi legami di sangue riferibili a un ipotetico e unico capostipite; essere Bertolini o Bièt (o altro) identifica i membri del gruppo in un nuovo, più recente e conosciuto, originario, la cui casa e il cui patrimonio terriero - sebbene divisi tra gli eredi - sono ancora il legante.

La famiglia dei Ghitti detti Bertolini è elencata dal Buscio al n° 3 (e data per estinta) e ripresa al n° 36 con lo stesso soprannome, dove continua fino alla metà del XIX secolo: la successione tra le due è dubbia. Almeno dove indicate le date di nascita, si nota la tendenza a sposarsi, in questa famiglia, verso i 30 anni, per cui il Bartolomeo di Lorenzo del n° 3, che deve essere nato verso il 1710/20, difficilmente può aver generato un figlio nel 1726. Presumibilmente il n° 36 è riferibile alla discendenza di Giuseppe q. Bartolomeo, di cui nel Libro per le Famiglie non vi è traccia.

Nell’elenco del 1764 Bartolomeo Giuseppe [1726-1802] e Lorenzo q. Bartolomeo [1760-1822] sono Antichi Originari di Marone; un altro fratello, Francesco Antonio, vive a Borno in Vallecamonica, come documentato anche dal registro dei Battesimi di quel paese[1].
Nell’estimo del 1785 Bartolomeo Giuseppe e Lorenzo hanno partita.
Bartolomeo q. Bartolomeo[2] è sposato con Caterina Abondio di Darfo e ha 6 figlie, di cui una sposata a Viadanica e una con un Guerini di Vesto. Nel Buscio è scritto che Bortolo è stato «ucciso dai ladri nella campagna di Gorlago venendo da Bergamo». È proprietario, con il nipote Bartolomeo q. Lorenzo, di un frantoio («lavora in macinatora di venazoli», il suo non è dunque un frantoio che produce olio di oliva, ma olio di semi di vinaccioli)[3]. Questo ramo si estingue nel 1840 con la morte dell’ultimogenita Maddalena.

Lorenzo sposa Domenica Cavallini di Grignaghe (frazione montana di Pisogne) da cui ha due figlie, Anna Maria, che rimane nubile, e Lucia - che sposa Pietro Cristini del Todesch - e Bartolomeo. Quest’ultimo[4] [1760-1822] sposa Elisabetta Zatti di Zone, da cui avrà, dopo il 1785, 7 figli.
Bortolo e Lorenzo abitano in due case poste a poca distanza una dall’altra ma il Buscio non li considera fratelli “separati” (non lo dichiara, come in altri casi) e non elabora (con successiva numerazione) un nuovo foglio di famiglia: in questo caso l’elemento unificatore del gruppo parentale non è, evidentemente, l’abitazione ma l’attività del frantoio.

Nel 1700 trascorrono 4 generazioni di Bertolini. Dal primigenio Bartolomeo (e i suoi fratelli) a quello della quarta generazione (nasce nel 1804) troviamo 28 Bertolini (11 uomini e 17 donne); tra gli uomini sposati (6) il solo primigenio è sposato con una maronese (Domenica Bontempi dei Michècc), gli altri prevalentemente con donne della Vallecamonica; le donne sposate sono 7, di cui 4 sposate fuori Marone; tutte sono famiglie nucleari, discretamente prolifiche che traggono un buon reddito dal torchio. Il fatto che tra i Bertolini vi sia la più alta percentuale di matrimoni esogamici tra tutte le famiglie Ghitti è, forse, da porre in relazione proprio con la loro professione.
Nella realtà specifica di Marone non vi sono documenti attraverso i quali sia possibile risalire con certezza alle varie professioni esercitate dai capifamiglia e dai loro famigliari (salvo il caso dei mugnai e dei follatori che sono censiti negli estimi e una simile statistica è disponibile solo dopo il 1860). Si dispone però di alcuni “indicatori di benessere”, quali il possesso di case e terreni, la professione (mugnai o follatori, appunto) e la presenza nella famiglia di religiosi e di notai e il matrimonio; la stessa minore o maggiore mortalità infantile (indicativa anche delle condizioni igieniche di vita) può essere un utile indizio.

Nell’estimo mercantile del Territorio del 1750 la manifattura e il commercio erano prerogativa di poche famiglie: i Ghitti, seppure in declino rispetto ai secoli precedenti, i Guerini e i Novali famiglie emergenti, i Maggi e gli Zeni. Bartolomeo q. Lorenzo dei Bertolini «lavora in macinatora di venazoli; Gottardo dei Gotard, Stefano dei Bièt e Giovanni dei Pèstù sono mugnai; un Arcangelo Ghitti, nominato solo riguardo all’eredità, aveva una calcara; Giovanni Battista dei Bagnadore è notaio. Oltre ai Guerini e agli Zeni, che dal ’600 hanno sacerdoti, i Ghitti di Bagnadore, i Fancini e i di Ignazio hanno religiosi in famiglia.

Tra la fine del 1700 e i primi decenni dell’Ottocento i Ghitti dei Bertolini, proprietari del torchio di via del Forno del mappale 119, acquistano il mulino del mappale 149 che, appunto, nel 1852, è proprietà di Bartolomeo Ghitti fu Bartolomeo, unico maschio vivente della famiglia.
Bartolomeo fu Lorenzo [1760-1822] è sposato con Zatti Elisabetta [?-1831] di Zone: i figli della coppia sono Lorenzo [1793-1849], Domenica [1795-1796], Giovanni Battista [1797-1797], Giovanni Battista [1799-1830], Maria Maddalena [1801-?], Domenica [1803-?] e Bartolomeo [1804-vivente nel 1853].
Nel 1853 il mulino è venduto a Bonomelli Giovanni fu Giuseppe che, nel 1859, lo vende a Danesi Francesco fu Francesco e a Gabanelli Giulio. Nel 1865 passò al solo Danesi Francesco fu Francesco e, nello stesso giorno, torna a Ghitti Bartolomeo fu Bartolomeo.
Bartolomeo, nel 1830, sposa Bani Marta di Monticelli Brusati da cui ha tre figli: Elisabetta [1832-?], Giulia [1836-?] e Girolamo [1838-?].
Il mulino del mappale 149 rimane nelle mani della famiglia Ghitti dei Bertolini, con vari passaggi tra i figli di Bartolomeo fu Bartolomeo, fino al 1882, quando Girolamo Ghitti lo vende a Zeni Egisto detto Gusto.

Guarda o scarica l’albero genealogico dei Ghitti dei Bertolini.

 

[1]  Ringrazio Gian Paolo Scalvinoni per la segnalazione.
[2]  1785, c. 6r. È proprietario - oltre che di metà del torchio con il nipote - di una casa che era «delli Antecessori d’esso» in contrada del Botto «con portico […] nuove camere di sopra con due lobbie col recto del cortivo» (non vi sono corrispondenze nel 1573 e nel 1641, ma la casa è, nel catasto napoleonico, il mappale 57) e di due pezze di terra (una in contrada del Foppello e una a Ponzano, 44 tavole che valgono 70 lire).
[3]  La coltura dell’ulivo - iniziata probabilmente con la dominazione romana di cui la villa Éla è un importante indizio e realizzata esclusivamente nei conoidi alluvionali e nelle zone collinari adiacenti - era destinata prevalentemente al mercato ma scarsamente, nella zona sebina, a uso alimentare (le ricette tradizionali locali sono tutte a base di burro e anticamente di strutto). A Marone l’olio era certamente utilizzato (in minima parte) per l’illuminazione domestica e soprattutto nella produzione laniera (filatura e follatura).
[4]  1785, c. 3v. Possiede una casa «con una stanza terranea, e due superiori cupate con corte» acquistata dagli eredi di Giulio Guerini e un altro «corpo di case di diverse stanze terrane, e superiori cupate, con corte, e lobbia e orto vitato» di 2 tavole, entrambe in contrada del Forno. È proprietario, inoltre, con «D.o Bartol.o q. Bartol.o di lui zio» di una «stanza terranea con fenile sopra cupato, con edificio di torcolo per far oglio in contrada del Forno, osia del Fopello». Il torchio e la casa sono identificabili nella mappa del Piano Viganò (mappale 119 il torchio e 120 la casa nel catasto napoleonico).

Le immagini

 

Le testimonianze

Qui avvenivano le operazioni preliminari sulla lana grezza, vi erano diversi telai per tessere le coperte e le cardatrici che sfaldavano la massa di lana, trasformandola in fili, che si arrotolavano su un cilindro, formandone un gomitolo informe, el burlòt. Questi fili lisci erano poi passati sui selfating (filaröi) per essere ritorti e usati per la tessitura.
Vi era un alternatore e funzionavano le lupe, macchine che mescolavano la lana: si predisponevano strati di lana di pecora e strati di lana sintetica o lanital che erano alla fine mischiati tra loro, in modo da farne un impasto omogeneo.
La lana così ottenuta era messa in grossi sacchi (bösache), che operai robusti caricavano sulle spalle e portavano nell’opificio Perani di via Piazze (mappale 156), pronta per essere lavorata nelle carde e ritorta e tessuta.

L’alternatore e le lupe si muovevano grazie a un perno fissato sulla grande ruota a pale, posta sul muro esterno dell’edificio, azionata dalla caduta dell’acqua del canale della Sèstola.
Un canale in muratura nella prima parte che stava sull’alveo del torrente e in assi quello fissato lungo muro della casa, portava all’occorrenza l’acqua a cadere sulla ruota: bastava abbassare una paratia (l’aséra) che deviava l’acqua dall’alveo e la immetteva nel canale.

Quando lo stabile era proprietà Perani – se serviva corrente elettrica prodotta dall’alternatore posto in via Mulini allo stabilimento di via Piazze (mappale 156) – gli operai di via dei Mulini (mappale 149) giravano una ruota ad ingranaggi che era collegata con un’altra simile posta sopra la paratia di via Mulini attraverso una cinghia lunga un centinaio di metri e la paratia si abbassava.

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