La toponomastica maronese – lettera P

Roberto Predali


Padre Eterno, santella del
Questa edicola - posta alla metà di via Caraglio - è stata costruita, probabilmente, all’inizio del 1800 in memoria di due contadini morti in seguito alla caduta dagli olivi che crescevano altissimi nei campi della zona. La gente che passava davanti a questa santella si fermava a recitare una preghiera. Vi si passava anche nelle processioni delle Rogasiù (Rogazioni).
Rappresenta la Natività. Sul soffitto vi è la colomba, simbolo dello Spirito Santo. In alto un vecchio con la barba bianca rappresenta il Padre Eterno. È stata restaurata, per la prima volta, circa 60 anni fa da don Cuter. La gente si lamentò, perché l’èra saltàt fo on pastés (non era venuta bene). È stata, di recente, completamente ridipinta da Michele Comini. 

Paghéra del Dòs Gargià, bosco
È il bosco, mappale 1076, sul versante Ovest del Dòs Gargià.
§~ In dialetto bresciano, Paghéra = bosco di abeti, Paghér.

Pagnone, il, terreno
Nel 1641 è un campo a Pregasso, a Est del colle San Pietro: «Una pezza di terra aradora, vidata, et guastiva in detta contrada [di Pregasso], chiamata il Pagnone, confina à mattina, et mezodi strada, à sera il Corno di santo Pietro […] di tavole vinti quattro». Il toponimo non appare in altri documenti.
§~ In latino medievale, Pagnus = pezzo di legno.
Pagnone = pannello [Sella, 1944].

Palastrone, Palastrù, contrada di
Campi e casa a Nord-Est di Marone, dopo Gariolo, sul confine con il comune di Zone. Oggi sono i mappali 1287, 1291, 1080, 1499a, 748, 1079, 1497a, 1538, 1697, 1149, 1502 1688 e 1689 (prato e bosco ceduo); i fabbricati sono i mappali 748 (abitazione) e 4847 (stalla).
La casa non compare nelle mappe storiche.
Nel 1573 Bartolomeo Bon[tempi] possiede «Una [pezza di terra] arad:a, mont:a cont:a di Bel Palistro […] tav:e sedesi». Nel 1641 - il toponimo si ripete due volte - il terreno è proprietà di Giacomo fu Giovanni Bontempi, «Una pezza di terra aradora, vidata, et parte lamiva in contrada di Palastrone […] di tavole dieci sette»; un altro appezzamento arativo e vitato nella medesima contrada è proprietà Gigola. Nel 1785 il toponimo è citato 4 volte come Palestrone e Palastroni, 3 come contrada e uno come terreno coltivato a orto.
§~ In latino medievale, Palitium, Palada = contextus ac series palorum = palizzata [Du Cange].
In latino medievale anche, Palastra = travicello [Sella, 1944].

Palazzi, contrada di
Antonio Ghitti, nel 1573 alla partita 98, possiede una casa con «horto cont:a de Palazzi […] est:a lire ducento vinti»; l’orto è, però, dato in altra contrada, «Una pezza di terra hortiva cont:a della Giesia […]».
§~ È l’errata trascrizione di contrada della Piazza (vedi), anche se, come riferisce il Da Lezze nel 1609, a Marone vi era «un forno del Pre Palazzo di Pallazzi, dove anco altri vi hanno parte», ovvero, una parte del forno fusorio era proprietà del nobile bresciano Pallazzo dei Pallazi (che fu esiliato da Brescia e i suoi beni confiscati per i crimini commessi).
Il Registro Veneto dei nobili estimati nel Territorio bresciano tra il 1426 e il 1498 [trascrizione di Monti della Corte] registra le seguenti famiglie nobiliari maronesi:
(Foglio 4) «In MARONE
Nobiles habitantes ut supra ante tempus adepti Dominii ut supra.
(in bianco)
In MARONE
Nobiles habitantes ut supra in tempore adepti dominii ut supra.
Hieronimus et Andres q. Antonii de Marono
Bernardus Antonii de Marono
Benvenutus q. Antonii (de Marono ?)
Heredes q. Antonii de Marinis de Claris
Firmus q. Antonii de Marono
Franciscus q. Nicolini de Cresinis de Panatis
M. Ioames Petrus fisicus; et heredes Bernardi; et heredes Iacobi del Mazo [Maggi?] de Faustinis de Ripa».
Nel 1609 il Da Lezze indica le seguenti famiglie nobili abitanti a Marone:
«Nobili Bressani. Li ss.ri A[l]mici. Li ss.ri Ermi [Hirma]. Li ss.ri Maturi [Maturis]».

Palós, bosco
Bosco - mappale 5382 con una superficie di circa 4 ettari compresa la Piasöla de Palós (vedi) - a Sud-Est di Mazzain e Mazai e a nord dell’Òpol.
§~ In latino medievale, Palora, ium = «Li ornamenti de bo e cavali» = finimenti; Palus = manico della vanga, vanga e palo che sostiene la siepe o la vigna [Du Cange].

Panei, contrada di
Panei o di Bastiano, contrada di
Panei o di Polmagno, contrada di
Variante di Polmagno, località tra Marone e Ponzano, delimitata dalla via Polmagno, da via dei Mulini e da Ponzano. La contrada è detta anche del Pano o dei Pani e di Bastiano.
Era una delle aree ad alta concentrazione di ruote di mulino, che muovevano sia macine sia macchine tessili e gualchiere.
§~ In dialetto bresciano Pan = panno; Panèi sembrerebbe il diminutivo.

Pangaro, contrada di
Il toponimo si trova solo nel 1573, tra le proprietà del Comune di Marone: «Un’altra [pezza di terra] vidata con una stalla, et casello dentro cont:a de Pangaro confina […] à sera la strada pio settanta uno».
Dall’estensione (oltre 23 ettari) è, senza dubbio, una località a Est della Madonna della Rota.
§~ In latino medievale, Panga = Vanga, pala cum ferro = vanga [Du Cange].
È possibile anche la derivazione dal latino medievale Panicun = miglio, attraverso il derivato Panicarius = relativo al miglio.

Paröi, i, bosco
Il bosco - sul confine con il comune di Zone e a Ovest della cascina Gasso - occupa interamente il mappale 1262 con un’area di circa 23 ettari.
§~ In latino medievale, Parolum = recipiente di bronzo o di legno per l’acqua, [Du Cange]; in dialetto bresciano Paröl = pentola.

Parrocchiale, chiesa
L’antica parrocchiale (oggi scomparsa)
Dedicata a san Martino.
Carlo Borromeo nella visita pastorale del 1580, quando Marone contava 786 anime, aveva trovato la parrocchiale come «così piccola da non poter contenere tutto il popolo» e, con un decreto del 1581, ordinava la costruzione di una nuova e più grande.
Il dipinto dell’Amigoni, la Madonna col Bambino e i santi Rocco e Sebastiano del 1643, la mostra orientata nord-sud, collocata sull’attuale sacrato e separata dal lago dal cimitero solo in parte cintato da muro e, dopo il 1862, chiuso da cancelli. La chiesa è ad aula unica con tetto a capanna che nel 1567 non è ancora del tutto completato, così come manca il confessionale e il battistero in pietra (tutte opere che, con altre, saranno concluse solo dopo la visita del Borromeo). Fino al
1580 non ha il portale di accesso ma solo due entrate laterali: uno dei decreti del Borromeo recita, infatti, «gli uomini della comunità curino di acquistare quella casetta di fronte alla parete della chiesa e allungare la chiesa che ora non è in grado di contenere il numero dei fedeli. Poi si costruisca anche il portale in fronte».
La chiesa ha tre altari, l’altare Maggiore, quello della Scuola del SS. Sacramento (dedicato anche a san Bernardino da Siena) e quello del Rosario. Reggenti degli altari, sempre nel 1677, sono rispettivamente il parroco Ludovico Guerini, don Giovanni Maria Almici - che celebra cinque messe la settimana - e Marco Antonio Guerini che «la ha l’obbligo di messe quattro».
La parrocchiale attuale
Dedicata a san Martino e a Maria Assunta.
Il 27 giugno 1698 la comunità di Marone decide l’acquisto in contrada del Porto di San Martino dell’abitazione limitrofa da abbattere per costruirvi per ottemperare ai decreti Borromeo o per edificarne una nuova. Qualche anno più tardi sembrò che l’idea di una nuova fabbrica fosse abbandonata, tanto che il 20 marzo 1706 fu chiesta l’autorizzazione di restaurare e di ampliare la vecchia chiesa di San Martino, autorizzazione che era concessa con Ducale dell’11 luglio dal Doge di Venezia, Alvise Mocenigo. Presso l’Archivio di Stato di Brescia è depositata la domanda di riedificazione della parrocchiale, che è, da Valentino Volta solo parzialmente trascritta:
«Serenissimo Principe - 1698, 22 agosto - La chiesa intitolata San Martino che [...] serve per parrocchiale nella terra di Marone distretto di Brescia ritrovandosi incapace per quel popolo e di struttura informe da giusto motivo a quei pietosi sudditi di far humulissimo ricorso a piedi di Vostra Serenità supplicando, che gli venga permessa la facoltà di reddifìcarla, con occupar un poco di sito alla medesimo continguo [...]».
Si ritornò, invece, all’idea della nuova chiesa, quando fu acquistato, nel 1708, un orto di proprietà di Lorenzo Ghitti, figlio di Antonio e cugino di Bartolomeo.
Al perito Bernardino Fedrighini di Predore fu affidata la perizia e, forse, il progetto stesso della chiesa, che era completata nella struttura nel 1717, come suggerisce la data trovata su un pilastro del sottotetto.
La nuova chiesa è sostanzialmente rifinita nel 1723, poiché il 2 giugno dello stesso anno il Doge decretava che nella chiesa parrocchiale «nuovamente eretta nessuno dovesse impadronirsi de’ banchi particolari»32.
Il 24 giugno 1754 la chiesa era consacrata da monsignor Alessandro Fé su incarico del vescovo cardinale Querini.
L’apparato barocco dell’altar maggiore è opera di Gaudenzio Bombastoni di Rezzato. Il medaglione del palliotto, rappresentante, in marmo di Carrara, il sacrificio di Isacco, è opera di Giovanni Battista Callegari, della terza generazione, figlio di Alessandro, a sua volta figlio di Santo il Vecchio (opera firmata e datata 1742).
I lavori di decorazione della chiesa iniziarono nel 1740 «ma di questo primo ciclo di operazioni pittoriche rimane ben poco se non i bei medaglioni centrali della volta e quello del catino»: gli affreschi sono di Domenico Voltolini, pittore originario di Iseo e attivissimo nelle vicine Valtrompia e Valsabbia. Lo stesso Voltolini dipinge la pala dell’altare di Sant’Antonio e al suo ambito potrebbe essere ascritta quella dell’altare delle Reliquie. I medaglioni dell’altare del Rosario sono di Sante Cattaneo. Fino ai lavori di risistemazione degli altari laterali del 1941 la pala dell’altare del Rosario era la Madonna col Bambino di Pompeo Ghitti e quella del Santissimo Sacramento era il Cristo risorto con angeli che reggono i simboli della passione di Pietro Maria Bagnatore.
L’apparato contenente le reliquie (il «repositorio») dell’omonimo altare è opera di Giuseppe Tempini di Peschiera.
La pala dell’altare maggiore, La vergine in gloria con i santi Martino, Antonio Abate, Pantaleone e Carlo Borromeo, di Giuseppe Tortelli, è posta in opera entro stucchi dorati realizzati da Giovanni Battista Locatelli tra gli anni 1800 e il 1802.
§~ La dedicazione a san Martino di Tours - santo guerriero e monaco - può far pensare - come per la dedicazione della chiesa di Pregasso ai santi Pietro e Paolo - a un’antica influenza monastica; infatti, nel 1091 a vicina isola di San Paolo fu donata al monastero cluniacense di San Paolo d’Argon, in val Cavallina, che vi istituì un priorato.

Passarle, contrada
Nel 1573 la località Passarli, a Pregasso, è citata 2 volte: «Un’altra [pezza di terra] arad:a, vidata, olivata, limetiva, montiva, guastiva cont:a de Passarli […] tavole cinquanta duoi»; nel 1641 è nominata più volte anche come Passargli, Paserli, Passerle; nel 1785 un terreno posto in contrada Sotto Gambalone è detto Passarli. Oggi il toponimo è riferito a un terreno a Est di Pregasso, sotto la località Costa.
§~ [?] In latino medievale, Pazagium, Passata = præstationis species = tipo di garanzia o di pagamento, [Du Cange].

Pastüra, la, bosco
Area a bosco posta tra la cascina Balestra e il torrente dell’Acqua Santa, è la parte Est del mappale 1296.
§~ In latino medievale, Pastura = ogni luogo in cui pascola il bestiame, [Du Cange].
In dialetto bresciano, Pastüra = «luogo in cui si pone l’esca pegli uccelli […] e i pesci» [Melchiori], luogo in cui si va a uccellare (appostamento per la cattura di uccellini, preparato mediante la sistemazione di reti, panie, richiami, ecc., [Devoto-Oli].

Pavone, contrada
Una stessa località è spesso indicata con toponimi diversi, poiché ogni proprietà, pur collocata in una determinata contrada, aveva uno o più nomi: per es. un terreno detto «in contrada di» Pavone o Scadicle era, contemporaneamente in un altro documento, collocato in contrada di Termini.
Il 5 febbraio 1714, «a fine di sgravarsi da debiti», Giovanni Battista Bontempi fu Giacomo vende agli eredi di Antonio Ghitti dei Bagnadore una pezza di terra arativa, vitata, olivata e lumitiva in contrada di Pavone «cioè delli Termini» di 23 tavole, 8 piedi e 10 once al prezzo di 12 lire e 16 soldi la tavola.
Un appezzamento detto Paone o Pavone è anche nella contrada Sopra Calpiano.
§~ In dialetto bresciano, Paviù = padiglione [?]; Paù = pavone [?].
Come Pavone Mella e Pavone Canavese il toponimo potrebbe derivare da un antico proprietario, Pavo o Papo.

Pedagn, el, bosco
Bosco nei mappali 1707 (parte Nord della Paghéra del Dòs Gargià) e 1349, a 100 m Ovest di Croce di Marone.
§~ In latino medievale, Pedagnus = dialetto bresciano, Pedagn = passatoia «pietra o legno che serve a passare fossati o rigagnoli», [Du Cange, Melchiori].

Pedepla, contrada
Nel 1573 la località Pedepla è a Pregasso, tra le proprietà di Giacomo Cristini: «Un’altra [pezza di terra] aradora, vidata, guastiva limitiva cont:a Pedepla […] tavole cinquanta cinque»; nel 1641 è sempre proprietà Cristini: «Una pezza di terra aradora, vidata in contrada di Pregazzo, chiamata la Pedepla […] di tavole novanta».
§~ [?] In latino medievale, Pedeplanum = in un edificio, il pavimento; in senso figurato = senza difficoltà; forse per terreno pianeggiante, [Du Cange].

Pelateria
È il mappale 309 (abitazione, piazzale e magazzino-garage)
«Nei primi decenni del XX secolo, il Consorzio della Festola e dell’Ariolo aprì le porte a nuove realtà economiche che si sviluppavano nel territorio del paese. Correva l’anno 1925 quando la Società Dolomite chiedeva alla Direzione Generale delle acque e degli impianti elettrici di poter arretrare di 50 metri la cascata naturale del torrente Bagnadore, mediante scavo di una galleria per poter meglio sfruttare la cava di dolomite, di cui deteneva già allora il possesso.
Il permesso fu accordato, ma la Dolomite dovette impegnarsi a fare in modo che nessun danno fosse recato alla derivazione del torrente a valle, infatti le ditte che dalla parte bassa del Bagnadore utilizzavano l’acqua, cioè la ditta Fratelli Cristini (fu Rocco) e Fratelli Cristini (fu Andrea), insieme a Zanotti Angela avevano presentato opposizione al progetto della Dolomite.
In località Gelù, infatti, si trovava la presa di acqua del canale Bagnadore Basso, il cui compito era quello di arricchire l’acqua dei due canali di cui abbiamo scritto. A Piazze le acque dei canali si riunivano nei lavatoi pubblici e poi proseguivano insieme fino al lago.
L’acqua del Bagnadore basso veniva, quindi, per la maggior parte utilizzata dai lanifici Cristini e dalla macina per le olive, posta poco distante dagli stabilimenti e sicuramente dalla conceria» [G. Felappi].
«Agli inizi del ‘900, come in diversi paesi del nostro territorio, fu fondata la prima Banda cittadina maronese. Negli anni la Banda cambiò sede diverse volte, prima fu utilizzata l’ex-officina Galli (che si trovava sul lungolago) dove i suonatori si mettevano nello spazio libero dalle macchine; poi si spostò negli stabili dell’ex-conceria di Piazze, in questo caso i musicanti suonavano tra i profumi delle pelli bovine da conciare, e infine negli scantinati dell’ex-municipio di piazza Vittorio Emanuele».
§~ In dialetto bresciano, Pèl = pelle; Pelà = scuoiare, spellare, spennare; nei vocabolari del dialetto il termine Pelateria non è presente; il conciatore, in dialetto, era detto Confetùr e la conceria Confetüra, da cui, a Brescia, Rua Confettora; in latino medievale Pelare, Pilare = togliere la buccia [Du Cange].
Pelateria = conceria, dal dialettare Pelà = scuoiare, spellare, spennare.

Pèndule, località
Località boschiva - con dirupi e pietraie - all’estremità Est del territorio di Marone, al confine con il comune di Marcheno, grosso modo corrispondente al mappale 1641. Con molta probabilità anticamente dette le Coste de Marchè (Coste di Marchion, vedi).
In Pèndule vi è anche un capanno da caccia di proprietà comunale.
§~ In latino Pendens è il participio presente del verbo Pendeo = pendere.
In latino medievale Pendens = pendio, altura, collina, poggio [Du Cange].
In dialetto bresciano, Pèndol = indica luoghi in pendenza dove vi sono massi o rocce pendenti o pericolanti.
In dialetto bresciano, Pèndol = Vimine, Salix viminalis.

Pergarone, cascina
Casa a Est di Marone e della Madonna della Rota, primo fabbricato sulla via comunale dell’Acqua Santa. È il mappale 1700.
Il toponimo compare nel 1573 - nella variante Pangaro, con la cascina (vedi Pergarone, contrada) - nel 1641 - solo relativo a terreno - ma non nel 1785.
La cascina è nelle mappe del 1808 in poi.
§~ In latino medievale, Perga, Peja = trappola; Pergea = risarcimento che il contadino deve se i suoi animali fanno danno in un terreno altrui, [Du Cange]: Pergarone ne sarebbe l’accrescitivo?
Gnaga lo indica come accrescitivo del dialettale della Val Gandino Perga = pertica [bergamasca], misura agraria = 662,31 mq.

Pergarone, contrada
È la località limitrofa all’omonima cascina, a Est di Marone e della Madonna della Rota.
Nel 1573 il Comune di Marone possiede «Un’altra [pezza di terra] vidata con una stalla, et casello dentro cont:a de Pangaro […] di pio settanta uno». Lo stesso appezzamento è descritto nel 1641 come «una pezza di terra montiva, boschiva, guastiva, et corniva, chiamata Pergaro […] di pio settant’uno». Sempre nel 1641, Cristoforo Cafello è proprietario di una pezza di terra «corniva, montiva, prattiva, guastiva in contrada di Pergaro, chiamata li Nei». Il toponimo non compare nel documento del 1785.

Pergolino, Cap dela pèrgola, terreno
Campo della cascina Carai a prato stabile, con una pergola di vite, da cui il nome.
§~ In latino Pergula, -ae = pergola, impalcatura di sostegno per piante rampicanti e viti, con intelaiatura di legno o di ferro a forma di volta o tettoia, impiegata nei vivai o per adornare e ombreggiare giardini o terrazze.

Perli, contrada di
Nel 1573 - unica citazione - i fratelli Fortunato e Scipione Zatti sono proprietari di una «casa con horto in contrada de Perli, à diman ingresso, à monte strada. Estimata lire quattro cento»; gli stessi fratelli dichiarano anche di possedere «una pezza di terra arad:a, vidata, cont:a de Piaza contigua alla sopras:ta casa, […] à sera Gio: Antonio Zino tavole ottanta». Antonio Zeni ha un appezzamento vitato in contrada di Piazze che confina con gli Zatti.
Il valore catastale dell’abitazione degli Zatti è notevole: il cortivo indicato nel 1573 è l’attuale casa Berardi - mappale 108.
§~ Contrada di Perli è variante di Piazze o di contrada della Razzica, dove è situata la casa descritta nel 1573. Pirlì è un soprannome.

Pertenégola, la, bosco
Bosco del mappale 1660, a Ovest del Bósc de Daque e a Nord dei Guì.
§~ In latino medievale, Pertenementum = fondo, podere, eredità, feudo, [Du Cange].
In dialetto bresciano, Pèrtega = lungo bastone ma anche misura agraria usata nella Bassa bresciana (a Marone si usava il Piò = 3333 m2).

Pesaroli, contrada di
Il toponimo, la località è a Pregasso, è negli estimi del 1573, 1641 e del 1785, anche nelle varianti Pesaroi e Pesarol.
§~ In latino medievale, Pesarolus = stadera, tipo di bilancia (in dialetto bresciano Pésa) ma anche uno degli elementi del torchio [Du Cange].
In dialetto bresciano, Pesà = rattoppare, Pesaroi = poveracci [?].

Pià ’la Grota o dela Rota, bosco
Il Pià ’la Grota o dela Rota, con le Fase, (mappali 1210, 1631 e 1630) è la parte centrale del bosco anticamente chiamato Rocca - che comprendeva anche i Cép a Ovest e l’Orto a Est - sulla sinistra idrografica dell’Òpol, di fronte alla Madonna della Rota. È probabile, perciò, che il nome più antico sia Pià ’la Ròca.
§~ In dialetto bresciano, Pià = pianoro, dal latino Planus = piano, piatto, pianeggiante, facile, agevole.
In dialetto bresciano, Gròta = terreno franato (la Gròta è la frana a cucchiaio, proprio come fosse stata data una cucchiaiata nel terreno).

Pià dela Ernasca, el, Pianoro della Vernasca, prato
È chiamato Pià dela Ernasca il prato che circonda la cascina omonima (corrispondente, circa, ai mappali 1333, 1705 e 4596).
§~ Vedi Vernasca.

Pià de Stala de Ria, prato
Prati a Sud della cascina Riva - mappali 1590, 1591 e 5493 - posti tra la chiesetta di Sant’Antonio e la Strada comunale di Sèsser.

Piane, le, cascina
Casa a Est di Marone, a 675 m. s.l.m., sul fianco destro della valle dell’Òpol, a Est della località Guì - dopo la Madonna della Rota - e a Ovest di Daque, lungo la Strada comunale di Marù che si dirama, verso Sud, dalla Strada comunale del Monte che porta in Croce.
La cascina è già presente - proprietà di Bartolomeo Gigola - nel 1573: «Un’altra [pezza di terra] arad:a, montiva, prativa con una stalla dentro cont:a delle Piane […] pio uno tavole cinquanta».
Nel 1641 la cascina delle Piane è proprietà indivisa tra i cugini Cristoforo Cristini fu Santino e i fratelli fu Giacomo Cristini. Nel 1785 la proprietà della casa e dei terreni - descritti come «montivi e arativi» - è passata nelle mani dei mugnai Bonaventura e Paolo Guerini fu Giulio. La casa è descritta come «stalla, fenile, casine due una sotto, e l’altra sopra».
Nella mappa del 1808 la cascina Piane è il mappale 1221; Piane di sopra è il mappale 1230; il mappale 1234 (anche attuale) è detto cascina Vittorie. I mappali 1227 e 1228 sono pure edificati ma senza denominazione.
Nella mappa del 1842 la cascina Piane è il mappale 1627 (anche attuale) e il mappale 1628 (anche attuale) è detto cascina Piane di sopra; il mappale 1234 è detto cascina Vittorie.
Oggi l’area è, ancora, intensamente antropizzata: oltre alla cascina storica (mappale 1627) sono edificati i mappali 1226, 3140, 4335, 4336 e 4992.
Alle Piane vi è una sorgente dell’acquedotto comunale di Marone.
§~ In latino medievale, Planum = Ager cultus, cui opponitur nemus, silva, boscus = terreno coltivato cui si contrappone il bosco, il terreno non coltivato [Du Cange].
«Piane e Pianèi diconsi, in montagna, i campi in pendenza coltivati per solito a cereali», [Gnaga].

Piane, le, contrada
La località è a Est di Marone, tra Guì e Daque.
Nella partita 67 del 1573, Giacomo Gigola detto Binello possiede circa 1 piò di terreno a prato in contrada delle Piani. Nel 1641 il toponimo ricorre 4 volte e nel 1785 una sola volta.
Vi è una sorgente che alimenta l’acquedotto comunale.

Piano di Cafelli, contrada di Monte di Marone detta, terreno
Il toponimo è nell’estimo del 1785 con una ricorrenza descritta come una pezza di terra «arradora, vidata, lumettiva e guastiva in contrada di Monte di Marone, chiamata il Piano di Cafelli con stalla, e fenile, confina […] a monte strada»
In altri documenti il campo è detto anche Piana Cafelli.
Il campo, nella mappa del 1808 è il mappale 1012, su cui sorge la cascina Caffei/Tomasino; nel 1842 il terreno è il mappale 1012 e la cascina i mappali 358, 1630 e 1238. Nel catasto attuale la cascina è il mappale 358 e il campo, grosso modo, i mappali 4211 e 4619.
§~ Vedi Le Piane.
Cafelli, dal cognome; vedi Caffei.

Piano, contrada di Collepiano detta, terreno
Nel 1785 il toponimo compare una sola volta tra le proprietà delle sorelle Guerini di Leglia: è un campo arativo e vitato di 25 tavole che confina «a monte il Valzello [il rio Ariolo, ndr]».
Nella mappa del 1808 e nel catasto attuale il terreno con queste caratteristiche è il mappale 916.

Piano, contrada di Pregasso detta, terreno
Piano, contrada di Gambalone detta, terreno
Il toponimo, nel 1641 - descritto come una «pezza di terra aradora, vidata» divisa fra tre proprietari (2 Franzini e uno Zanotti), ha 3 ricorrenze e 2 nel 1785, quando è terreno indiviso tra Franzini e Zeni arativo e vitato a ciglioni nella descrizione Zeni e arativo, vitato e olivato con stalla e fienile in quella Franzini.
Nel 1785, il toponimo in contrada di Gambalone ricorre una sola volta. È lo stesso appezzamento arativo, vitato e a ciglioni di 1 piò con stalla e fienile della partite Franzini (da cui è stato acquistato).
Nella mappa del 1808 la cascina è il mappale 979, posto all’incrocio tra la Strada pubblica detta Gambalone e la Strada consorziale. Nella mappe austriaca e unitaria la cascina è denominata Gambalone, con il mappale 205. In tutte le mappe storiche il terreno è il mappale 877.
Nel catasto attuale il fabbricato ha ancora il mappale 205 e i terreni limitrofi sono frazionati e edificati.

Piasa dele Sòche, bosco
È la parte più a Sud del mappale 1577, a Est del monte Caprello, sul confine con il comune di Sale Marasino.
§~ In dialetto bresciano, Piasa = piazza, spiazzo e Sòche = ceppo che rimane, con le radici, dopo aver tagliato l’albero.

Piàse, le
Campo, parte del mappale 5380, sulla via acciottolata e a scalì che porta sul colle di San Pietro. È, oggi, una piazzuola erbosa in cui vi sono alcune edicole della Via Crucis.
§~ Vedi Piazze.

Piasöla de Palós, bosco
Bosco - mappale 4421, con una superficie di circa 2000 m2, limitrofo a Palós (vedi) - a Sud-Est di Mazzain e Mazai e a nord dell’Òpol.
§~ In dialetto bresciano, Piasöla = spiazzo. Vedi Palós.

Piazza, contrada della
Nel 1573 si trova: «Una casa con horto, et torcolo, cont:a della Piazza, à mezo di la piazza» e «Una casa con horto, et torcolo, cont:a della Piazza, à mezo di la piazza, à monte Moretto de Maro»: le due case sono dei fratelli Cassia e confinano con la casa di Giovanni Maria Maggi detto il Moretto. Questi ha l’abitazione (oggi case Guerini e Dusi) nell’attuale via Makallé. La contrada della Piazza è, perciò, il gruppo di case comprese tra via Makallé, il lungolago Marconi e la parrocchiale. In altri documenti la località è detta anche contrada di Caccia e contrada del porto di Caccia.
Nella mappa del 1842, la contrada di Bagnadore è denominata Piazza.
§~ In latino medievale, Platea = piazza, area libera, che si apre in un tessuto urbano all’incrocio di più vie, limitata da costruzioni; anche, Platea = Locus vacuus, ubi ædificium construi potest = luogo vuoto edificabile.

Piazze, contrada di
I Pestù, un clan della famiglia Ghitti, con partita - e tali sono dichiarati nell’estimo del 1785 - sono Giovanni q. Cristoforo (coniugato con due figli), suo nipote, Giuseppe q. Pietro q. Cristoforo (celibe), e i nipoti del primo e cugini del secondo, Pietro Antonio (unico sposato con due figli nel 1785: ne avrà poi altri 3), Salvatore e Battista, fratelli q. Bartolomeo e Pietro q. Pietro q. Pietro (celibe).
Tutti abitano in contrada di Piazze. La contrada - delimitata a nord dal canale della Sèstola, a ovest da quello del Bagnadore Basso, a sud ed est dalla via dei Mulini e dal Vaso Ariolo - è costituita, alla fine del ’700 - di 13 fabbricati, di cui tre a uso promiscuo abitazione/mulino (i mappali 131, 151, i cui mulini sono mossi dalle acque della Sèstola, rispettivamente dei Ghitti Pestù, dei Ghitti del Gotard e il mappale 163, proprietà di Bonaventura e Paolo Guerini q. Giulio, anch’esso mulino ma che utilizza l’acqua del vaso Ariolo; il limitrofo mappale 162 è abitato da Lorenzo q. Giacomo). Gli altri abitanti della contrada sono - a eccezione di Geronimo Cassia - tutti Ghitti delle famiglie Pestù e Cucù e Gotard: in questo gruppo di abitazioni - a forma di trapezio in cui il lato più corto è costituito dai due mulini e gli altri lati dalle abitazioni, con al centro le corti e gli orti - vivono, alla fine del 1700, almeno 25 parenti di 3 generazioni.
Giovanni vive con la moglie i figli, Giustina e Cristoforo, la moglie di questi, Maria, e i loro figli Giovanni Battista e Giovanna; i fratelli celibi Salvatore e Battista e il loro fratello Pietro Antonio con la moglie Francesca e due figli; le sorelle di Giuseppe, Domenica e Caterina (Giuseppe sposato con Maddalena è morto ma lascia, oltre alla moglie, i figli Caterina e Pietro); i fratelli Maddalena e Pietro q. Pietro.
Nella stessa contrada abitano i loro cugini Cucù-Gotard (4 nuclei famigliari): Antonio e Defendo del Cucù vivono in due porzioni distinte della stessa abitazione; Giovanni del Gotard abita con la moglie e i 4 figli; Giuseppe del Gotard vive con la moglie e un figlio (11 parenti e 3 generazioni).
Inoltre, anche Giuseppe Ignazio Ghitti q. Giovanni Battista di Ignazio (che ha sposato Apollonia dei Pestù) possiede una casa nella stessa contrada.
I cugini sono accumunati dalla contiguità delle abitazioni e dei mulini.
Come se ciò non fosse sufficiente a legare le varie famiglie, intervengono i matrimoni delle donne dei Pestù: oltre a Giuseppe Ignazio che ha sposato Apollonia, vi è anche Gottardo di Giovanni che ha sposato Caterina.
Si realizza, nei fatti, una struttura più articolata di quella individuabile nelle categorie di Lasslet (famiglia nucleare/complessa) fatta, oltre che di relazioni parentali, di affari e rapporti sociali in una porzione limitata di territorio.
La casa immediatamente limitrofa al mulino di Giovanni Pestù (in via 4 Novembre) reca, ancora oggi, frammenti di affreschi settecenteschi di discreta fattura che, a mio avviso, dimostrano da un lato che le famiglie residenti erano abbastanza benestanti e, dall’altro, che in queste si è manifestata - proprio in quel secolo - la necessità di marcare il territorio da un segno tangibile, concreto e qualificante della loro presenza.
§~ Forse in questo caso da Piazze = ampi spazi di terreno livellato.

Piazze, via
Il percorso della via - che attraversa l’omonima contrada - va dal passaggio a livello con cui termina via Trento all’innesto con via Monte di Marone e via Risorgimento.

Piazzolo del Staletto, contrada di Pregasso detto, terreno
Nel 1785 è un terreno boschivo di circa 130 mq. a Pregasso.
§~ Italianizzazione del dialetto nel significato di spiazzo della piccola stalla.

Pì Bèch, località
Spuntone roccioso nel mappale 1642 e nel bosco detto i Fónc'.
§~ In dialetto bresciano, = diminutivo di Giuseppe (a Pisogne, = bambino); Bèch = becco; maschio della capra; (di persona) cornuto.
A Zone vi sono quattro toponimi composti con una prima parte Pin-: Pin Padò, Pincugol, Pinsòcoi e Pintoi [Zatti].

Pisol, contrada di Pregasso detta, terreno
Nel 1573: «Una pezza di terra arad:a, vidata, olivata, cont:a del Pisol, […] tavole quaranta sette».
Nel 1641: «Un’altra pezza di terra aradora, vidata, in detta contrada [di Pregasso], chiamata il Pisol, […] di tavole cinquanta cinque».
Nel 1785, a Pregasso vi è un appezzamento detto Pisolo o Colla del Bastone.
§~ In dialetto bresciano, Pisól, Sbils, Sbilsarì = zampillo, polla d’acqua [Seminario]; indica che nella località, anticamente, vi era una sorgente d’acqua.

Pizzo, contrada del
Il toponimo è citato solo nel 1573: «Un’altra arad:a, olivata, cont:a del Pizzo, […] tavole vinti sette».
§~ Vi è una omonima località tra Pisogne e Ponte Barcotto. Etimo ignoto.

Pladà, bosco
La Pladà è il mappale 1348 e costituisce una parte del bosco posto tra la chiesetta di Sant’Antonio a Ovest e Croce di Marone a Est, delimitato a Nord dal confine con il comune di Zone e la via di Marciòn.
§~ In latino medievale, Prada = Pratorum series = vasta area pianeggiante a prato [la Prada di Cividate Camuno, per es.].
In latino medievale, Plat[t]a = lastra di pietra.

Pnisù, el, prato
Prato limitrofo alla cascina Casèl (mappale 5469) a Est della cascina Marù.
§~ [?] I campi sono a Est della località Marù: in dialetto bresciano, Pisù = piscione, in questo caso nel significato di intriso d’acqua, non necessariamente stagnante.

Poffa, contrada di Gazzo detta la, terreno
Nel 1641 è un piccolo prato in val di Gasso.
§~ In dialetto bresciano, Pófa = Fópa = buca.

Polmagno, Polmai, contrada
Località tra Marone e Ponzano, delimitata dalla via Polmagno, da via dei Mulini e da Ponzano. La contrada è detta anche del Pano o dei Panei e di Bastiano.
Era una delle aree ad alta concentrazione di ruote di mulino, che muovevano sia macine sia macchine tessili e gualchiere.
§~ Etimo oscuro.
Vedi, anche, contrada di Panei o di Bastiano e contrada di Sotto Ponzano.

Polsa, de la
Il toponimo si trova solo nel 1573 e, presumibilmente, è variante di Ponzano.
§~ In latino, Pausare = cessare, fermarsi.
In dialetto bresciano, Polsà = riposare.
In dialetto bresciano, Pólsa = sosta.

Ponta della Breda, contrada
Ponte della Breda, contrada
Ponte overo della Breda, contrada
Nel 1573 Matteo Guerini possiede «un’altra [pezza di terra] arad:a, olivata, cont:a del Ponte, overo della Breda, à m:te strada, à sera il lago tavole sessanta duoi». In altre parti del documento la contrada è detta Ponta della Breda e Pontone.
§~ Probabile variante di Cò de Éla - che si trova solo nei documenti cinquecenteschi - non nel significato di punta o vertice di un triangolo - la zona assume questa conformazione solo nel Novecento con la costruzione della ferrovia - ma nel senso di “campi nella parte terminale della contrada”, verso Sale Marasino.

Ponte, contrada di Pregasso detta, terreno
Nell’estimo del 1641, unica citazione di questo specifico toponimo, si legge: «Una pezza di terra guastiva, corniva in detta contrada [di Pregasso], chiamata il Ponte, confina à mattina, et mezodi strada […] et à monte la valle di tavole quaranta sette». È un terreno in Gambalone, probabilmente, nel 1808, il mappale 896 e oggi i mappali 4496 e 4496.
§~ Nelle immediate vicinanze vi è il «Ponte di pietra detto della Val Pintana [nel 1808, ndr]». Questo e il ponte della via dei Mulini sono gli unici ponti in pietra di Marone; i ponti sull’Òpol e i due sul Bagnadore sono edificati in muratura con la costruzione dell’austriaca Litoranea da Marone a Toline.

Ponzano, contrada di
Ponzano è la frazione di Marone delimitata a Nord dalla Sèstola e a Ovest e Sud da via Polmagno. Nei primi anni dell’Ottocento era abitata da una ventina di famiglie, in gran parte dedite alle attività molitoria e tessile - soprattutto Cristini, Ghitti, Gigola, Novali e Bontempi - e aveva una popolazione di 94 abitanti.
La presenza della Sèstola, copiosa sorgente d’acqua e fonte primaria dell’energia che alimentava le attività manifatturiere, costituisce la ragion d’essere, con l’attività molitoria e tessile lungo il suo percorso, degli agglomerati della stessa Marone e di Ponzano.
Scomparsi i segni delle antiche attività (rimangono gli scheletri delle novecentesche industrie laniere) e rivoluzionato l’assetto urbano originario con l’insediamento della Dolomite Franchi e della Feltri Marone, dell’antica struttura urbana permangono numerosi cortivi e alcune tracce dell’originaria e funzionale viabilità.
Negli estimi si ritrovano spesso i toponimi «Sopra Ponzano» e «Sotto Ponzano» con cui si indicano le zone che oggi sono via Montenero e via 4 Novembre; è spesso nominata la località Polmagno così come Coi, oggi scomparse, e Non: con il canale della Sèstola questi sono i confini, ben delineati, della frazione. Essa era collegata a Marone dalla strada comunale detta della Cavana (che corrisponde all’attuale strada provinciale per Zone), dalla via consorziale dei Mulini (oggi via 4 Novembre), parallela al percorso della Sèstola e da quella dei Polmagni, caratteristiche vie a scalì (gradini). È la frazione in cui, con la località Mulini di Zone - tra 1500 e 1800 - vi era la maggiore concentrazione di mulini e gualchiere, oltre a una fucina.
Alcune «case torri» rievocano non tanto un trascorso medievale - ravvisabile, però, nell’impianto lungo il percorso delle due vie principali - quanto le difficoltà costruttive in un terreno impervio; delle antiche attività molitorie rimangono, oggi, tracce dell’antico percorso della Sèstola (privo di acqua), la graffiatura di una ruota su una parete e alcuni fori nei muri in cui alloggiavano i perni delle ruote; decaduti i mulini e i folli sono scomparse le canalette che li alimentavano mentre rimangono, obsoleti, alcuni tratti della tubazione per l’acqua delle turbine (opera della fine degli anni ’30 del secolo scorso).
§~ Toponimo prediale, composto da Pontius (nome proprio, Ponzio; lo è, anche, di una gens romana) con il suffisso -ano che indica l’appartenenza, la proprietà = fondo, terreno di proprietà di Ponzio.
«Una categoria di nomi rappresentata in tutta l’Italia è quella dei toponimi detti prediali o fondiari, che derivano da un nome personale latino (in genere corrispondente al gentilizio) con vari suffissi, specialmente -anus. Così un nome di luogo come Mariano o Marano (a seconda dell’evoluzione fonetica) ha all’origine Marius attraverso un prædium Marianum che designa la proprietà fondiaria assegnata a Marius. Formazioni di questo tipo sono già documentate dal I secolo a.C., e poi sempre meglio in età imperiale e permettono di ricostruire la romanizzazione del territorio» [Treccani].
I prediali non sono necessariamente collegati a insediamenti latini: l’uso toponimico si protrae fino a gran parte dell’epoca medievale.

Porto, contrada del
Il toponimo è negli estimi del 1573 e del 1641. La definizione è generica ma, dalla partita di Pietro Almici che ha 2 case in contrada del Porto nel 1641 - questa è da collocarsi all’inizio di via Razzica.
È variante di Porto di Caccia e di Porto di san Martino.

Porto di Caccia, contrada del
Nel 1785 l’abitazione che era di Pietro Almici nel 1641 è divenuta proprietà di Domenico Valotti. Nella mappa del 1811 la sua abitazione è posta nei pressi del Porto di san Martino, posto dove oggi vi è il vecchio pontile di attracco dei battelli della navigazione sebina.

Porto S. Martino, contrada del
Variante, nel 1811, di contrada del Porto e di Porto di Caccia.
Porto della Razzica, contrada del
Il porto è posto all’inizio della via omonima: esisteva ancora nella prima metà del Novecento.

Porto della chiesa, contrada del
Nel 1785 è detto anche Porto di San Martino: vi ha la casa Giuseppe Maggi che l’ha ereditata da don Bartolomeo Ghitti ed è posta di fronte alla parrocchiale dove oggi vi è il nuovo pontile di attracco dei battelli della navigazione sebina. È nella mappa del 1811.

Porto vecchio (attuale)
Era l’attracco, oggi in disuso, dei battelli della navigazione sebina, anticamente denominato Porto, Porto di Caccia e Porto san Martino. Con il rifacimento recente del lungolago il nuovo pontile è posto di fronte alla chiesa parrocchiale.

Porto Nuovo (attuale)
Costruito nel 1972 dal Ministero dei Lavori Pubblici è il ricovero di barche adiacente al Parco Rosselli, in quella che era la contrada del Marzul o del Fiume.
Marone è collegato a Nord, alla Valcamonica - fino alla prima metà del XIX secolo - via lago ma è periferico rispetto alle rotte dell’óra [vento che, sul lago, spira da Sud] e del vét [vento da Nord] e per terraferma dalla via Valleriana (abbastanza agevole per il viandante ma inadatta al trasporto delle merci). I collegamenti verso Iseo e Brescia sono garantiti dalla carrabile che costeggia il lago e dal trasporto lacustre.
Nel 1609, nel Catastico di Giovanni da Lezze si legge che Iseo «[…] dove vi è il porto bellissimo, et commodo […] con sei barche ordinarie per passar, e portar li viandanti, che vengono a quel mercato […] Oltre le sodette vi sono molte altre barche, che portano diverse mercantie […]. Mercanti diversi di ferrarezze […] essendovi anco un forno nella terra di Marone […] et se bene non vi sono miniere, vanno però a tuor la vena, et la portano, et conducono con le barche al forno, trattenendosi in quell’esercitio diverse persone».
Nei Curiosi trattenimenti de’ popoli camuni del 1698, padre Gregorio Brunelli di Val Camonica sostiene che «è cotidiana la navigatione sopra di esso da Pisogne, e Lovere, ad Iseo, e da questo a quelli con grosse barche che conducono non solo passaggieri ma quantità di merci et d’ogni sorte d’animali grossi le centinara alla volta» e che «la distanza d’Iseo da Pisogne, e Lovere è di quindici miglia, che si fanno da quello a questi d’ordinario su’l mezzogiorno al soffiare de gl’Austri, si come da questi a quello la mattina a buon hora allo spirare di Tramontana o d’altro vento Aquilonare, che sono li più propri per tal navigatione, oltre la quale si vedono tessute l’acque Sebine nello stesso modo anco da grandi barconi di Castro e solcate sovente da altri di Riva, di Marone, di Sale e d’altri porti circostanti».
Nel 1896, Bernardo Sina descrive così la navigazione sul lago: «La navigazione a vela e a remi è esercitata da circa 300 barche, dalle più grandi adibite al trasporto dei materiali per le calci idrauliche, della portata di 50 tonnellate, alle più piccole di cui 135 servono per la pesca. Si chiamano nav le maggiori, gondola o naèta le medie, naèt e naitì le piccole».
Nei secoli scorsi la navigazione sul Sebino era molto intensa: persone e merci erano trasportate dal più comodo movimento lacustre. In particolare, a Marone, fin verso il 1630, arrivava il minerale ferroso e partiva il ferro grezzo e lavorato nelle fucine locali (chioderie e attrezzi agricoli) e - almeno fino ai primi anni del ’900 - vi giungeva la lana in balle e si imbarcavano le coperte e i feltri destinati ai mercati nazionale ed estero. Intensi erano pure i rapporti con la sponda opposta del lago: malghesi bergamaschi portavano a Marone i loro prodotti [Gabriele Rosa] e operai bergamaschi facevano la spola, settimanalmente, per lavorare nei lanifici e setifici locali [Rosarita Colosio]. Inoltre, fino ai primi anni del ’900, il legname tratto dai boschi locali era trasportato dai barconi. Ancora, fino alla metà del Novecento, vi erano almeno due barconi di proprietà di maronesi, uno di Serioli Spadì e l’altro del vellese Rinaldi.
Nei documenti, estimi e mappe, vi sono le contrade del Porto (1573 e 1641), del Porto di Caccia (1785), del Porto S. Martino (1785 e 1811), del Porto della Razzica (1811) e del Porto della chiesa (1811).

Prac' de Pergarù, prato e bosco
Sono i prati e la porzione di bosco limitrofi all’omonima cascina (mappali 1556, 1556 e 1559).
§~ Vedi Pergarone.

Prac' del Sul, bosco
Porzione di bosco a Sud della cascina Corno (mappali 1309 e 4597), in Velloera.
§~ Prati del sole, in dialetto bresciano. La denominazione lascia intendere che, una volta, il terreno fosse un pascolo, come il contiguo Vernaschetto (vedi).

Pradì, prato
Prato a Est della cascina Nei, con cui confina (mappale 1270).
§~ Diminutivo di Prat =prato.

Pradi, cascina
Cascina a Est di Pregasso con il mappale 637 nel 1808 e 624 nel 1842, lungo la via del Tinello; non ha nome nel 1898 e nel catasto attuale - lungo via Ronchi - ma ha ancora il mappale 624.

Prat dela Césa, Prato della chiesa, prato e bosco
È il mappale 1596, a Est della cascina Brégn; vedi anche Canta e Tupì.

Prat dela Val, Prato della valle, prato
Campo - mappale 1304 e parte del 1573 - e Est della cascina Balestra, poco distante dai torrenti Òpol e Acqua Santa.

Prat dele Rue, prato
Porzione del bosco a Sud-Ovest della cascina Vernasca (mappale 1299 e parte Ovest del 1303), delimitato a Nord-Est dalla Costa Solìda.
Etimologia:
Prato delle strade: in latino medievale, Rua = via, strada. Il prato è delimitato a Ovest dalla Strada comunale dell’Acqua Santa, e vicina vi è la Strada del Monte.

Prat del Córen, bosco
Parte del bosco che occupa il mappale 1579, a Nord Est della cascina Corno.
§~ Vedi Corno, Córen.

Prat Vac, prato
È il campo che occupa parte del mappale 1310 e l’intero 1313, a Ovest del torrente dell’Acqua Santa e a Sud della cascina Prat del Gal.
§~ In dialetto bresciano, Vach = ombreggiato, che non è esposto al sole.

Prat del Gal, Prato del Gallo, cascina
Cascina novecentesca con il mappale 4394, immediatamente a Sud-Ovest del Torrente dell’Acqua Santa e Nord-Ovest della cascina Spino.

Prati, cascina
Prati, di, contrada
La contrada e la cascina sono a Nord-Est di Pregasso.
Nel 1573, Antonio Cristini detto il Tedesco possiede «Un’altra [pezza di terra] prativa, castegniva, guastiva, montiva cont:a del Prato […] tavole sessanta sei»; un’alta pezza «arad:a, vidata, limitiva, cont:a del Prat […] tavole cinquanta», limitrofa alla precedente, è di proprietà di Antonio Zanotti.
Nel 1641 il toponimo si ripete 3 volte - la proprietà è solamente Cristini - e descrive pezze di terra «aradora, vidata et parte guastiva» (87 tavole), «arradora, vidata, et prattiva» (15 tavole) e «prattiva, et guastiva» (1 piò). Nel 1785 i fratelli Cristini fu Giovanni Maria detti i Tedeschi sono proprietari di 1½ piò di terreno - chiamato ai Prati - arativo, vitato e «guastivo» e una cascina (stalla e fienile).
La cascina, nella mappa del 1808, è il mappale 878, senza denominazione; nel 1842 è il mappale 207, denominato cascina detta Ronchi; nel 1898 è sempre, in località Prà, il mappale 207 ma senza denominazione. Ancora oggi è il mappale 207.

Prati, ossia l’Acqua Marza, contrada
Prati, contrada di Vesto detta, terreno
Nel 1785 è un campo arativo, vitato, olivato a ciglioni, in contrada dell’Acqua Marza, che confina a Est con la strada e a Sud con il Valzello: l’unico mappale che, parzialmente, ha questi requisiti è, nel 1808, il 595 (oggi mappale 922).

Prato de Marchetti, contrada della Croce detta, terreno
Nel 1785 la Comunità di Zone possiede «una pezza di terra montiva, prativa con sua portion di stalla, e fenile […] sul monte, in contrada di Croce acquistata da Marco Marchetti, chiamata il Prato di Marchetti».
§~ Dal cognome Marchetti, diffuso a Zone.

Prato di Laspo, contrada di Monte di Marone detta il
Nel 1573 è un appezzamento nei pressi della cascina Caffei/Tomasino, limitrofa al torrente Bagnadore: «Una altra peza de terra in territorio predetto et detta contrata [di Monte di Marone] prativa detta il Prato di Laspo coherentie a mattina et megiodi la valle, a sera la famiglia di Caphelli. Pio quattro in circa».
§~ Etimo oscuro.

Predellato, contrada
La località è posta tra Marone e Vello, tra le prime due gallerie dopo il capoluogo e il bivio per la frazione Vello. È denominata Predelati nelle carte IGM e CRT.
Il toponimo compare fin dal 1573: «Un’altra [pezza di terra] prativa, valliva, remenga cont:a de Predelat, à diman Corno Grande del Predelat, à sera il lago, tavole cinquanta»; nel 1641 è detta contrada di Predel; nel 1785 è denominata contrada del Predelato ossia dei Medoli e Predeletto.
Nell’appezzamento detto Predelato, sempre nel 1785, vi è un edificio di calcara chiamato Arcangelo, dal nome di colui che l’aveva costruita: «La fabbrica della fornace per far calcina era del q. [defunto] Arcangelo Ghitti […] in contrada di Cinello, ossia de Medoli con due stanze per comodo d’essa fornace, e posto il tutto fabbricato sopra il fondo di Pres di Commune […]». La fornace, nelle mappe del 1808 e del 1842, è il mappale 1027 (mappale 685 nel 1898); al mappale 1031 è segnata un’altra calchera, nel 1852, denominata Calcherina. Oggi la fornace - nel catasto attuale è il mappale 1480 - non esiste più e, al suo posto, vi è un fabbricato civile.
§~ Vedi contrada dei Medoli ossia Predelato.

Pregasso, contrada
Frazione di Marone a Est del capoluogo.
Nel Liber Potheris (il registro degli atti pubblici) del Comune di Brescia, all’anno 1280 è ricordato che alla manutenzione del Ponte delle Crotte dovevano contribuire fra gli altri «homines de Sixano [Siviano], de Pescheriis [Peschiera], de Iseo, de Pulzono [Pilzone], de Martignango, de Pregatio, de Marasino, de Vello, de Isoletta laci Isei [San Paolo]». Pregasso non è citato nell’estimo visconteo del 1385 fra i comuni appartenenti alla quadra di Iseo e non citato dagli statuti del 1429. Compare come Pregatium cum Marono da quello del 1473; per il restante periodo del dominio veneto fece parte della quadra di Iseo [Valentini 1898]. Il comune di Pregatium cum Marono, nel 1493, contava 575 anime [Medin 1886]. Nei primi anni del XVI secolo la sede del Comune Rurale si sposta a Marone.
Pregasso è sede, fino ai primi decenni del 1500, anche della parrocchiale.
Pregasso è costruita lungo il percorso della via Valleriana e ha tracce del passato. Il villaggio è posto ai piedi della rocca di San Pietro, su cui è collocata l’antica parrocchiale: se un ipotetico viaggiatore fosse passato verso il 1580 vi avrebbe scorto due chiese, una diroccata e una in costruzione.
Nei documenti, oltre a contrada di Pregasso, si trovano le varianti contrada de Predaz, Pregat, Pregatio, Pregazzi, Pregaz, Pregazzo, Pregazo.

La leggenda dei due gobbi
C’era una volta a Pregasso, un gobbetto buono e gentile di nome Arturo. Per campare faceva il boscaiolo.
Purtroppo viveva un altro vecchio, anche lui con la gobba, cattivo, avaro e ricco, che avrebbe pagato l’impossibile perché qualche spirito gli facesse sparire la gobba.
Questa persona si chiamava Sincero, ma in realtà era bugiardo, e viveva assieme ad Arturo. Una sera Arturo, dopo aver fatto il suo lavoro quotidiano, sentì un rumore nel mezzo del bosco. Andò a vedere: c’erano otto spiriti luminosi che facevano baldoria. Subito lo invitarono a divertirsi e Arturo accettò.
Finita la festa, uno degli spiriti diede un consiglio ad Arturo: «Senti, se ascolti il mio consiglio sarai felice, continua per la tua strada, fai dieci passi e poi girati!». «Grazie» - rispose Arturo.
Fece tutto quello che lo spirito gli disse e si accorse che gli era sparita la gobba. Tutto felice se ne tornò a casa. La mattina per il paese correvano le voci del vecchietto a cui era sparita la gobba.
Seppe tutto anche Sincero. La sera si travestì da boscaiolo e andò nel bosco. Sentì anche lui quello strano rumore e andò a vedere. Erano gli spiriti.
Lo invitarono e il più anziano gli disse di compiere le stesse azioni che aveva fatto Arturo. Sincero le fece e alla fine si toccò la schiena, ma si accorse che aveva due gobbe.
§~ In latino, Præ = prima e, in latino medievale, voce longobarda, Gagium = silva densissima = fitta foresta, bosco [Spelmanno, Glossarium Archaiologicum]. Marone era, almeno fino al XVII secolo, nota anche per i boschi «Sopra la terra vi sono monti alti con boschi in parte, et à basso con terre arradore di valuta le Boschive de scudi quattro, et le arrative migliori 100 ducati il Piò» [Da Lezze].
G. Mastrelli Anzilotti, Toponomastica trentina: i nomi delle località abitate, Trento 2003: i toponimi Pregasio di Tremosine e Pregasina di Riva del Garda sono fatti derivare dalla radice celtica Brig- = altura (in dialetto bresciano Brich e Bréch = spuntone roccioso).

Pregno, contrada di
Nel 1573 i fratelli Bartolomeo e Pietro Bontempi sono proprietari di «Un’altra [pezza di terra] uts:a [arad:a, vidata, limetiva, montiva, olivata] cont:a de Pregno […] tavole novanta». Nel 1641 Carlo fu Polidoro possiede «Una pezza di terra in cima al monte prattiva, boschiva, corniva in contrada delle Vernasche, et Valle di Pregno […] di pio otto». Il toponimo non compare nel 1785.
§~ Storpiatura di Bregn, località (e cascina) posta tra Fontanàs e Croce di Marone.

Pres alla Croce dei Morti, contrada della Breda, Terreno
Il toponimo compare solo nel 1785, nella partita dell’eredità di Andrea Guerini fu Giovanni Maria dei Fontane.
«Certo Andrea Guerini detto Fontana del Comune di Marone, frazione di Vesto, con suo testamento in data 20 gennaio 1733 ha lasciato tre pezze di terra denominate Breda, Ghis e Baravalle nel territorio di Marone al sacerdote don Antonio Guerini [il sacerdote Antonio di Stefano è della famiglia dei Molini Nuovi, ndr], ovvero ad altri sacerdoti se ve ne saranno della stessa casa e al sacerdote don Francesco Guerrini [Francesco di Giovanni Pietro è della famiglia del Cortivo, ndr] quando però non vi siano sacerdoti nella casa o discendenza del testatore Andrea Guerini, con obbligo di celebrare a 30 soldi l’una, tante messe quanto risultano dal reddito netto di dette pezze di terra, all’altare delle Sante Reliquie di Marone» [Morandini].
Nell’estimo del 1785 l’appezzamento Baravalle è detto Strada (71 tavole, mappale 548 nel 1808), Breda è detto Pres alla Croce dei Morti (51 tavole, mappale 547 nel 1808) e Ghis è posto in contrada delle Foppe (42 tavole, mappale 546 nel 1808). Su questi terreni sorgerà, tra il 1809 e il 1850, il cimitero di Marone.
Nelle mappe del catasto napoleonico (1808) e austriaco (1842) il sito del cimitero è chiamato «Colonna di pietra detto il lazzaretto» che potrebbe ricordare nei primi termini la presenza di strutture della villa romana e nella parola lazzaretto la testimonianza dell’uso del sito come ospedale durante i tempi funestati dalle epidemie di peste e colera» [Angelo Valsecchi]. Nel catasto napoleonico la scritta è all’interno del mappale 549, sulla destra idrografica del Baravalle; in quello austriaco la dicitura è posta sui mappali 546, 548 e 549 dove è sovrascritta, a matita, la pianta del cimitero.
§~ In dialetto bresciano, Pré, Prés = prato.
La variante Prés è documentata a Zone [Zatti] per «prato ricavato da un bosco comunale» e da tre toponimi, Pres de Fernagia, Pres dei Kaki e Pres dei Magher.

Pùta de l’Órt, monte
Cima da cui si diparte la Valle dell’Orto, sul confine con il comune di Sale Marasino tra la Punta Val Mora a Ovest e il Monte Caprello a Est.
§~ In dialetto bresciano, Puta = punta, cima; Órt = orto.