Vello – secoli XI-XVIII

Roberto Predali

Le notizie più antiche (secoli XI-XVI)

Abitanti: 140 nel 1493; 155 nel 1561; 70 nel 1567; 70 nel 1573; 130 nel 1658; 172 nel 1729; 185 nel 1732; 122 nel 1768; 126 nel 1775; 172 nel 1791.

Il nome Vello, in dialetto Èl, avrebbe il significato di vela, cioè «campo irregolare in forma di triangolo o di trapezio».
Vello era probabilmente già conosciuto in epoca romana, come denoterebbe il ritrovamento fortuito, nel 1986, di strutture romane e la non lontana villa dei Munazi, Villa Ela di Marone.
Fu proprietà vescovile e, in seguito, dal vescovo stesso assegnato al monastero di S. Eufemia della Fonte che, data la tranquillità riparata del lago, vi teneva una piccola flotta per la pesca battente la bandiera dell’abate. Il pesce pescato era trasportato ancora vivo al monastero dove, immesso in vasche, era allevato e venduto.
Il 10 febbraio 1123, papa Callisto II con bolla Lateranense riconferma all’abate Pietro II tutti i possessi del monastero, compresa la Franciagola (Franciacorta) e Villo (Vello), ponendolo sotto la protezione della Santa Sede e confermando l’osservanza della regola benedettina e lo status concesso a Landolfo.
Il 13 giugno 1132, Innocenzo II emana una bolla che conferma al monastero di S. Eufemia l’indipendenza, le proprietà e il possesso dei beni come aveva già fatto il suo predecessore Callisto II; pone inoltre il monastero sotto la tutela e la protezione della Chiesa di Roma. Il documento nomina la “cappella [capellam] di sant’Eufemia nel luogo chiamato Vello”.
Fin dalle origini Vello crebbe nell’ambito della pieve di Sale Marasino, anche se la costruzione della chiesa si dovette al monastero bresciano di S. Eufemia. L’appartenenza alla pieve di Sale Marasino è confermata 1448, quando il comune di Vello era obbligato a corrispondere alla pieve una libra di cera e a concorrere nella manutenzione della pieve. Qualche decennio dopo la chiesa dedicata a S. Eufemia, con decreto vescovile (vescovo Paolo Zane 1481 - † marzo 1531) del 2 maggio 1525, divenne parrocchiale e il Comune ottenne il giuspatronato sulla nomina del rettore-parroco.

Il Giuspatronato

“Il giuspatronato è il diritto di una comunità di eleggere il proprio parroco, previa accettazione vescovile. Le origini di questo istituto risalgono ai secoli del medioevo precedenti il 1000. Dopo la riforma gregoriana esso venne precisato e teorizzato nella canonistica quale istituto sostitutivo del sistema patrimoniale di proprietà delle chiese e venne riconosciuto in cambio della fondazione di un beneficio o di una nuova donazione che consentisse di salvarlo dalla decadenza. Tra il dodicesimo e il tredicesimo secolo, esso venne canonisticamente inquadrato. Il giuspatronato è l’autorità o la potestà di provvedere a una chiesa derivante dai benefici consegnati prima della sua consacrazione (Johannes Faventinus: «Ius patronatus est auctoritas vel potestas providendi ecclesie veniens ex beneficiis ante consecrationem collatis»). Il giuspatronato è la potestà di nominare o presentare un chierico per un beneficio vacante (Decretum Gratiani: «Jus patronatus est potestas nominandi seu presentandi clericum ad beneficium vacans.»).
Questo istituto, non sempre ben accettato dalle autorità ecclesiastiche, che nel Tre-Quattrocento mirarono ad arginarne la espansione, costituiva per i laici e soprattutto per le famiglie aristocratiche una sorta di controllo o di influenza socio-politica non sempre ben precisabile all’interno della comunità. Le famiglie più importanti, quando non erano esse stesse detentrici del diritto patronale, assumevano in genere all’interno della comunità una leadership che si manifestava nella chiesa con l’erezione di cappelle e altari, contrassegnate dagli stemmi famigliari, oppure con la fondazione di oratori. Erano indubbiamente segni devozionali, ma anche indicazioni precise di un determinato ruolo che queste famiglie avevano assunto all’interno della comunità e della chiesa e l’affermazione di una sorta di diritto che essi detenevano e si manifestava nei rituali delle processioni, nelle feste patronali o nella sepoltura all’interno della chiesa che decretava in un certo qual modo la presenza oltre la morte.
Se questa sorta di controllo sul giuspatronato popolare di alcune famiglie emergenti significava da un lato condizionare la scelta del parroco, dall’altro costituiva un elemento di coagulo, di aggregazione sociale intorno alle famiglie, non solo socialmente ma anche numericamente più rilevanti.
Il giuspatronato, però, nella sua più stretta sfera religiosa era un rapporto sinallagmatico: la chiesa era dei fedeli, i fedeli erano la chiesa”.

“Una forma particolare di conferimento del beneficio era quella preceduta dalla presentazione del candidato da parte di un patrono (comunità, padronato, famiglia, clero regolare, re, governo). Il giuspatronato veniva definito (Codex iuris canonici, 1917, canone 1448) quel complesso di privilegi e di oneri che, per concessione della Chiesa, spettavano ai cattolici fondatori di una chiesa, di una cappella o di un beneficio, oppure a coloro che dai fondatori avevano legittimamente acquisito il diritto: il patrono presentava l’ecclesiastico da lui prescelto, al quale, se ritenuto idoneo per il benefico vacante, l’ordinario doveva conferire il beneficio (CIC 1917, canone 1466). Le elezioni e le presentazioni popolari, largamente diffuse in epoca moderna in varie zone della Lombardia, erano appena tollerate dal Codice di diritto canonico del 1917 e a condizione che il popolo scegliesse tra una terna di nomi proposti dall’ordinario (CIC 1917, canone 1452)”.

I primi parroci: secoli XI-XVI

“Andreas Griti Dei grati a Dux Venetiarum et cetera. Universis et singulis tam amicis quam (ut) fidelibus / presentes litteras inspecturis salutem et sincerae dilectionis affectum. Significamus vobis quod Hieronimus / de Bossis publicus imperiali auctoritate notarius. Qui die XI instantis scriptsit et publicavit quoddam procure / instrumentum profit quod Vittor Trivisanus venetus rector ecclesiae sanctae Mariae de Soligo constituit / suum procuratorem dominum Hieronimum de Caballis canonicum Brixiensem renun [...] et [...] ut in eo latius gi[...].
/ Est notarius bonae opinionis et famae cuius instrumentis et scriptturis plena fides adscribetur /
Datum in nostro ducali palatio: die XVI maij indictione XIV MDXXVI”.

Chiesa Parrocchiale di S. Eufemia V.ne M.re in Vello
Data di Fondazione { 2 Maggio 1526

1 1655 - 5 Agosto nominato con Bolla Vescovile il Rev D. Pietro Comelli Vello
2 1684 - 7 Settembre nominato con Bolla Vescovile il Rev D. Franc.o Ringhini
3 1715 - 26 Gennaio nominato con Bolla Vescovile il Rev D. Giulio Camplani
4 1760 - 23 Luglio nominato con Bolla Vescovile il Rev D. Pietro Martinelli
5 1769 - 8 Febbraio nominato con Bolla Vescovile il Rev D. Giuseppe Fontana
1777 - 24 Gennaio nominato economo il Rev D. Franc.o Ghirardelli
6 1780 - 3 Giugno nominato Parroco con Bolla Vescovile il Rev D. G. B.ta Comelli Vello
7 1813 - 12 Novembre nominato Parroco con Bolla Vescovile il Rev D. Pietro Guerini Vello
8 … nominato Parroco con Bolla Vescovile il Rev D.
9 1846 - 30 Settembre nominato Parroco con Bolla Vescovile il Rev D. G. B.ta Poiatti
10 1892 - 28 Aprile nominato Parroco con Bolla Vescovile il Rev D. Pietro Colosini
11 1903 - 28 Settembre nominato Parroco con Bolla Vescovile il Rev D. Costanzo Ambrosini
12 1921 - 6 Luglio
1922 - 31 Marzo nominato economo spir. il Rev D. Bartolomeo Tedoldi
nominato Parroco con Bolla Vescovile il Rev D. Bartolomeo Tedoldi

Il 24 luglio 1578, il visitatore monsignor Celeri costatava che il rettore-parroco vi mancava da dieci anni perché il Beneficio era tanto misero da non permetterne la sussistenza: la chiesa aveva un reddito annuo di quattro ducati; la cura d’anime vi era esercitata, per carità, dal parroco di Marone. Mancando di ogni inventario, ordinava che fosse fatto entro agosto.
Carlo Borromeo, nel 1580, constatando che mancava il parroco, disponeva che fosse costruita entro l’anno una cappella a uso di battistero e imponeva che il vescovo dotasse, quanto prima, la chiesa di alcuni beni che costituissero un reddito per il mantenimento del rettore e, nel frattempo, disponesse di quindici aurei per anno per il sostentamento del sacerdote addetto alla cura d’anime: “Il reddito di questa chiesa è di circa quattro denari aurei. I vellesi sono soliti mantenere a proprie spese il parroco, anche se ora in realtà non hanno alcun prete, ed è intanto il parroco di Marone che si prende cura di loro gratuitamente; solamente ora sono soliti pagare un sacerdote che celebri la messa nei giorni festivi. [I vellesi] vorrebbero che l’arciprete [della pieve] talvolta amministrasse in questo luogo i sacramenti oppure delegasse qualcuno. [f. 277r] Chiedono anche che sia assegnato un beneficio o reddito a questa chiesa, che, con l’aggiunta anche della loro elemosina, possa essere di sostentamento al parroco.”.
Il primo parroco che compare nei documenti dell’archivio vescovile è don Pietro Comelli, nominato il 5 agosto 1655. Muore a Sale Marasino, suo paese d’origine, l’11 aprile 1684.
È, presumibilmente, il primo rettore-parroco stabile di Vello, ed esercita in varie forme la funzione di sacerdote addetto alle anime del comune di Vello, senza dubbio, dal 1638 fino alla sua morte.
Nell’estimo di Marone del 1641 alla partita 160 “Il reverendo Pietro Comello” possiede “una pezza di terra aradora, vidata, et olivata, in contrada della Breda, confina à mattina ingresso, à mezodi la pieve di Sale, à sera il lago, et à monte Marco Comello di tavole cinquanta cinque. Estimata lire cento sessanta cinque al piò. Vale lire novanta soldi quindeci”.
Nell’estratto del Libro della Vicinia, in un documento che si riferisce ad un “obbligo” di 200 lire all’interesse del 6% contratto il 19 febbraio 1618, Battista ed Giuseppe del fu Picino Fener [Fenaroli] cominciano a pagare al Comune di Vello - nella persona di Cristoforo Glisenti sindaco - la somma di 12 lire planet dal 1634 fino al 1636. Dal 1638 al 1651 i Fenaroli pagano il censo (“[i fenaroli] deve haver per tanti fatti boni”, ne hanno ricevuta) al “sig.r D. Pietro Comello nostro Curato”.
È da ritenere quindi che il prete, prima di essere nominato rettore potesse esercitare le sue funzioni in una condizione precaria, usufruendo però di un reddito fornito dal Comune. Il reddito non consisteva in quest’unico censo: infatti, dall’inventario del 1716 risultano tra i redditi della chiesa di Vello, di cui sicuramente beneficiava don Comelli, “[…] Particola del Testam:to del q. Antonio Comelli Rogato per il sud:o Zino nod:o sotto il di 10 Giugno 1639 | Censo di Gio:Batt[ist]a Scalino, instrum:to Rogato per il sig:r Timoteo Tomasi Nod:o sotto il 12 febbraio 1616 (il censo è rinnovato varie volte)| Particola del Testam:to della q. Madalena relitta q. Antonio Comelli Instr:to Rogato dal sud:o Zino nod:o sotto il di 23 febraro 1632 […] | Censo di Gio:Batt[ist]a Glisenti Cap:le lire 90 planet Instr:to Zino 2 7bre: 1623 | Censo di Gio:Batt[ist]a Scarpi di Adro lire 200 planet Instr:to Rogato per il sig:r Lodovico Franzino Nod:o sotto il 19: 9bre 1627 […]| Instr:to Giovanino Fenaro 1600 […] | Test:o di Mattia Botti, Tomasi 1: 7bre 1629 […]”.
Solo dopo averne constatata l’efficienza la Vicinia avrebbe quindi proceduto alla sua elezione definitiva a parroco: il periodo di prova non era certamente breve, essendo durato, per don Pietro Comelli, ben 17 anni.
In seguito i censi non saranno più pagati alla persona fisica del rettore ma alla Chiesa di Sant’Eufemia: “1656: 19 feb.o. Geovan Fenaro deve pagare alla Chiesa di S.ta Eufemia di Vello lire dodeci pl.e sopra il cap.le de lire doicento come livelo […]”.

Il Beneficio Parrocchiale ed i censi

Le proprietà del Beneficio Parrocchiale erano veramente scarse, come risulta dall’estimo del 1641: otto piccoli appezzamenti di complessivi 2,62 piò, non certamente sufficienti al sostentamento al mantenimento del parroco (1,44 piò solamente sembrano realmente produttivi, in quanto piantumati ad olivo, ma la produzione era economicamente poco remunerativa, in quanto l’olio era quasi esclusivamente usato per scopi liturgici).
Nel 1641 queste erano le proprietà della chiesa di Sant’Eufemia a Vello.

“Nel Catastico del estimo del Clero intitolato Quadra di Iseo fatto in Conferenza con Cita, et Teritorio f° 103. N°. 12. Si ritrova descritti li beni, et Agravij della Chiesa Parochiale Intitolata S.ta Eufemia nella Terra di Vello, tutto come segue V.Z.

1 Una Pezza di Terra lamitiva Corniva et olivata nella Contrata della Chiesa confina da matta. Ant.o Scalino [sovrascritto Tenca] et parte Givanni Fenaroda mezzodi la d.ta Chiesa, et strada, da sra Batt[ist]a Glisenti, et da monte Pietro Ant.o Rosetto, et parte il d.o Glisenti de tavole settanta
Estimata lire quaranta due plet.
2 Una Pezza di terra lamitiva, et olivata nella Contrada de Ronco confina da matt[in]a Batt[ist]a Glisenti da mezzo di li Heredi del q. Fran.co Comello da sera et monte li d.i Heredi di tavole sessanta. Estimata lire trenta sei
3 Una Pezza di terra Lamitiva nella Contrada della Castagna, [con]fina da matt[in]a Ant.o Fenaro et Batt[ist]a Glisenti, da mezzodi il d.o Glisenti da sera Ant.o Rosetto, et parte li Heredi del d.o Comello, et da monte xforo [Cristoforo] Glisenti de tavole vinticinqi
Estimata lire dieci //
4 Una Pezza di terra lamitiva, et geriva, nella [contra]da del Pelone [con]fina da matt[in]a, et mezzodi sud.o Glisenti, et Comillo, et da monte il d.o Fenaro de tavole quaranta
Estinata lire sedeci
5 Una pezza di Terra guastiva nella [con]tata Sterlisesi. = [con]fina da matt[in]a et mezzo di li Heredi del q. Fran.co Comello, et da sera Ant.o Rosetto, et da monte Gio: Marco Comello, et Gio: Fenaro di tavole vinti. Estimata lire otto.
6. Una Pezza di terra Lametiva, et parte olivata nella Contrata del Campadello [con]fina da matt[in]a Pietro Comello, da mezzo di l’ingresso, da sera, et monte Gio: et Ant.o Fenari de tavole trentacinqi
Estimata lire vinti una.
7 Una Pezza di Terra Lamitiva, et olivata nella [con]tata del fico: [con]fina da matt[in]a li Heredi del d.o Comello, da mezzo di l’ingresso, da sera et monte Gio: et Ant.o Fenaro, et da monte Batt[ist]a Fenaro de tavole dieci sette
Estimata lire sei, et soldi sedeci
8 Una Pezza di Terra Lamitiva nella [contra]ta delle Tezze,: [con]fina da matt[ina] xforo Glisenti da mezzo di, et sera Pietro Ant.o Rosetto et da monte l’ingresso di tavole due //
Spende lire cinquanta piccole in cera per l’altar Maggiore
Spende lire cinquanta sei picc.e nel olio per la Lampada. Cap[ita]le lire seicento cinquanta sei.
Spende lire quaranta due nelli paramenti per la Sacristia.
Paga lire una di Cera di livello all’anno al Arciprete di Sali. [Il contributo alla pieve di Sale è lo stesso del 1448, ndr] “

1641 Territorio estimato piò
fonte: ASB Territorio ex Veneto b. 518 clero: piò rilevati in estimo % propr. clero
Marone 1827,46 20,73
Vello 38,75 [?] 2,62

“L’attività di prestito ad interesse era molto diffusa in loco. Si ricorreva al credito sia per far fronte ai bisogni primari del vivere, a volte del sopravvivere, ma spesso il denaro serviva per l’acquisto di terreni, per far fronte a spese dovute alle attività commerciali e/o industriali. L’attività creditizia si configurava, quindi, quale essenziale supporto della vita economica“.

“La discussione all’interno della Chiesa, in merito al prestito, continuò in tutto l’antico regime coinvolgendo predicatori, teologi e dotti laici schierati chi su posizioni rigoriste chi possibiliste: i primi sostenevano che qualsiasi prestito, per cui veniva corrisposto un interesse, fosse illecito, per i secondi prestare denaro pretendendo un tenue ricavo era pratica accettabile.
Nel 1745 Benedetto XIV promulgò l’enciclica “Vix Pervenit” con l’intento di smussare gli angoli di una disputa che aveva oramai assunto dei toni violenti, “...e se sorge discussione, mentre viene preso in esame qualche contratto, non si offendono per nulla coloro che seguono l’opinione contraria, né questa sia accusata come se fosse da punire con le più gravi pene, specialmente se non sia priva della dotta testimonianza di uomini illustri; poiché le ingiurie e le offese spezzano il vincolo della carità cristiana e apportano al popolo enorme e dannoso cattivo esempio...”.
In tempi precedenti altri Pontefici si occuparono del prestito ad interesse fissando, con Martino V nel 1425, Nicolò V nel 1450 e Callisto III nel 1455, al 10% il tetto massimo di interesse consentito. Nel 1569 Pio V con la bolla solenne “Cum onus apostolicae servitutis” mise ordine normativo nel caotico mondo dei censi, vietando la richiesta d’affrancazione da parte del creditore e stabilendo l’obbligatoria pubblicità del contratto, da sottoscriversi davanti ad un notaio individuando tre elementi sostanziali: il consenso di entrambi i contraenti, l’oggetto trattato e il relativo prezzo.
[…] Il livello francabile presentava dei tratti di modernità che lo distinguevano dagli strumenti creditizi adottati da prestatori non interessati al pegno immobiliare. Anticipava alcune regole che sarebbero state proprie degli istituti di nuovo modello come le casse rurali o le prime banche. Necessitava innanzitutto di un bene immobile garante la regolarità dell’operazione o, in assenza di questo, di una “piaggeria”, una fideiussione che garantiva la solvibilità del richiedente, mentre il tasso d’interesse, regolato da disposizioni legislative severe e comunque legato ai fenomeni inflativi e alle congiunture economiche, oscillava ordinariamente dal 5 al 7%. La preoccupazione dei giuristi era impedire che il contratto livellario uscisse dalle normative canoniche, da ciò l’ambiguità del contenuto giuridico della transazione: un livellario, colui che riceveva il prestito, cedeva un bene immobile ad un livellante, il quale subito dopo aver “esborsato” il prezzo concordato, affittava il medesimo bene al livellario stesso. Quest’ultimo ogni anno si sdebitava con un canone di locazione che si può identificare con l’interesse stabilito, di norma compreso tra il 6 ed il 7% della somma avuta al momento della stipula del contratto. Resta da dire che la somma ricevuta dal livellario non era equiparata al reale valore di mercato dell’immobile in questione, ma calcolata in base alla rendita annua che poteva derivare dallo sfruttamento dell’immobile stesso. Nel contratto livellario si raggiungeva un compromesso che da una parte soddisfaceva le esigenze dei contraenti e dall’altra aggirava l’ostacolo rappresentato dai divieti canonici. Fino a quando il canone d’affitto veniva regolarmente versato, la terra rimaneva proprietà del livellario, il quale su essa conservava tutti i diritti, pagava le relative tasse, poteva affittarla ed anche venderla, in quest’ultimo caso il livello seguiva il bene cui era legato. Dal canto suo il livellante possedeva un titolo forte (la formula notarile prevedeva una vendita immobiliare) che, in caso di insolvenza del debitore, gli avrebbe permesso di entrare in possesso in modo semplice e rapido del fondo garante. L’accusa di usura veniva evitata in quanto formalmente non si trattava di un’operazione finanziaria, anche se probabilmente nessuno dei contemporanei aveva il minimo dubbio sulla valenza creditizia della transazione.
Sotto l’aspetto giuridico si stabilirono precise norme affinché l’operazione potesse considerarsi valida. L’accordo doveva essere sottoscritto in un contratto notarile, da cui dovevano risultare ben chiari il prezzo, il consenso di entrambi i contraenti, l’oggetto dato in garanzia – un bene immobile di proprietà del venditore, libero da altre pendenze ipotecarie – e l’impossibilità per il creditore di pretendere l’affrancazione. Queste norme regolavano un atto economico caratterizzato in precedenza da un grande caos normativo. Ponendo ordine interno al contratto si salvaguardava la posizione di entrambi i contraenti: si tutelava il compratore definendo giuridicamente l’oggetto trattato, mentre al debitore si offriva la certezza che i meccanismi del contratto non fossero tali da costringerlo a rinunciare, suo malgrado, alla proprietà del bene impegnato. Per altro alla fine i debitori molto spesso finivano per perdere in maniera definitiva l’immobile dato in garanzia. Stando alla documentazione esaminata solamente in un caso su sette all’incirca la possibilità del riscatto veniva effettivamente sfruttata. Questo sistema creditizio fu ampiamente utilizzato grazie ad alcune caratteristiche che lo rendevano conveniente rispetto ad altri sistemi finanziari. Innanzitutto, il tasso di interesse richiesto era più basso di quello preteso dagli usurai, inoltre spettava ai mutuatari scegliere i tempi dell’affrancazione: il livello poteva essere continuamente rinnovato se l’interesse veniva rimesso puntualmente. Va sottolineato che i debitori non erano mai dei nullatenenti, dovendo necessariamente possedere almeno un bene immobile, che assolvesse ad una doppia funzione: garantire una quota di prodotti agricoli in grado di soddisfare gli interessi concordati e fornire quella garanzia necessaria al buon fine dell’operazione. Due le modalità per estinguere il livello: la clausola “promissio francandi” consentiva al livellario di riscattare il bene impegnato, mentre in caso di insolvenza l’altra clausola la “datio in solutum” permetteva al creditore di impossessarsi dell’immobile allontanando il debitore moroso.
La garanzia che riguardava la stragrande maggioranza dei contratti di livello era costituita dalla terra in quanto essa, a differenza degli edifici, offriva sicure rendite in grado di rispondere alle aspettative di un ceto benestante che, con la rarefazione dei commerci, cercava nuove opportunità di affari e nuove forme di utilizzazione di capitali. Inoltre la terra era facilmente collocabile sul mercato delle affittanze e forniva rendite crescenti legate al valore delle granaglie. Non dimentichiamo che più alto era ritenuto il grado di insolvibilità del venditore, più sottostimato era il terreno, condizione necessaria per cautelarsi ulteriormente sul debitore, costretto in tal modo a subire i contraccolpi del suo stato economico inferiore.
Un aspetto da non sottovalutare è che i prestatori potevano rimanere esposti per lunghi periodi con capitali di una certa consistenza ceduti in prestito. Sfogliando gli atti notarili incontriamo con frequenza riscatti di livelli stipulati decine di anni dopo il contratto originario. La lunga durata dei contratti, unita alla riconosciuta inefficacia degli strumenti di prevenzione e di controllo del tempo, creava le condizioni favorevoli per frodi e pratiche illegali. Esisteva infatti la possibilità di stipulare, da parte di un concessionario, contratti di livello con più concedenti dando in garanzia lo stesso terreno. Frodare i prestatori non era un’operazione complicata, rivolgendosi a più notai, magari di paesi diversi, e potendo contare su testimoni compiacenti, si poteva fare in modo che su un unico terreno esistessero ipoteche e diritti di diversi creditori. E in caso di insolvenza solo uno di questi sarebbe entrato in possesso dell’immobile dato in garanzia. Per osteggiare queste pratiche, nei contratti di livello troviamo delle formule indirizzate a salvaguardare il prestatore, attraverso le quali il debitore offriva in garanzia non solo un immobile preciso, che da solo avrebbe abbondantemente coperto la somma avuta in prestito, ma tutti i suoi beni immobili presenti e futuri, garantiti certe volte dalla fideiussione di una terza persona. In ogni caso il rischio era limitato e rientrava nella logica economica del prestatore in quanto, con un saggio d’interesse al 7%, questi, nel giro di quindici anni, rientrava in possesso di tutto il capitale anticipato”.

“1663: 10 Xbre
Censo della Parochiale di Vello con Lorenzo Bontempo. La parochiale non paga gabella lire 200:
In Christi nomine l’anno mille sei cento sissanta trei corendo l’ind.e p.ma il giorno poi dici del mese di Xmbre nella casa terranea delle case hab.te dall’infr.to M.to Rd:o siti in Vello distretto di Brescia.
Presenti m. Ant.o Comello f.o di m. Gio:Marco et GioPietro Scalino q. Ant.o ambi doi del Co[mun]e di Vello, et hab.ti testij […].
Lorenzo f. q. m. Comino di Bontempi del Co[mun]e di Marone et hab.te havendo bisogne de denari, et in particolare lire doi cento pl.e per fare alcuni suoi negotij, et à lui molto opportuni, et necessarij, et non avendo al presente modo piu comodo et à lui manco danoso d’haverle che per l’imposit.ne della rendita del censo infr.o percio presente et ag.te per se con ogni mel.o modo, ha fatto costituito et ordinato, et fa, giusta il tenore della Bolla di Pio Quinto mandata sopra li censi l’anno 1568 et conforme l’usanza Bresciana con annuo censo de lire quattordici pl.e da essere pagate sopra una sua pezza di terra arad.a, vid.ta, et parte prattiva pascoliva posta sopra il Territ.o di Marone nella contrata de Clas alla quale confina à matina la strada, à mezzo di la Valle, à sera Giacc.mo Bontempo et parte m. Andrea Bordiga et à m.te il d.o Bontempo, et parte il d:o Bordiga sud.o de tavole quaranta l’arativo, et il prattivo, et pascolivo pio uno in c.a, overo quanta si trova con tutte le sue ragg.ni di sua nattura fruttifera, et iddonea all’intrata di d.o annuo censo, et per tanta entrata l’ha fatta, et fa buona in tutti gli altri per tutte le cose contenute nel presente Inst.o qual s. fatta esso s. Lorenzo promette et s’obliga relevare, et conservare indemne, et gli sud.i Beni illesi, sotto pena, Promett.do, Oblig.do d.o […].do.
Rogato à me Octavio Zino Nod. ad L. S.
//
Nel libretto c.te 43
10 Xmbre 1663
Ms. Lorenzo Bontempo q. m s. Comino di Marone deve lire doicento pl.ti datteli a censo et fatto per censo scode da m. Ant.o Comello figlio di m. Gio:Maria adi di hoggi appo inst.o rogato per me Nod.o adi 10 Xmbre 1663, e doveva li censi alli 10 Xmbre 1664 lire 14:-
//
Adi 9 Xmbre 1663
Io P. Pietro Comello Rettore della Parochiale di S.ta Eufemia confeno haver ricupera dal incontro lire de pl.i quattordici a conto dell’anno 1664 dico lire 14.
Adi 16 agosto 1667 io soprascritto confeno haver ricevuto una carga formento a conto del fitto decorso a pretio de berlingotti dico B. 24:
Adi tanti di Agosto 1668 datomi un sacco di formento da m. Lorenzo Bontempo a conto del fitto_B. 25:
Adi 16 Ottobrio 1669 Io P. Pietro Comello Rettore della Chiesa di Vello ho receputo una carga di formento da Lorenzo Bontempo a conto del fitto che paga alla Chiesa B. 28:_
Adi 27 Agosto 1670 Io soprascritto ho riceputo una carga di formento da D. Lorenzo Bontempo a conto del fitto, che paga alla Chiesa di Vello, qual monta B. 29:_
Adi 10 7mbre 1672 io soprascritto ho riceputo da m. Lorenzo Bontempo di formento a Berlingotti vinti sette e mezzo la carga, qual monta B. 55:_
Adi 9 7mbre 1673 Io P. Pietro Comello Rettore della Parochiale di Vello ho ricevuto da m. Lorenzo Bontempo da Calpiano una carga di formento a pretio di berlingotti vinti tre et mezzo dico B. 23:10”.

Poco dopo la sua morte, nel novembre del 1684, i Reggenti del Comune e la Carità di Vello chiedono che il Capitano di Brescia emetta sentenza per appropriazione indebita a carico degli eredi di don Pietro Comelli, che vengono condannati alla pena pecuniaria di cento ducati.

Fappani ritiene che nel 1684, “forse per incoraggiare i concorrenti alla parrocchia, il Comune aggiungeva qualcosa al modestissimo salario mensile e rivendicava il diritto di giuspatronato e che fu riconfermato il 24 agosto”. La questione che interessava ai vellesi non era tanto il giuspatronato in se stesso, che era invece certo, ma, visti i precedenti, la sua qualità, ovvero […] Iusta il contenuto nell’ist:to rogato dal sig:r Ieronimo fanalle nod:o pubblico, et Cancelliere episcopale del di 2 maggio 1525 a qual in tutto e per tutto s’habbia piena relatione, quali persone che restan elette [dalla Vicinia] habbino pure facoltà, et autorita di poter dar et assegnar oltre l’entrata de beni dalla sudetta Chiesa a quel sacerdote che sarà eletto quel tanto di sopra più che sarà stimato dalli med:mi eletti decente, et conveniente con quelli patti et conventioni, che li med:mi estimaran piu utile. In quanto sij di pagar et assegnar al sacerdote eletto, ma non gia d’assegnar in perpetuo alla Chiesa Parochiale, ò Benef:o d’esser detto sopra più pagato la mità con l’entrata da farsi di d:o Comune, et l’altra mettà d’esser compartita sopra l’anime di d:o Comune, che però d:o sopra pur sia et s’intenda senza alcun minimo pregiudizio delle ragioni del loro Ius patronato à Ugual […].

Nello stesso 1684 i Comizi Comunali eleggevano il nuovo parroco in Francesco Ringhini di Sale Marasino, che rimase a Vello dal 1684 al 1714. Anche in questo caso, come per il predecessore Pietro Comelli, la nomina a parroco non implica immediatamente l’assunzione di tutti i privilegi del rettore-parroco: la presa di possesso del beneficio avverrà dopo sette anni di “praticantato”.
1691. 3 Xmbre
Posesso temporale del Beneficio di Vello datto al M.to R.do sig.r D. Franco Ranghini da’ s. Pietro Ant.o Rosetti Console.
In […] Mille seicento novanta uno corendo l’ind.e decima quarta alli tre del mese di xmnbre P[resen]ti il sig.r Guerino q. sig.r Pietro Almici cittad.o di Brescia habitante in Marone, et Fran[cesc]o q. s. Simone Gricini da Solzano testimonij, et d[ett]o sig.r Almici essere con me nod.o. _
m. Pietro Ant.o fig.o di m. Pietro Rosetti Console di Vello diocese Bresciana per riverente […] del Decreto del Ill.mo, et ecc.mo sig.r Ant.o Ruzini gia Digniss.mo Pod.tà di Brescia sottoscritto dal sig.r Bonaganti alia Comello Pret.o sotto il di = 12 feb.ro 1689 al d.o Console, et a me nod.o p[res]entato il M.to R.do sig.r D. Francesco Ringhini Rettore di Vello sud.o, insieme con lettera commissionale del d.o sig.r Comello a me diretta del di sud.to 12 feb.o 1689 , con li q[ua]li Decreto, et lett[er]a si comette di dar l’attual, temporal, et corporal posesso della Chiesa di s.ta Eufemia di Vello, et suo beneficio al sud.to M.to Rev.do sig.r Ringhini havemo per ciò datto tal posesso p.ma della sud.a Chiesa facendolo aprire, sarare la porta di essa, per quella pasegiando, et sonando la campana, sicome della casa, et dandogli nelle mani delli ramini, herba, terra, et pietra delli beni di d.ta Chiesa, et facendo tutti li atti soliti, et necessarij in segno temporal, et corporal possessione della sud.a Chiesa Parochiale e del suo Beneficio.
Quali rutte cose stando il sud.to M.to Rev.do sig.r Ranghino Rettore ha protestato, et protesta al sud.o Console, et à me sud.o infr.o esser ne posesso sud.o quieto et pacificio, et quello haver accettato con la mente, corpo, et hanima di quello godere, et possedere per vigor non sol del posesso sud.o, et Decreto sudetto // ma anco del pos[ses]o eclesiastico, et per ogni altro […] Rogatu à me Thimotheo Thomasio nod.o ad L. S.”
Con il parroco Ringhini il Comune di Vello intende affermare fin dall’inizio le proprie prerogative e separare nettamente le proprietà comunali da quelle del Beneficio Parrocchiale. Il 23 dicembre 1684 il notaio Timoteo Tomasi redige un documento in cui si compone la querelle circa la proprietà - comunale - della canonica, che è sede anche delle riunioni della Vicinia: il parroco espressam.te rinuncia al sud.to posesso concernente per le case sud.e, et da quello si rimove […] Riservandosi perciò esso M.to R.do cosi contentando anco tutti tre li Sind.ci, et Reg.ti attuali del med.o Comune p[rese]nti a[gen]ti per d.o Comune, di godere le case med.e, come per il pa[ssa]tto, lasciando, inoltre, al Comune l’uso della casa terr[ane]a detta la caminata possa in d.a casa per far li consilij, et tutte l’altre cose solite farsi per interesse del Comune, tenendo appresso di se una chiave di d.a stanza per valersi di d.a stanza in ogni di d.ti bisogni del Comune senza contradit[ion]e al[cun]a.

È da riferire a don Ringhini, e non a don Camplani come vorrebbe il Morandini, la costruzione della nuova parrocchiale.

“Adi 4 Maggio 1699

Essendosi finalmente per la Iddio gratia conchiuso frà il M:to Ill.o e M:to R:do sig.r D. Fran[cesc]o Ringhino Rett:e della spettable comunità di Vello di fabricare la nova chiesa nella Terra, come appare per parte presa, et accettata nel conseglio à tutti voti con la supposizione dell’oblatione già fatta dal sud:o sig:r Rettore, et confirmata dall’Ill:mo e Revd:mo Mons:r Gradonico Vescovo in occasione di Visita, come appare per suo decreto fatto li 21 settembre 1691, cioè che se il Popolo havesse contentato di far la chiesa nel corpo della Terra, si dovevano prendere due periti; Uno per parte della Comunità, e l’altro per parte del sud:o Mons:r Rett:re quali stimassero quanta spesa vi volesse a forni quella Vecchia, et che il sud:o sig:r Rett:e con quella medesima spesa gliela haverebbe datta intiera qui nella terra a sue spese.
Acciò però non nasca controverzia, etc. di q:ta santa opera si riduca à perfettione con tutta quiete, e conformità d’animi han pregato me infrasc:to mettere in carta le circostanze di detta oblazione vicende etc. come segue:
si dichiara dunq: con q[ues]to scritto, qual vogliono le parti habbia forza, come se fosse publico stromento giurato, qualmente il sud:to Rett:e si obliga in Persona con tutti li suoi beni dar alla comunità di Vello la Chiesa nova intiera comprese sepolture, sacrastia, invitriate, e campanile nel luogo della Piazza stimato luogo proprio, e capace da me infrasc:to e sig:r Ant:o Spaccio eletti per tal determinatione da tutta la comunità, come in conseglio preso à tutti voti sin sotto li due Ap[ri]le 1699. con quella medesima spesa, che che vi voleva à fornir quella vecchia cioè con trecento, e vinticinque scudi, come è stato giudicato dalli due periti sig:r Ant:o Spaccio Architetto per parte del sud:to sig:r Rett:e et Mastro Silvestro Romeda per parte della Comunità con le conditioni, et capitoli infrascr:ti, e senza li quali etc.
P:° che li spett:bli Deputati della Fabrica nova eletti dalla comunità sin sotto Genaro 1699. come nelli atti della comunità medema, quali Deputati sono sig:r Ant:o Comelo, sig:r Gio:Batt[ist]a Comello e M. Giacomo Botto siano tenuti contribuir al sud:o sig:r Rett:e li sud:i trecento vinticinque scudi in q[uest]o modo, cioè cento finito, che sarà il Coro; Altri cento fatto, che sarà tutto il copertume, e Volto della Chiesa; Altri cento, e vinticinque fornita, che sarà la sacristia, et campanile.
2° Che non escendo contribuiti li danari nel tempo, e modo, come sopra sia in libertà d’esso sig:r Rett:e d’acespir essi Deputati, come Rappresentanti facendo à nome della Comunità con atti di Giustizia, ò di prenderli à censo à conto, e spesa di essi Deputati, e Rappresent:ti come sopra.
3°: Che essi Deputati s’obbligano à mantenere à conto della Comunità tutti li Manuali, et di giorno in giorno faranno di Bisogno alli mastri tutto il Tempo, che durerà essa Fabrica.
4°: Che in detta Fabrica non s’intende compresa la fattura delli altri due altari.
5°: Che facendosi spesa à far venir il Decreto del Ser:mo Principe debba toccar la metà alle sudette Parti.
6°: Che andando per servitio della Fabrica sud:a fuori di Terra à lavorare s’obliga il sud:o sig:r Rett:e far le spese à Poveri, massime ne giorni feriali. In fede di che ha pregato me infras:to fa la sud:a publica scrittura da essere autenticata per mano di Nodaro a confirmatione del contenuto si sottoscriveranno le parti sud:e, o faranno con segno non saper di scrivere.
Io Pre Francesco Ringhino Rett:e affermo e prometto quanto di sopra
Io Antonio Comello affermo e prometto quanto di sopra
Io Gio: Batt[ist]a affermo e prometto quanto di sopra
segno † di M. Giacomo Botto

In fede di che io Gioseffo Peli Rett:e di Castegnato ho fatto la sud:a così pregato à nome de le sud:e parti, e viste à sottoscriversi”

Lungo ben 55 anni fu il parrocchiato di don Giulio Camplani (1715-1760).
Il suo successore, don Pietro Martinelli, vi rimase solo otto anni (1760-1768), trasmigrando poi ad altra sede. Dopo il parrocchiato di sei anni (1769-1775) di don Giuseppe Fontana, la parrocchia rimase di nuovo vacante per due anni.
Due anni (1777-1779) rimase il suo successore, don Francesco Ghirardelli, il quale abbandonò la parrocchia cercando poi, senza riuscirci, di tornarvi. Il vescovo Giovanni Nani, vista l’insufficienza dei redditi beneficiari, con decreto 15 marzo 1780 unì al beneficio parrocchiale di Vello il Chiericato 5° della SS. Trinità di Esine, il Chiericato di S. Biagio di Gerolanuova e il Chiericato di S. Benedetto di Orzinuovi.
Ed è certo che con tali capitali il rettore-parroco don Giovanni Battista Comelli, originario di Vello, poté edificare in luogo migliore la nuova elegante chiesa parrocchiale, trasformando quella vecchia in chiesa cimiteriale o, come venne anche chiamata, Chiesa dei Morti.