Zanotti Giovanni Maria dei Rós

Zanotti Giovanni Maria dei Rós [1875-1931] è contadino.

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Descrizione

Zanotti Giovanni Maria dei Rós

Zanotti Giovanni Maria dei Rós [1875-1931], contadino, è sposato con Zanotti Agostina dei Mésec’ [1885-1954].
I figli della coppia sono: Caterina [1907-1981], Angela [1909-1982], Antonio [1911-1985], Elisabetta [1912-1972], Angelo [1914-1944], Giovanni [1920-1978], Battista detto Girónt [1917-1993], Maria [1922-1984], Luigi [1924-2007], Stefano [1929-1980], Rosa, suora con il nome di Clemenza [1926-2016] (il suo necrologio sul bollettino parrocchiale, qui).

Zanotti Giovanni Maria dei Rós e Zanotti Agostina dei Mésec’

La famiglia di Zanotti Giovanni Maria dei Rós e Zanotti Agostina dei Mésec’

Ricordi dei miei nonni e delle vicende a essi legate.

di Angelo Teodoro Zanotti.

Il nonno Zanotti Giovanni Maria nasce nel luglio 1875 e muore nel gennaio 1931 a causa di una polmonite.
La sua famiglia d’origine era quella dei Rós (i rossi di capigliatura) di Collepiano.

Era persona di carattere fermo e di studi limitati (il minimo del tempo) ma amava leggere e tenersi informato sull’attualità politica e sociale. Cattolico convinto sapeva sostenere con vigoria un contradittorio e sostenere con competenza un confronto dialettico con i liberali (i mangiapreti di allora); per questo era soprannominato "l’imparato" e anche "l’avvocato".
Memorabile ai tempi (ne aveva parlato mons. Morandini alla predica fatta in occasione del mio matrimonio) un suo comizio improvvisato e accalorato al termine della processione del Corpus Domini. Era successo che alcuni cittadini avversi alla Chiesa avevano disturbato la processione con frasi ingiuriose rivolte al Santissimo e Giovanni Maria si era assunto il compito di rimproverarli pubblicamente.

Nella sua breve vita ha messo al mondo, con l’ausilio di nonna Agostina, ben undici figli.
All’età di 46 anni, la nonna Agostina si è ritrovata vedova e con il peso della numerosa famiglia; in suo aiuto le figlie Caterina ed Elisabetta ed il figlio Antonio.

Gli altri figli maschi, a partire da due anni prima dell’inizio della guerra, sono stati prima chiamati alla leva, e poi, senza soluzione di continuità, andati in guerra prima (come è stato il caso di mio padre che, alpino della Tridentina nel battaglione Vestone, è passato prima in Francia, poi Albania e Russia per poi, dopo lo sfondamento di Nikolajewka, tornare a casa gli inizi del 1943, sposarsi ed essere ucciso nel novembre dello stesso anno nel mitragliamento del vapore passeggeri sul lago; io sono poi nato il 30 dicembre successivo). Allo stesso modo anche Giovanni e Antonio, soldati di fanteria, che furono fatti prigionieri dagli inglesi e torneranno a casa solo dopo la fine della guerra.

Il nonno era un contadino. La sua tenuta agricola era nella località Gandane ed era il punto di riferimento per tanti abitanti di Vesto sia per ottenere consigli ma anche per poter aver donato un poco di latte o una pagnotta (eccezionali le mantovane della zia Catina che ho potuto gustare anch’io); negli anni della mia gioventù mi capitava di frequente di incontrare signori di Vesto i quali, saputo chi ero, divenivano subito molto affabili e dicevano con frasi più o meno identiche: «Quando sére duèn e ghéra mia tatt de mangià, de Gustina sa tróaa sèmpes ergót (Quando ero giovane e c’era poco da mettere sotto i denti, da Agostina si trovava sempre qualcosa da mangiare)».

La nonna Agostina era di Pregasso e la sua famiglia era quella dei Mésec’, sorella di Carossa, di Eugenio e di Angela.
Le sue qualità si raccontano da sole: vedova con parecchi figli ancora da crescere era molto mite e sempre disponibile, generosa e benvoluta da tutti.
Sopportò pazientemente le traversie della vita ma, quando i suoi figli decidono inspiegabilmente di vendere la tenuta agricola (per andare a comprarne una nel varesotto, a Daverio) non riesce più a sopportare e pensa bene, il giorno vigilia del suo trasferimento, di morire di infarto.

Dal prezzo fissato per la vendita la quota di mia competenza per mio padre era di 450.000 lire; mia madre però faceva resistenza preferendo mi fosse assegnata una porzione di terreno, anche la meno appetibile detta Aqua marsa.
Finché, ricordo che un giorno venne a casa nostra lo zio Nino, uno degli ultimi figli che era stato avviato allo studio, mandato nel famoso (ancora oggi) collegio Ghisleri di Pavia a fare il liceo per poi iscriversi alla facoltà di legge di Pavia. Con lo studio aveva sviluppato ed affinato ulteriormente le qualità del padre quanto a facondia e forza di persuasione; qualità che esercitò anche con mia madre alzando la mia quota in danaro a 500.000 lire; somma che a quel tempo, nel ’54, valeva un appezzamento di terreno nella zona dell’attuale Borgonuovo (allora Baraàl) e vi si costruiva una casetta. Il Giudice tutelare giudicò fosse azzardato fare una cosa del genere e impose di vincolare la somma presso la banca fino a che avessi raggiunto il diciottesimo anno di età.
Il risultato fu che Ziliani (l’impiegato della banca) mi mise in mano la bellezza di 518.000 lire (!).
La mia eredità svanì con l’acquisto dei libri di scuola del primo anno di università alla Bocconi di Milano.

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