Un esproprio proletario ante-litteram

Roberto Predali

Una testimonianza che si riferisce a una lite tra il comune di Marone e gli Hirma documenta che Antonio q. Giovanni è stato assassinato da Lelio Hirma il giorno sabato 18 aprile 1583.
Vale la pena di ricostruire l’intera vicenda.
Gli Hirma, nel XVI secolo, abitano nella casa di contrada di Bagnadore: Francesco, Giacomo, Ludovico e Lelio fu Bernardino Hirma, «cittadini et habitante in Bressa» costituivano una ricca famiglia di mercanti-imprenditori siderurgici; sono citati nel Catastico di Giovanni da Lezze - che li chiama Ermi -, con gli Almici e i Maturis, tra i nobili bresciani abitanti a Marone e nominati nelle Casate Bressane di Pandolfo Nassino.
Nel gennaio e nell’ottobre del 1581 il Podestà di Brescia aveva concesso agli Hirma alcuni privilegi sulle rive del torrente, confermati da un terzo concordato del 17 gennaio 1582. Essi potevano usare l’acqua del torrente Bagnadore per irrigare i loro campi e piantumare a piacimento sugli argini fino a due braccia fuori dal muro di confine ma, nello stesso tempo, dovevano tenere pulito l’alveo del torrente di modo che le acque scorressero libere e non invadessero i terreni posti a sud di proprietà di diversi contadini.
Gli Hirma avevano abusato di queste prerogative, scatenando la violenta reazione popolare, come risulta da uno degli atti del processo.

[…] Zo. Jacomo Guerino consule, Zo. Maria di Gitti e Jacomo di Guerini sindici habitanti in Marone accompagnati da altri al n° di cinquanta in c.a contra quali si riserva ragione di proceder quanto che appare alla giustizia.
Che in ter[mine] de giorni otto prossimi venturi che haviano a venire personal[mente] avanti al sudetto ecc.mo sig. Potta, et suo honor.mo giudice overo nelle pregioni de Bressa si costituiscano, a star, e obedir alli loro mandati, et a deffenderse, et escusarsi dalla querela contro loro instituita per D. Jacomo, et D. Lelio fratelli de Irmi cittadini et habitanti in Bressa.
Sopra dicco che essi inquisiti di compagnia anc[ora] di Ant.o di Ghitti [q. Lorenzo, ndr] hora nelle prigioni nostre ducento homini seduttori, et turbatori della quiete altrui fatto trattato, et deliberazione tra loro di cometter l’infrascritto spolio violento la sera di 23 novembre prossimo passato sedutta e coadunata gran moltitudine di gente al n° come di sopra armati parte de archibusij parte d’arme hastate et parte d’altra sorte di instrumenti da tagliar andaron la istessa notte nella contrada del vaso del Bagnadore terra di Marone, et contra di noi man.ti dil m.co s. Vic.o uno del 19 zenar l’altro di 30 ottobrio dell’anno 1581 tutti li arbori esistenti sopra le rive di esso vaso al n° 224, ragione di essi Irmi, tra quali vi erano mori, olivi, et altre sorti de arbori suvisero à grandissimo danno d’essi fratelli et non contenti di questo non ostante che il mag.co s.r giudice dil Mattio fusse gia conciliata et formasse processo per ditta sospensione il giorno 4 del istanti accompagnati con armati come di sopra con carri, et brozzi andarono al loco del delitto per loro gia comisso, et tutti li ditti arbori ut supra tagliati condussero via perventendoli in proprio uso in grandissimo vilipendio et disprezo della giustizia et dil magistrato pre.fato ecc.mo sig.r Podestà.
Committendo le predette cose scientatamente pensatamente, et tractatamente a grandissimo scandalo de tutta la terra di Marone, et luoghi circonvicini, et contra le leggi dell’Ill.ma sig.ria vostra in simil materia disponesti aliter. In quer.m fidem. Brescia di 29 X.bris 1583.

Il 13 luglio dello stesso 1583 era stata emessa la sentenza contro Lelio Hirma, del giudice Ottaviano Valerio Potta che ha seguito tutta la causa, che lo condanna all’esilio («per perpetuo sit bannitus […] terris et locis terestribus et maritimis Ser.ma Dominagionis») per «homicidio cum scloppo [di Antonio de Gittis e Pietro de Cassis, ndr] […] comisso insidiose».
Nel 1584 la lite - forse in conseguenza della sentenza per omicidio - si riduce al solo uso dell’acqua: il Comune sostiene che gli Hirma vogliano «impadronirsi dell’acqua del fiume Bagnador», mentre questi ritengono sia loro diritto consuetudinario l’uso dell’acqua per l’irrigazione delle terre di Bagnadore («che noi pretendiamo altro che l’anticha irrigazione delli nostri giardini»).