Daniela Omodei: Contributo alla catalogazione delle pergamene del Sebino: le pergamene dell’archivio parrocchiale di Marone. Tesi di laurea anno accademico 1997 – 1998.

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Contributo alla catalogazione delle pergamene del Sebino_Le pergamene dell'archivio parrocchiale di Marone

Daniela Omodei: Contributo alla catalogazione delle pergamene del Sebino: le pergamene dell’archivio parrocchiale di Marone. Tesi di laurea anno accademico 1997 – 1998.

La trascrizione e l’analisi delle 11 pergamene cinquecentesche (atti notarili) conservate presso l’archivio parrocchiale di Marone.

«Documenti risalenti alla prima metà del XVI secolo o di poco posteriori (il più antico è del 1529; il più tardo del 1563), ci offrono un’immagine diversa, meno statica ed anche economicamente più viva di questa piccola comunità sebina che non quella fornitaci dal da Lezze, nel suo vivere quotidiano segnata da rapporti societari e da traffici, da alleanze famigliari e strategie economiche di conservazione o incremento dei beni.
Si tratta di undici pergamene ancora conservate presso l’Archivio parrocchiale di Marone. Dal loro spoglio possiamo ricavare non pochi cognomi di famiglie maronesi di lunga persistenza storica, che appaiono tutt’altro che diseredate e prive di importanza economica, e che quindi allargano (e di molto) lo striminzito elenco delle famiglie notabili fornitoci poi dal da Lezze.
Accompagnano la designazione famigliare - in latino notarile del ‘500 - le forme volgari di ciascun cognome (secondo l’accertamento condotto sull’Estimo comunale del 15731), i nomi propri ricorrenti più di una volta e la segnatura della pergamena in cui si sono rilevati cognomi e nomi.
Il valore rilevante delle undici pergamene private dell’Archivio parrocchiale consiste nel restituirci, almeno in parte, quello che possiamo individuare come l’insieme dei gruppi famigliari maronesi degli “antichi originari”, che disponevano con una certa larghezza di case, terre e denaro ricavato da vendite, permute, censi, livelli e fitti dei loro immobili, ma che avevano anche direttamente a che fare con la gestione dei beni comuni, caratterizzati dall’indivisibilità propria dei possessi viciniali, come meglio emergerà dalla documentazione del XVIII secolo, inerente, cioè, un periodo in cui le prerogative degli “originari” subiranno l’assedio dei “nuovi originari” e il riordino normativo dello Stato veneto.
Il ricorso al notaio da parte di queste famiglie avviene per cessioni di terre e case a terzi, per eredità e transazioni all’interno del nucleo famigliare “originario” (o, comunque, paterno), per attestazioni di solvenza avvenuta su censi e livelli o relative a dichiarazioni dotali attinenti giovani donne andate spose.
Va da sé che la possibilità che quanto emerge da questo limitato numero di documenti possa avere valore generale è molto modesta: anche qui vale, infatti, l’avvertenza di Marc Bloch, che saggiamente affermava che “i contadini non coltivano pergamene”. Tuttavia, questo valore potrebbe crescere di peso specifico, se poniamo mente al fatto che le nostre undici pergamene mettono in luce alcuni fondamentali rapporti sociali ed economici tra soggetti appartenenti a ceti rurali possidenti, dunque non di contadini nullatenenti o espropriati. Il ricorso al notaio, in quei secoli lontani, è di per sé un indizio di appartenenza censitaria socialmente distintiva verso l’alto.
Siamo così messi di fronte a soggetti che non si accontentano di fruire di beni, ma li mettono in circolazione, fanno affari; siamo in presenza di contraenti economici già pienamente consapevoli del valore mercantile dei beni di cui dispongono.
Un’analisi dettagliata della fattispecie economica di questi atti notarili dà, infatti, i seguenti risultati:
1. atti di compravendita di pezze di terra: perg. 1, 6, 8;
2. atti di affrancamento da livelli e contratti agrari: perg. 2, 5, 7;
3. cessione di beni per eredità: perg. 3;
4. dichiarazioni e cessioni dotali: perg. 4, 9, 11;
5. disposizioni testamentarie: perg. 10».