Ottavio Amigoni, Madonna col Bambino e i santi Eufemia e Francesco

Ottavio Amigoni (Brescia, 16 ottobre 1606 – Brescia, 28 ottobre 1661).
L’Amigoni ha lasciato sue opere nella parrocchiale antica di Marone, nella chiesa dei Santi Pietro e Paolo di Pregasso (incerta attribuzione) e nella parrocchiale di Vello.

Descrizione

Ottavio Amigoni, Madonna col Bambino e i santi Eufemia e Francesco

Giuseppe Fusari

Ottavio Amigoni (Brescia 1606-1661)
Pala dell'altare maggiore chiesa di Sant'Eufemia di Vello.
olio su tela, 190 x 155 cm
Vello, Chiesa Parrocchiale di Sant’Eufemia, altare maggiore
Firmato e datato sul gradino: OCTAVIVS /AMIGONVS / FA. / MDCXLII

Il dipinto è in buono stato di conservazione; al centro è raffigurata la Vergine sopra un trono con in braccio il Bambino Gesù. Ai lati i due santi, Eufemia e Francesco, stanno in ginocchio in adorazione.

Con tutta probabilità la piccola tela è la prima opera compiuta dall’Amigoni all’indomani dell’ipotizzato viaggio nei Grigioni dove, nella chiesetta di San Francesco di Ruis lascia la pala con il Perdon d’Assisi. I connotati stilistici del dipinto mostrano il passaggio che la pittura dell’artista ha compiuto a ridosso dell’inizio del quinto decennio del Seicento, con tutta probabilità a seguito di una presa di visione diretta della pittura milanese, particolarmente di Morazzone, percepibile nell’addolcimento delle fisionomie specie dei puttini alati e nel diverso impatto chiaroscurale, quasi fosforescente che le figure acquisiscono via via ci si inoltra nel decennio. Tale addolcimento generale prende le mosse comunque da un percorso che l’artista stava già compiendo e del quale si ha chiara testimonianza nell’Annunciazione della chiesa cittadina di Sant’Agata dove, rimeditando la tradizione bresciana alla luce di un testo eccezionale come l’Annunciazione del Candido dipinta per la chiesa di Santa Maria del Carmine, riesce a trasfondere quel mirabile sfumato luminoso che sarà caratteristico della sua produzione fino alle opere estreme.

Rispetto tuttavia alle prove precedenti si nota qui e nelle tele del primo quinquennio degli anni Quaranta un’attenzione quasi esclusiva alle figure che impongono all’artista la rarefazione della maggior parte degli elementi di corredo al solo vantaggio della raffigurazione dei personaggi ai quali lo spazio non sembra bastare mai e li costringe a pose che giungono alla deformazione. Le composizioni così concentrate diventano per Amigoni l’occasione per mettere in scena potenti figure che occupano tutto lo spazio in una sorta di horror vacui che fa concentrare tutta l’attenzione sull’espressione e sull’addolcimento quasi estenuato delle fisionomie che, insieme a Morazzone, rimandano ad Aurelio Lomi e, più alla lontana a Federico Barocci.

Quanto sopravvive in questo momento del portato bresciano è l’attenzione al dato monumentale, tuttavia piegato alla funzione espressiva che, come si è detto, deforma talvolta le proporzioni in vista di una resa compatta delle scene tutte concentrate sull’attività dei gesti e delle espressioni. Amigoni, a un passo dall’esperienza degli affreschi per la cittadina chiesa di San Giorgio e per la grandiosa Ultima Cena della Parrocchiale di Quinzano d’Oglio, in queste primizie dell’inizio degli anni Quaranta pare prepararsi a sfoderare quelle rese volumetriche e compattissime che si vedranno nel breve volgere di un anno negli angeli di San Giorgio e nei volumi torniti degli apostoli quinzanesi.

Alla tela di Vello è possibile accostare, proprio per questa attenzione quasi maniacale alle sole figure, ridotte spesso a dolcissimi manichini, le storie della vita di san Giuseppe e di san Benedetto della prima cappella di sinistra della Parrocchiale di Bienno. Anche lì le figure si affastellano nel poco spazio a disposizione e si arrotondano i volumi in sempre più stretti panneggi che, tradotti in forma monumentale, saranno gli stessi, morazzoniani nell’ispirazione, a tornire i corpi agitati (e solennemente pigiati) dei sette angeli del catino absidale della chiesa di San Giorgio, compiuti in strettissima contiguità cronologica con questa tela di Vello.

Bibliografia
Calabi, 1935, p. 4; Cipriani, 1960, p. 769; Passamani, 1964, p. 599 nota; Fappani, 1977, p. 24; Lonati, 1980, p. 14; Stradiotti, 1986, p. 682; Guazzoni, 1989, p. 614; Gnaccolini, 2001, p. 25; Fusari, 2006, p. 49.

La tela era la pala dell’altare maggiore dell’antica parrocchiale di Sant’Eufemia (oggi detta chiesa dei Morti).
Attualmente è la pala dell’altare maggiore della settecentesca parrocchiale di Sant’Eufemia. [r. p.]