Due fondamentali tematiche insediative. I casi di Marone e Sale Marasino

Giovanni Tacchini

LA DISCESA ALLA RIVA E LA COSTRUZIONE DI UNA AREA SISTEMA

Al fine di rinnovare l’approccio alle “trasformazioni insediative” (preferisco usare questa locuzione rispetto a quella più tecnicamente circoscritta di “trasformazioni urbanistiche”) credo sia particolarmente importante trattare due tematiche che, nel caso specifico dell’analisi di alcuni centri della porzione mediana della sponda orientale del Sebino, appaiono imprescindibili, e ciò al fine di definirne alcuni resistenti caratteri originari.
La prima ci porta a ricostruire il mutamento degli scenari insediativi seguendo quell’onda lunga del popolamento che, in senso geografico, appare prima montante e poi discendente. E’ questo un insieme di fenomeni che, segnando il succedersi delle periodizzazioni storiche, investe tipicamente i comuni il cui territorio è posto in quel gioco di attrattività e repusività che si instaura tra monte e pianura, tra monte e costa o, se vogliamo (nel nostro caso) tra monte e “liquida pianura lacuale”.
E’ questo come un lungo, profondo respiro, o piuttosto una sistole e una diastole che lega gli insediamenti al rumore di fondo, fisico e biologico, dei luoghi.
In tal senso il fenomeno della discesa alla piana e nel nostro specifico caso alla riva, è aspetto urbanistico di rilevanza fondamentale come ci insegna la storia della civilizzazione romana che, proprio attraverso di esso, ha definito il configurarsi e tipizzarsi di un nuovo urbanesimo.
La seconda tematica è quella che ruota intorno alla necessità di considerare il quadro insediativo in “logica di rete”, ossia nel suo essere e “fare sistema” attraverso maglie e reti infrastrutturali e attraverso un insieme di gangli e di nodi nucleari di popolamento.
Troppo a lungo l’urbanistica ci ha abituato a considerare un disegno urbano ottocentesco come mononucleare e fatto sostanzialmente di isolati e di pieni, di una espansione insediativa fatta per continuità e completamenti, a ragionare, dunque, solo intorno a una fisiologia della crescita e dell’espansione che da un centro si estende verso la periferia.
Ora tutto nei nostri comuni sembrerebbe negare un simil scenario; la ricchezza dell’articolarsi dei paesaggi nella loro integrazione tra urbano ed agrario-forestale, tra funzioni del risiedere e della vita associata, tra paesaggi e reti infrastrutturali, mostra una armatura a polarità plurime, a interrelazioni e interazioni complesse.
Così questa seconda tematica ci porta ad entrare nel vivo della complessità dei nostri paesi che ci rimanda a quel loro essere pagus, cioè non entità comunali fondate su una compatta mononuclearità e inscitte entro i “confini naturali” di un semplice alveolo di bacino idrografico ma insiemi insediativi articolati su una serie di relazioni funzionali e gerarchiche, su articolazioni multifocali nel configurare nessi tra paesaggi e insediamenti annucleati, tra “piazze” e “frazioni”.

INDIZI ICONOGRAFICI

Al fine di percepire la portata del primo fenomeno nei suoi aspetti culturali più profondi propongo di affrontare la questione osservando tre immagini inscritte in tre pale d’altare; queste sono depositate in tre delle chiese che sono state fulcro di tale fenomeno che ha segnato l’avvento dell’epoca moderna: una essendo sede di pieve, l’altra di una parrocchia-comune, la terza di una parrocchia-vicinia.
Esse configurano, in modo diverso tra loro, tre vedute dal contenuto topografico e paesistico molto elevato e che, proprio per non essere il soggetto pittorico principale, ci appaiono particolarmente rivelatrici.
La prima la più antica, una “Madonna del Rosario”, la meno naturalistica in senso documentaristico nella sua ricostruzione paesistica rinascimentale, si trovava nella rinnovata parrocchiale di Sale ed ora si trova nella Sagrestia della sede del monumentale edificio settecentesco.
Qui il tema ancora dominante è quello della dedicazione. E’ noto come il tema della dedicazione della chiesa nella immagine iconografica gotica appaia come l’offerta di un tesoretto portato in dono, in cui il rapporto col culto e il quadro agiografico del santo passa attraverso le figure dei donatori. Questo tema, che ha attivamente coinvolto non solo l’iconografia ma il quadro delle opere in particolare degli ordini mendicanti, è ancora ben presente nella pala salese, anche se rivisitato da un allievo del Moretto; qui la definizione delle vesti auroseriche della nobile famiglia dei Dossi si accompagna allo sfondo delle “belle contrade” della prospettiva rinascimentale.
Ma a Marone il tema si trasforma nella iconografia manieristica di un paesaggio che sposta l’individualizzazione ecclesiale dal santo, dall’ordine, della famiglia gentilizia o della comunità dedicatrice verso un tema nuovo, quello della fissazione demica del paese-parrocchia.
L’Amigoni, attraverso il “paesaggio” da lui posto nella parte bassa della pala, tende a definire un orizzonte terreno sopra cui si eleva e si incela l’evento divino della assunzione; così, alla distanza di più di un secolo, si invera agli occhi dell’astante la nuova organizzione insediativa del paese-parrocchia che in quel periodo aveva ormai tracciato le linee di un suo pieno e solido sviluppo.
Così attraverso la mirabile prospettiva atmosferica di una veduta frontale di un nucleo di città-porto, la cui precisione topografica sembra essere confermata dalla “levata” di Marone eseguita all’inizio dell’Ottocento, per il catasto napoleonico, dal topografo Viganò, appare, oltre al tessuto denso degli edifici che confermano il delinearsi di strutture urbanistiche già organizzate per un insieme largo di isolati, un evento topico della storia lacuale, ed in particolare sebina, ossia il consolidamento murario della riva lacuale.
Questo elemento non solo testimonia la ricchezza degli investimenti nel fronte lago, in quanto nuovo e potenziato ambito degli scambi, ma ci testimonia il definirsi di un vero “paesaggio urbano”, non solo e non tanto per decoro e cifre stilistiche, ma per densità funzionale.
Dopo la quattrocentesca crisi della organizzazione insediativa incentrata sulla pieve, e il ridefinirsi degli spazi dell’identità comunale intorno alla parrocchia per opera della (contro)riforma borromaica, un solido processo, non solo residenziale ma coinvolgente tutto il fronte delle funzioni di produzione e della vita associata, aveva investito il paese e di ciò l’iconografia non inconsueta, ma comunque di straordinaria sensibilità ed efficacia nel delineare consapevolmente un fenomeno insediativo, quale è quella dell’Amigoni, ci fornisce una testimonianza fondamentale nel carattere urbano del paesaggio e nella attrezzatura riparia.
Il Gandino, più tardi, seguendo fondamentalmente la strada tracciata dall’Amigoni darà una ulteriore conferma di ciò fornendoci una nuova immagine di consolidamento dell’attrezzatura insediativa riparia per il piccolo centro di Toline. Nella tela settecentesca conservata in quella piccola chiesa parrocchiale di San Gregorio Magno, in scorcio basso, tra le pieghe della cotta e del saio dei santi protettori, compare un alaggio e scivoli che scendon a una riva dove si arrocca l’abitato a simboleggiare la peculiarità del paesaggio di questo piccolo centro.

I PARASTRATI DELL’ONDA MONTANTE DEL POPOLAMENTO

Siamo dunque di fronte a un mutamento di scenario la cui portata storica, spesso trascurata, è fondamentale rimettere in luce.
Per comprendere appieno il senso di questa che possiamo definire come una inversione di tendenza, sono necessarie alcune considerazioni. Queste investono la storia di quell’insieme di fenomeni e tipologie che si possono inquadrare entro lo scenario, caro alla geografia umana e oggi profondamente rinnovato dalla storiografia medioevale, degli insediamenti minuti.
Prima di tutto dobbiamo porre la nostra attenzione in quella fascia dei terrazzi morenici laterali lasciatici con straordinaria dovizia dalla successione di onde glaciali; essi plasmano quell’unicum geomorfologico dall’anfiteatro morenico laterale che unisce Sale a Sulzano.
Sintomaticamente i prediali di origine romana sono presenti in modo abbondante in questa area e ciò a testimonianza di una importante continuità storica del popolamento e delle strutture agrarie ed insediative. Sono lì a definirci un solido scenario di civilizzazione fondato su case e campi stabili, su strutture di proprietà eminente e allodiale.
Ma vi è un secondo, ancor più importante, scenario. Fino alle soglie dell’epoca moderna l’organizzazione vicata, dei piccoli gruppi di popolamento autonomi, basati su strutture di famiglia allargata e di gruppi di famiglie, propria dei quadri territoriali preromani e rimasta vivacemente operante per tutto il Medio Evo, aveva improntato di sé molti quadri insediativi connessi allo sfruttamento dei suoli di deposito morenico.
Questi erano prevalentemente collocati in rapporto ai terrazzamenti posti tra le quote che dai 300 m. s.l.m. salgono ai 700 m. s.l.m.
Sono questi suoli la sede d’elezione dell’aratro prima leggero poi pesante, sono essi, con la loro relativa facilità di lavoro, con la loro feracità di “casse di risparmio” mineralogiche, con il loro insoleggiamento, con le loro potenziali produttività cerealicole particolarmente elevate, con le loro potenzialità e complementarietà di paesaggi a configurare i primi e stabili riferimenti alla organizzazione insediativa.
Questa tipologia di insediamento si associa ad un ulteriore espansione verso monte di tipo individuale, familiare e enfiteutico che ci mette di fronte a una dinamica importante rispetto ad un lungo periodo segnato dall’onda montante di un popolamento minuto medioevale (fino a quel 1350 che è la soglia dell’evento della peste nera e che segna un drammatico punto di flesso delle dinamiche di popolamento).
Il processo di antropizzazione del territorio si era andato così sviluppando con la messa a coltura di novali e di ronchi che sappiano seguire solide logiche di organizzazione contrattuale oltrechè di cultura materiale proprie delle forme di messa a coltura del suolo.
Dopo questo primo tempo, questo tipo di popolamento continuerà ad essere attivo e seguirà gli andamenti delle fluttuazioni della curva demografica che segneranno tutta l’epoca moderna e una buona parte di quella contemporanea.
Interpretando ritornanti e successive onde di espansione esso impronta profondamente di sé, dal solivo al vago, il paesaggio posto ai margini e oltre a circuitare il nucleo dei terrazzi morenici
Anche questo popolamento ci lascia un ricco bagaglio toponimico di “luoghi detti”.

L’INCASTELLAMENTO

Una terza tipologia è quella dell’incastellamento.
Anche di questa importanti ne sono gli indizi toponomastici, ne ricorderò solo tre al fine di dipanare una serie di equivoci che le storiografie locali spesso alimentano.
Essi riguardano la sopravvivenza di una ormai abbandonata, soffocata da sterpaglie e da rovi, via del castello, che si diparte dall’asse della “Valle” di Sale verso un ampio ripiano posto più a monte in lato sinistro; il nucleo del castello di Pilzone sulla strada di S. Antonio; la tradizione ghibellina e fredericiana di Pregasso.
Essi mostrano caratteri tra loro dissimili: alla funzione di rocca-presidio di Pregasso si giustappone quella di nucleo di popolamento di Pilzone, ciò a testimoniarci il fatto che castello è un nucleo compatto cintato e difeso, che porta con se non tanto e non solo le vestigia, per l’appunto, dell’arroccarsi di un antico nido di falco su un promontorio o una cima (uno di quegli impianti ghibellini e feudali, quali son lungo i colli di Svevia e di Sassonia, fatti di torri e torrette, di ferraglie ed araldiche insegne), non un fatto eminentemente feudale e guerresco e monumentale, ma un momento di annucleamento di contadini in un luogo perimetrato da alcune difese, un modo di mettersi insieme sotto un referente e una protezione comune, un modo di organizzar il popolamento dei luoghi che si era dato, un po’ ovunque, nelle campagne d’Europa, fin dai tempi delle ungariche, terrificanti, invasioni.
Fino al Cinquecento il vecchio scenario insediativo dell’incastellamento era apparso molto forte nel definire una linea di popolamento: quella delle sorgenti di Concodon.
Questi luoghi difesi che, trasferendosi in quota nella loro ricerca di acqua, con il loro organizzarsi a risalire le piccole valli, segnano una linea cerniera del nostro territorio comunale, sono posti in prossimità della linea dei 350 m. s.l.m. determinando una organizzazione insediativa che si sviluppava lungo le linee della mezzacosta dei vari paese, posizionati entro la fascia delle colture specializzate della vite e dell’olio, essi paiono sede di una economia fatta appunto di molteplici forme di integrazione tra rive-coste e ripiani, tra terrazzo e terrazzo, tra versante al solivo e versante del vacuus, tra le diverse quote climaxiche e climatiche. Ed ancora, all’inizio del XX secolo, qualche traccia di ciò doveva esser rimasta se i vari schizzi e alcune vedute da cavalletto di pittori locali operanti all’inizio del XX sec. spesso hanno ricostruito un segno denso di case, di nuclei, di insediamenti di mezza costa, consegnandoci una interpretazione a metà tra l’archeologico e l’immaginifico.

LA COMPLESSA TRASFORMAZIONE CINQUECENTESCA

A fronte di ciò molto ricca è la documentazione di una edilizia rurale posta in rapporto alle linee delle glaciazioni di Mindel e Riess e che appare basata su una nebulosa di case sparse.
Gran parte di questo insediamento di quota è fatto da una tipologia di baita (a tradizione zootecnica) che si giustappone a quella di corte aperta con aia (a tradizione cerealicola).
Gran parte di esso, a differenza dei nuclei dei Vigoli, perde la sua autosufficienza e entra in uno scenario nuovo di relazioni: quelle della monticazione e della transumanza, cosicché si verrà a sviluppare una nuova cultura profondamente permeata da indirizzi zootecnici e forestali.
Se abbiamo già visto come in questa area fossero solidi i segni di uno strutturarsi edilizio fondato sul principio di case e campi stabili, ecco che ad un tale sostrato si vien sovrapponendo una cultura lattiero-casearia che propugna anche un profondo rinnovamento cerealicolo, così la tipologia delle cassine, grazie alla testimonianza datata di ex voto presenti sulle loro esterne pareti, ci attesta il profondo rinnovamento di un patrimonio di edilizia rurale che sempre più legherà le sue logge dapprima al grano saraceno e poi alla successiva rivoluzione maidica.
L’estendersi dello spettro dei grani (grani grossi e grani piccoli, cereali, leguminose e poligonacee), il consolidarsi delle reti zootecniche configurano una nuova e diversa organizzazione territoriale, fatta per discontinuità insediative, connesse attraverso sistemi di reti infrastruttrali.

MAGLIE E RETI INSEDIATIVE

Sulla base di tutti questi sostrati, con l’avvento dell’epoca moderna, si consoliderà una rete di interconnessioni complessa; questa porterà alla definizione non solo di una logica in sé ma di tutto un complesso inquadramento del sistema insediativo.
Tutto ciò viene espresso attraverso il sistema delle mulattiere
Questo modello di rete, di cui ho avuto modo di trattare in altre occasioni, è al meglio visibile nel territorio salese dove l’ampio anfiteatro ne configura appieno la possibilità di sviluppo e di articolazione.
Questa rete è composta da un doppio sistema di maglia.
La porzione alta è segnata da un asse trasversale di nodi posti alla quota della glaciazione di Riss, di cui spesso i toponimi ne definiscono la funzione di nodo, come quel toponimo Portole che individua un passaggio trasverso o quello di Preale che individua una tecnica di ricomposizione dei carri.
Questi nodi definiscono degli incroci-passaggio tra versanti e tra sistemi di valle, favorendo le varie integrazioni tra attività agricolo-zootecniche e forestali.
La porzione inferiore è segnata da un ulteriore asse trasverso le cui polarità sono di tipo annucleato; tale asse è composto dalle molte frazioni di costa presente nel territorio plebano, essa presenta una ricchezza di centri che non appare riducibile alle sole presenze dell’incastellamento o delle masserie come organizzazioni fondiarie ecclesiali ma mostra una vivacità di più libera aggregazione di vicinia e di comune-villaggio.
Questa armatura posta sulla linea della glaciazione di Wurm è fatta per frazioni poste in intima relazione alla morfologia dei primi ampi terrazzamenti morenici, alla loro potente individualità, spesso definita dalle incisioni delle valli, dalle complementarietà di porzioni di territori discontinui, segnati dalla presenza di coalescenze di alluvi e morene.
Tale linea di nodi è posta appena al di sotto della seconda linea delle sorgenti perenni, quella che corre in rapporto alle varie frazioni: il Tuf alla Valle, il Palmander a Presso e Distone, il Valecol a Marasino, l’Aquases a Maspiano, Gandizzano, Gavone.
Ma questa rapida ricognizione non sarebbe in alcun modo esauriente se non considerassimo quel toponimo, Piaze, che è nell’intorno dell’itinerario della via Valeriana abbastanza comune e che interessa questa seconda linea di nodi.
In particolare è l’ampio profilo di un terrazzo baulato che aveva portato una Piaza magiur, a delinearci i resti di un larghissimo spiazzo che era stato periodico incontro di transumanze e mercati
Oggi là dove si estende una serie di lottizzazioni che ci fanno perdere il senso del luogo il Guerrini ci informava che: “Notevole è il nome di Piazza Maggiore conservato a una località tra Distone e Marasino, quivi era certamente il concilium del pago romano, la sede del mercato domenicale, il luogo di ritrovo per le assemblee, i contratti, ecc. nella remota età precristiana e forse anche nell’età medioevale, quando le Vicinie, che poi assunsero il nome di Comune, vi convenivano in date epoche periodiche per la trattazione degli affari della loro amministrazione”.
Ne emerge così una maglia complessa non fatta solo di ragioni connesse ad una cultura materiale dell’attività agricola ma partecipe di un più vasto orizzonte di scambi.

LA NUOVA ORGANIZZAZIONE DEMICA

In tal quadro il processo Cinquecentesco di discesa alla riva non avviene in modo compatto e non si dà banalmente per giustapposizione conurbativa ma opera in termini di articolazione e specificazioni funzionali dei tessuti microurbanistici che viene creando.
A tal proposito bisognerà fare riferimento a tre fondamentali fattori che sono: a) la riorganizzazione, a partire dal basso, dell’impianto amministrativo e liturgico diocesano; b) l’organizzazione di un nuovo quadro della mobilità in cui lo spazio e i vettori lacuali divengono elemento centrale; c) l’organizzazione di una solida infrastrutturazione messa alla base di una rinnovata produzione manifatturiera.
Tra Quattro e Cinquecento una straordinaria ridefinizione del patrimonio tipologico e iconografico dei luoghi di culto (pievi, parrocchie, chiese rustiche e oratori) si impone.
Lo schema interpretativo, normalmente, propostoci è relativamente semplice: “Fino al secolo XV quando ancora vi si facevan discendere all’unico fonte battesimale tutti i bambini per un solenne, collettivo, primo rito di passaggio, essa rimase unica parrocchiale per tutto il vasto pievato, qui si raccoglievano i fedeli per le feste e le funzioni più solenni.”
Poi intorno al XV sec., che è l’epoca classica del dissolvimento delle antiche pievi rurali, si formarono le parrocchie autonome, e ogni paese o comune ebbe lentamente la sua indipendenza dalla pieve “(...) Quando infatti gli atti delle prime visite pastorali, nella seconda metà del Cinquecento, ci mettono innanzi il panorama delle condizioni gerarchiche della diocesi e le condizioni religiose di essa, anche sulla pieve di Sale la dissoluzione dell’antico ordinamento è ormai un fatto compiuto; vi appare evidente e completo il “ novus ordo” dell’ordinamento parrocchiale moderno”.
In parziale contrasto con una tale e un po’ sbrigativa interpretazione i comuni e gli insediamenti, facenti capo alla Pieve di Sale, anticamente conosciuta come Vallis Renovata presentano ancora a tale data una solidarietà liturgica e una permanenza della funzione matrice della sede plebana che appare particolarmente resistente, come ci attesta il documento:
“Primum et principaliter sunt communia, et homines qui tenent et obligati sunt ad (...) et in perpetuum omni anno ad solutiones cerae cerei Paschalis et pariter comune de Marasino libra duas cerae: comune de Martignago libras quatuor cerae. Comunis de Pischeriis libram unam cerae: Comune de Pregatio libras quatuor cerae. Comune de Zono libras quatuor cerae. Item supradicta comunia tenentur implere annuatim lavellum baptisterii plebis praedictae pro sua parte sibi contingente. Item etiam tenentur et obligati sunt ad cooperationem dictae plebis pro ut infra est eis prs assignata unitimque videlicet. Primo pars illorum de Martegnago est a campanili usque ad lavellum baptisterii: pars communis de Pischeriis sunt duae conterate juxta partem illorum de Martegnago est a campanili usque ad lavellum baptisterii. Pars comunis montis Insulae est a parte illorum de Pischeriis usque in finem copertorii. Pars illorum de Pregatio est super capellam Dive Mariae. pars illorum de Vello est quae pluit super feratas lapideas. Pars comunis de Zono est a parte illorum de Vello usque in fine. Pars comunis de Marasino est totum corpus plebis magnum.”.
Cosicché il carattere della organizzazione del pagus resterà a lungo e importante se nelle visite pastorali di età borromaica ancora le testimonianze di questa organizzazione gerarchica di questa sua funzione di matrice non viene ad essere persa.
Certo è che in questa temperie di eventi andrà aggiunto il fatto determinante del modo di esser posti i vari luoghi di culto in rapporto alla via valeriana. A tale proposito ho cercato di ricostruire una traccia del definirsi di una intima connessione tra la via e la riorganizzazione dei siti, le tipologie e i nuovi orientamenti di quell’ampio insieme di chiese ricostruite o riattate o di nuova fondazione.
Ma concentrando qui la nostra attenzione sulle sole sedi parrocchiali, si potrà riscontrare come, con l’abbandono della antica matrice di San Pietro a Marone il trasferimento della liturgia sacramentale nella nuova sede, si disveli un fenomeno insediativo dalla portata i cui esiti sembran segnare un processo irreversibile.
A Sulzano analogo, sebben più limitato fenomeno (qui si può parlare di semplice discesa alla piana connessa alla bonifica di una area di conoide), sembra improntato da una riorganizzazione energetico-manifatturiera precoce e promotore dell’attestarsi del nuovo centro demico.
A Sale tutto rappresenta una rivitalizzazione della antica forma di organizzazione del pagus che si organizza intorno a una pieve trasformata in parrocchia-comune e disposta in rapporto a due vettori di rilievo crescente: il primo legato all’abbassarsi di un itinerario della via valeriana e il secondo alla costruzione della valle-“dugale” del Tuf.

IL NUOVO SCENARIO DEL TRASPORTO LACUALE

Il secondo fondamentale elemento di definizione del fenomeno è dato dal nuovo scenario del trasporto lacuale.
Tutto il Cinquecento ci documenta questa discesa alla piana che è discesa alla riva come evento supportato da una nuova armatura infrastrutturale e da una nuova attrezzatura del fronte lago; ciò si lega al configurarsi di un nuovo paesaggio dell’accessibilità.
Ciò si può ben leggere nella organizzazione che il francescanesimo seppe dare alle attrezzature che organizzaron le tappe degli scambi sul fronte lago, come ci è testimoniato da un altro ampio apparato iconografico, oltrechè la diretta documentazione monumentale della presenza dei loro oratori, chiese e conventi.
A Brescia, nel chiostro di san Giuseppe, un attento inventario, riordino seicentesco dei conventi francescani, ci è espresso da una serie di vedute tra l’assonometrico e lo “a volo d’uccello”. Forte è il peso di un rapporto che si impone tra il lago e tali presenze, come ci testimoniano gli affreschi riguardanti l’Ospedale di Iseo e l’isola di San Paolo.
Tale immagine è rinforzata da una serie di oratori come il San Pietro di Sale, il San Tommaso di Pilzone, o come, sull’altra sponda, a Tavernola, S.Pietro.
Legandosi a nuovi ceti mercantili (i Fenaroli) i francescani impongono la loro militante presenza che inizia ad apparire importante momento di riorganizzazione delle funzioni del medio lago.
Con i loro conventi, ospizi, ospedali, che inseguivano le possibilità della grande mobilità lacuale, i suoi traffici le sue peregrinazioni, essi forgiavan istituzioni che avevan l’occhio rivolto su verso quelle valli e quegli uomini che bisognava nutrire non solo di biade e che guardava a quelle alpi che dovevan divenire visibil fortezza della vera fede romana.
Tutto ciò si lega a fatti e condizioni strutturali che stanno a monte di questi eventi e ci impongono di rileggere il “rumore di fondo” del quadro fisico geografico di questi nostri laghi lombardi.
In altra sede ricordavo l’importanza di una faglia tettonica e quella del modellamento glaciale nel definire nel lago un canale privilegiato di scambi, un canale privilegiato di rapporti con ciò che sta a monte e a valle di essi, un rapporto che ha avuto sue lunghe durate di cultura materiale e di processi di civilisation.
Non tanto essi sono spontanee “Vie delle genti”, ma sistemi articolati di relazioni e servizi di trasporto e di transito, fondati su un nucleo antico, resistente che si spiega con la regolarità delle inversioni delle brezze, Ora e Vét, dell’Iseo, Sover e Ora del Garda, Tivano e Breva del Como. Sono tutti questi fondamentalmente dei micro-venti dei commerci, degli Alisei ritmici e ravvicinati.
La caratterizzazione delle linee di costa è data da una marcata topografia di dettaglio che configura la scelta del sito degli insediamenti lacuali.
Una tradizione quasi veneziano-lagunare organizza nei siti riparati dal vento il disporsi fronte riva di palificazioni che garantiscono l’ormeggio perpendicolare dei naècc.
In rapporto con ciò, una prima geografia degli approdi configura una specificità tutta sebina, è quella di una precoce organizzazione di muri ripari che diventan banchina per le naf.
Questi tecnici modi di attrezzare la riva in quanto espressione di una geografia volontaria danno vita a un sistema di mobilità assai specificamente espressivo e correlabile a più ampi sistemi di mobilità e a direttrici di trasporto; tutto ciò favorendo lo sviluppo nel medio lago di porti-scali, il consolidarsi della nodalità degli approdi intermedi giustapposta alla nodalità delle teste delle città-porto, il confluirvi delle valli pensili laterali e degli altopiani.

SULLA BASE DI UN SUPPORTO DI GEOGRAFIA VOLONTARIA: L’URBANIZZAZIONE DEI CONOIDI

Questo processo di rinnovata attrattività delle coste lacuali è per altro anche espressione del rinnovato interesse per delle precise topologie e tipologie fisico- geografiche, in particolare per quelle segnate da una profonda dinamica geomorfologica e da un robusto modellamento di superficie: le conoidi di deiezione.
Abbiamo già visto con il caso delle morene come sempre la costruzione dei paesaggi si presenti come la ricerca di spazi neogenici e ciò è vero anche nello spazio delle riviere, dove le conoide di deiezione, come luogo di deposito attivo, hanno sempre costituito una fondamentale attrattiva in quanto quadro da bonificare e da colonizzare e dunque riportabile ad un telos di popolamento, ad un progetto insediativo, a una “sfida ambientale”.
Se le conoidi di deiezione sono nella realtà alpina e prealpina le aree di elezione della costruzione di un paesaggio annucleato, oltrechè delle “belle riuscite” di un paesaggio agrario a arboricoltura, lungo i laghi esse assumono un diverso profilo.
Tra lago ed alpi esiste una profonda differenza, in primis una differenza di scala, ma, soprattutto, le conoidi vi hanno avuto un ruolo diverso legato all’attrattività del piede -margine della conoide che si intrude nella ripa lacuale.
Le “terre fredde” del fondo valle alluvionale sono repulsive, sono “terre di ruina”, lì è piuttosto il piede come zona di contatto tra fondo valle, roccia madre e l’intrusione delle conoidi ad essere elemento strategico, è il disporsi in destra e sinistra in prossimità del vertice del ventaglio della conoide a definire l’insediamento come nodo e tappa di un itinerario stradale, qui vi è il margine costiero.
Lungo le coste dei laghi i loro margini sono stati attivamente giocati nella organizzazione del fronte acqua, spesso essi sono stati, come nel caso di Marone, dei veri centri della organizzazione urbana più che di popolamento, attraverso importanti elementi funzionali, una chiesa, un punto di rottura di carico, in altri, come nel caso di Lugano o Lecco o Locarno, di intermodalità di trasporto e di fiera, o, come nel caso di Sale, di “cure” e attività manifatturiere.

UNA RILETTURA TOPONOMASTICA

Interessante è la lettura che di questo attivo processo prima geomorfologico e poi di antropizzazione ne han fatta gli storici attraverso i toponimi.
Gli storici locali della prima metà del Novecento ci dicono di come questo evento si sia manifestato, loro che ben conoscevano un gioco di discesa e di risalita che non era ancora finito nella prime decadi del Novecento, un gioco che si dava tra spinte rurali e spinte manifatturiere, ci rimandano ad una lettura toponomastica.
Inequivocabilmente il toponimo Marone attesta la volontà geografica di antropizzazione e di costruzione di uno stabile paesaggio in prossimità di una marra e di un marè (si vedano al proposito gli storici locali Guerini e Morandini, ed ancora l’Olivieri). Ma per certo questo toponimo unisce due matrici fondamentali quella connessa all’acqua, mare-laguna, spazio di dinamiche modifiche di impaludamento e quella connessa al deposito marra, marro parola alpina, paleoeuropea nel senso di ciotolo, che si coniuga e rafforza con Marra parola mediterranea in quanto mucchio di ciotoli che si differenzia da ganda (Gandane, Gandizzano etc.). Una forte attenzione per questo ulteriore toponimo preindoeuropeo ed alpino legato in questo ambito geografico più al generarsi di uno sfasciume di falda che non all’effetto di deposito di un vettore idrografico segna il plasmarsi non solo cataclismatico ma di modellamento geomorfologico e poi di bonifica e di insediamento ci è attestato da un ben importante famiglia di termini che declinano in vario modo questo termine ganda.
Una serie importante di toponimi dunque ben interpreta la condizione di geografia fisica su cui è stato fondato un umano paesaggio. In questo caso a Marone esso ci aiuta a comprendere la sua collocazione posta tra due alvei di piccoli fiumi permanenti, l’uno per certo è fiume, l’altro vi appare meno permanente, qui i due conidi formano quasi una coalescenza unitaria.
Ma anche il toponimo Sale sembra poter andar oltre e non riferirsi affatto a una longobardica caratterizzazione insediativa, quanto piuttosto a una radice preindoeuropea che contrassegna una importante presenza e un modellamento geomorfologico.
Quella saal che ha dato vita ad altri toponimi nell’Italia longobardica, sembrerebbe qui dover lasciare il posto a una sala la cui interpretazione è piuttosto legata a una più antica connotazione geomorfologica preindoeuropea connessa sia a un idronimico “torrente incassato” o inalveato, sia alla configurazione di un penepiano a “eboulis” (deiezione) da cui, rigemellandosi con Marone, verrebbe ad assumere il significato di impaludamento-“marecage”

UN PRIMO TAKE-OFF: UNA NUOVA GEOGRAFIA DELLE RISORSE

A fronte di un nuovo scenario di allocazione di attività sta proprio il quadro della bonifica e della nuova organizzazione delle conoidi e dei loro microassi vallivi.
Più a monte il vaso di captazione delle acque perenni, più a valle la conoide con la sua forza di greto entra nel sistema di “cure” manifatturiere
Il rapporto sorgente Sestola-alveo-Bagnadore-conoide di deiezione o quello Tuf-Valle-dugale-conoide, hanno così voluto dire fatti localizzativi molto forti: infrastrutturazione-regimentazione idraulica e disponibilità energetica potente a monte, organizzazione riparia e spazi per servizi manifatturieri a valle. Ciò ha permesso una più larga definizione di ambiti microurbanistici in grado di fornire importanti servizi alle attività di produzione e di scambio.
Così tra Cinque e Settecento a Sale come in Marone, sia pur in modo diverso, lo sviluppo urbanistico è posto tra due conoidi: Tuf e Vigolo e Opolo e Bagnadore.
Il monte di Marone, attestantesi con forte e precipite sporgenza nel lago proteggendolo dai venti da nord in prossimità del conoide definisce un microambiente lacuale e di margine tra acqua e terra atto all’approdo, e dove si delinea un terminale alla strada costiera; più a sud gli stessi detriti imprimono alla linea di costa una deformazione che nella concavità centrale accoglie il nucleo storico.
Tutto ciò ha favorito il formarsi di un punto di rottura di carico capace di sfruttare i regimi delle brezze regolari e le potenzialità di un’accessibilità superiore a quella dei luoghi interni della montagna.
A Sale la tipologia insediativa, per quanto anch’essa incentrata su un asse idrografico, appare diversa rispetto a quella finitima di Marone.
A Sale le conoidi appaiono caposaldo di una meno compatta ma più articolata organizzazione demica.
Qui l’armatura urbano-insediativa del territorio, al di là della grande importanza degli insediamenti sparsi o minimamente vicati di quota, presenta una ricchezza di articolazione di case-madri attestantesi lungo la attuale via Zirotti fino alla contrada Rovere.
A fronte di ciò sta il lavoro domiciliare dei telai, dell’aspo e della rocca.
Cosicché noi vediamo come due popolamenti rurale e manifatturiero organizzino tra loro complementarietà.

LA NASCITA DEL TESSUTO MICROURBANISTICO DI MANIFATTURA DIFFUSA

Queste nuove “economie esterne” sostituiscono il vecchio scenario.
La “bià” delle transumanze del monte Guglielmo e la via valeriana che alte tenevano in quota le ragione degli scambi dei prodotti tessili e che avevano il loro epicentro nell’altopiano di Zone, iniziano a perdere importanza a fronte del definirsi di una nuova infrastruttura quale è quella idraulica.
Avendo il popolamento iniziato a scendere a valle, a consolidarsi lungo gli alvei dei fiumi-torrenti, in quanto necessaria risorsa per muovere i mulini e le percussioni dei folli, queste attività, lasciano, tra Quattro e Cinquecento, i comuni pastorali di quota e l’altopiano di Zone.
La discesa manifatturiera si impone con l’organizzazione idraulica delle canalette a partire dalla linea delle sorgenti: il Tuf a Sale Marasino e la Sestola a Marone con il loro trasporto di acque consortili e regimentato fino alla sponda del lago.
Per Sale e per il commercio dei panni-lana non è forse indifferte la presenza degli Averoldo la cui presenza a Lumezzane si rapporta a quella degli Umiliati e all’importante produzione e commercio laniero.
Da qui nasce una nuova realtà di mercanti ed imprenditori d’area bresciana che si fa concorrente fino a soppiantare il sistema produttivo laniero, a matrice urbana, di Lovere entrando per altro in rapporto diretto con Gandino e la media valle Seriana.
A partire dal Settecento, col consolidarsi delle attività manifatturiere, la policentricità delle molte, sparse, frazioni aveva, in un certo modo, lasciato il posto all’annuclearsi del centro-paese che veniva arricchito dal flusso migratorio di maestranze, tecnici e imprenditori in particolare provenienti dalla val Seriana e dalla val di Gandino,
Essa segna il compimento di un processo che credo sia utile riassumere nel configurarsi dei suoi tratti salienti in una frazione che si unisce strettamente alla “piazza”.

CAREBBIO E GLI SCALÌ

Partiamo da questo nome Carebbio che ci dice come il luogo sia strettamente parente a quei carrobi che eran incroci e nodi urbani di vie e come questa nodalità ne sia dunque espressione prioritaria e primaria.
Lì, se osserviamo l’antico catasto austriaco, si vede come una volta quel confluire di strade desse vita a uno slargo carrobbio, posto tra monte e valle; era un doppio fascio di strade che aprivano verso innumerevoli complementarietà di paesaggi e lavori.
Lì passava l’asse principale della riviera, a costruire complementarietà di sistema produttivo e di scambi. Verso lago le sue strade conducevano alla via, alveo e rio: Balzerina (valzerina).
Attualmente solo questa via ha una qualche importanza, al porto dei Dossi, alla contrada Rovere.
Tutto ciò ci consente di rileggere il ventaglio di piccole strade che irroravan la frazione Carebbio. Poi la strada regia sarebbe passata in fregio alla costa, poi la ferrovia avrebbe bisecato la frazione e avrebbe fatto perdere a questo nucleo la sua funzione di centro pulsante.
Ma soprattutto, per la nostra osservazione, è importante rilevare come dal suo caposaldo si dipartisse un intero sistema stradale: quei percorsi degli scalì, non generiche mulattiere ma strade acciottolate della sezione di circa due metri aventi al loro centro dei baselli di pietra di Sarnico della lunghezza di circa cinquanta centimetri, ben lavorati posti in mezzeria trasversi all’asse stradale.
Un segno, questo, infrastrutturale profondo, non casuale, posto al di sotto della linea delle sorgenti perenni che lega le frazioni del Tuf del Dosso e della Valle al Carebbio e che nella porzione del settentrione del paese diede vita ad un insediamento più annucleato e più votato alle manifatture e agli scambi a queste connesse, rispetto alle frazioni poste a mezzogiorno, più rurali e più autonome nelle relazioni con i loro paesaggi agrari.
Qui si fissava una tipologia di strade mulattiere in cui l’orizzonte della ruota lasciava lo spazio a quello primario del basto, delle some e dei colli, qui il freno e l’appoggio all’andare di un mulo e di una slitta veniva giocato su quei masselli in pietra di Sarnico, leggeri, quasi impercettibili scalini, piani di aggrappaggio ancor prima che di appoggio, posti sulla mezzaria della strada.
Tecnico accorgimento questo che era posto in opera solamente nei posti in cui essa era non semplice tracciato rurale ma serviva prioritariamente agli spostamenti delle domiciliari manifatture.
Qui il trasporto era paradossalmente in sé più primitivo, dove le pendenze si facevan più forti, dove i passi del mulo e dell’asino eran parenti a quelli di altri portatori di colli e avevan bisogno di cadenzati rapporti, qui, allora, la mulattiera veniva attrezzata con gli scalì.

UN CONSORZIO D’ACQUE: VIA DEI MULINI

A Marone l’articolazione dei nuclei alti (Molini, Ponzano, Ariolo, Vesto, ed ancora più alti Pregasso e Colpiano), da conto del complesso rapporto di integrazione tra coltura (si pensi all’ulivo e alla vite) e manifattura, tra lago e valle (anche dal punto di vista della costruzione fisica dell’abitato e del paesaggio).
Determinante è a tal proposito il ruolo della Festola (oggi Sèstola) sorgente di grande portata, che alimenta le prime economie manifatturiere. Già in una quattrocentesca descrizione dell’abitato, si rilevano “ruode 28 di molini sopra l’acqua della Festola”. Si tratta di “forza motrice” disponibile per attività di forgiatura, di molitura e successivamente – nel momento di massima espansione – della manifattura tessile (della lana e della seta).
Il significato manifatturiero è evidente nella ricchezza di rete di canalette d’acqua che alla perennità sorgentizia della Festola uniscono la forza e la risorsa idraulica del torrente Bagnadore e, via Ariolo, dell’Opolo.
E tutto ciò spinge sempre più a valle, a conferma del consolidarsi degli insediamenti manifatturieri nella porzione a sud dell’asta del Bagnadore
A Marone una forse ancora più antica matrice entra in gioco legandosi a quelle canalette e consorzio di acque a farsi l’asse tra le due fasce del popolamento, quella della via dei molini, che all’origine va vista nella schietta funzione di una attività molitoria cerealicola: con l’attestarsi dei diritti della comunità zonese da un lato e con la commercializzazione, via lago e via valeriana, delle farine e degli oli prodotti lungo le diverse presenze di questo itinerario.
Ma poniamo attenzione ai riscontri degli estimi: “Antonio quondam Giacomo Guerini - in contrada di Marone vicino al Dugale una casa con corpi due terranei e ruote due da molino. Il molino estimato L£ 1600 Si debatte il sesto per il molino che è di £ 266 soldi 12, un asinello estimato £ 10 e una barchetta estimata £ 15….è un corpo di case con una rota di mulino con sue ragioni in tener di Ponsano…Un altro corpo di case con un edificio di Fusina - olim folo di panni - acquistato da Pian Pietro Ghitti. ..Reverendo don Giuseppe del fu Girolamo Zini (proprietà personale) Casa a brolo con tre ruote di molino in contrada di Marone. Si batte il sesto per il molino che è di £ 26 e 13 soldi. ..Lorenzo quondam (nota 2) Salvatore Gitti in contrada di Marone casa con corpi tre terranai con rote due di molino: il molino estimato £ 1020…Bartolomeo quondam Lorenzo Gitti: ha una barca detta Gandola e una gondoletta…N.12 - Silvestro q. Bernardino Gigola - paga livello alli R” Canonici di S. Giovanni in Brescia di £ 8 soldi io planet all’anno sopra il capitale di £ 160. In contrada Calchera ha una casetta cuppata (3) ed una fornace della calcina estimata £ 25.N.13 - A Pietro Antonio Q. Francesco Guerini vi ha due casette con un torcoletto dentro - estimato 1.30 compreso il torcolo. N. 14 - Cristoforo e Salvator Gitti in contrada Ariolo - una ruota di molino si batte il sesto per il molino che è di £ 6 soldi 13. E così via via a risalire fino a quei numeri di inventario: N.25 - G. Maria q. Tranquillo Novali - una casetta e un follo di panni in contrada di Ponsano. N.26 - Paolo q. Battista Gitti: denari et mercanzia 1000. Deve avere da Pietro q. Bartolomeo Almici Lire 1500.
Sia le testimonianze iconografiche che quelle catastali, come quelle più tarde delle guide di primo novecento, attestano una tale realtà originaria.
A questa particolare condizione geografica, fa riscontro, dunque, un’originale sviluppo economico che tra Cinquecento, Sei e Settecento coinvolge tutto il Medio Lago intorno alla lavorazione laniera che si basa sulla produzione dei panni-lana e sulla follatura dei feltri.

A FRONTE DEL DEFINIRSI DI UNA ARMATURA SETTE E OTTOCENTESCA

Nell’Ottocento sarà un giovin poeta a tracciare, in modo estremamente pregnante, i segni di un cambiamento urbanistico. Particolarmente interessante è la ricostruzione dei paesaggi urbani di questo territorio che egli ne compie.
Tutti gli elementi canonici: il perimetro murato, le vie porticate, le piazze simmetriche unitariamente costruite da un potere che vuole adulare la propria endogamia e quella dei suoi cittadini e che, quasi sempre, contraddistinguono un centro urbano, sono esplicitamente dichiarati mancanti.
Eppure questo spazio risulta dotato di un decoro, di un linguaggio architettonico, di una monumentalità aperta alla strada ed al lago che lo connotano a pieno titolo come portatore di un paesaggio fondante una riconoscibile urbanità.

Vedi orizzonte puro e quante d’acque
Invidiate fonti: osserva il tempio
Com’erge eccelsa e maestosa al cielo
La fronte: là non trovi tu dovizia
Di classici dipinti, ma un ornato
Uniforme e devoto, e in vaghi arredi,
Di che Religion ne’ suoi misteri
S’adorna e abbella ognor, tesauro ingente.

Quell’ “Osserva il tempio / come erge eccelsa e maestosa al cielo / la fronte”, ci fa riconoscere appieno il senso foraneo, vicariale, che è stato rielaborato con gli stilemi e i volumi di un barocco lombardo, non scenografie magniloquenti, ma lavori di attente modanature in cui si riconosce quel modo di coniugar il trattato rinascimentale dell’architettura al barocco, così come ce lo propose il Caniana (quello stesso architetto seriano che un qualche legame per provenienza e per esser stato il progettista della fiera di Bergamo doveva averlo avuto con i nostri merchant-adventurers tessili locali).
Vi si riconosce la maniera dei decoratori emiliani, la severa monocromia del segno del Monti, pittori tutti già attivi, ed ancora una volta, non a caso, nel Duomo di Bergamo, pittore quest’ultimo, il Monti, che anticipa una prossima neoclassicità.
Dietro tanta professionalità e artigianale sapienza proveniente da diverse province artistiche (Bergamo, Bologna, Verona), sta la storia di un paese che stava profondamente cambiando.
La grande parrocchia che tutto domina, la sua pianta centrale rifatta quasi a ricalco sull’impianto del Duomo Nuovo di Brescia e per altro parente ad altro duomo nuovo limitrofo , quello di Bergamo, come altre ne avremmo un tempo trovate con il loro skyline a dominar la pianura, un po’ fredde e magniloquenti nel ricercare quel grande modello, è così fondamentalmente diversa negli esiti e non solo per il fatto che alla sua definizione han partecipato artisti di grande talento e rilievo, ma piuttosto perché vi si trova una sapienza artigianale maggiormente diffusa, una sapienza di valle, una sapienza di frontiera costruita in un intreccio certamente importante, quel barocco così sapiente nell’abbandonar le modanature, gli stucchi, il rilievo per donarsi a superfici piane movimentate, richiamo rinascimentale e già anticipazione di neoclassico dai giochi di un ornato assai contenuto.
Così è che sono i tamburi a dominare e si percepisce come quell’immagine, allora come ora, si riverberasse lungo le direttrici che da essa si irradiano verso l’anfiteatro della conca salese.
Tamburi che appaiono come un insieme di presenze geologiche, prodotto di lavori parenti a quelli che han dato vita alla morena e capaci di star prima delle espressioni di una ingentilita scienza del bello, quasi masse erratiche fissate sopra lo spazio domesticato del lago, cosicché questo insieme di cilindri e tamburi emerge da un inscatolato di pietra posto sopra uno zoccolo di terra.
Così, per una lunghissima età, quella chiesa-sagrato aveva continuato a dare certezze e, assecondando il localismo controriformistico di quella lunga onda barocca lombarda, aveva contribuito a dare nuovo decoro al domestico vivere di un popolo.
E tutto ciò diverrà riconoscibil paesaggio urbano del lago.
E questa immagine si affermerà come un paradigma di paesaggio ancor più che di monumento del lago.