Le due sante di Pompeo Ghitti

Si tratta di due tele di dimensioni uguali e, considerato il soggetto, due celebri sante martiri ritratte a tre quarti di figura, nate con ogni certezza insieme…

Descrizione

Le due sante di Pompeo Ghitti

Angelo Loda

Come ho avuto recentemente modo di sottolineare (A. Loda, Pompeo Ghitti un pittore devoto nel Seicento bresciano: alcune novità e qualche precisazione, in L’arte nostra, atti della giornata di studi [Sale Marasino, 10 maggio 2008], Sale Marasino 2011, p. 52, nota 10) è grazie alla caparbia di Roberto Predali se si è operato il rinvenimento di queste due tele, ubicate sulla parete destra della chiesa collepianese, in precedenza già rese note dalla critica, ma con una scorretta collocazione nella chiesa di San Martino a Marone (G. Fusari, Il Duomo di Chiari: 1481-2000: il febbrile cantiere, Roccafranca 2000, p. 85, ripreso poi da F. Fisogni, Il Seicento bresciano, in Duemila anni di pittura a Brescia, vol. II, Brescia 2007, p. 373, mentre più recentemente segnalavo che esse non erano rintracciabili in Il Battesimo di Cristo di Pompeo Ghitti, in Vello tra 1500 e 1600 l’antica parrocchiale, Marone 2009, p. 93; errava a suo modo anche Antonio Fappani, che, pur ricordandole correttamente quanto all’ubicazione, le menzionava come Santa Lucia e Santa Caterina d’Alessandria assegnandole a scuola lombarda seicentesca in: ad vocem Marone, in Enciclopedia Bresciana, vol. VIII, Brescia 1991, p. 272, che penso sia la prima segnalazione di queste tele).

Si tratta di due tele di dimensioni uguali e, considerato il soggetto, due celebri sante martiri ritratte a tre quarti di figura, nate con ogni certezza insieme; esse spettano fuori di dubbio al maronese Pompeo Ghitti, pittore tardo-barocco la cui ricca produzione, sia pittorica, che ancor più grafica, è in questi ultimi anni al centro dell’interesse della critica bresciana (oltre al mio intervento del 2011, con la bibliografia precedente in esso riportata, si vedano anche S. Guerrini, Le dimore nel territorio bresciano, in I Fasti e splendori dei Gambara: l’apice della potente famiglia bresciana in età rinascimentale e barocca, San Zeno Naviglio 2010, pp. 124-127, ove si assegna al pittore maronese la decorazione del soffitto del salone centrale a pianterreno del Palazzo Gambara a San Vito di Bedizzole con soggetti mitologici, e altri affreschi assai malridotti in un salone all’ultimo piano, attribuzioni che però non mi trovano affatto concorde; F. Piazza, Inediti di Pompeo Ghitti a Brescia e qualche appunto sulla sua formazione milanese, in “Civiltà Bresciana”, a. XX, luglio 2011, nn. 2-3, pp. 251-264, in cui vengono segnalati una pala con San Carlo Borromeo adora la Madonna col Bambino e angeli nella chiesa di Cristo Re in Brescia, forse da identificare in quella già in San Carlino a Brescia e tre Ritratti di pontefici ed arcivescovi benedettini, conservati presso gli Spedali Civili di Brescia, provenienti dalla chiesa di Sant’Afra in Sant’Eufemia; F. Frisoni, Spunti per un pittore atipico bresciano: Ottavio Amigoni, in L’arte nostra 2011, ricco saggio in cui viene assegnato ad Amigoni l’affresco del salone di Palazzo Bettoni-Cazzago, già Avogadro, a Brescia con l’Olimpo degli dei (pp. 22-23), in precedenza ricondotto scorrettamente al Ghitti da più di un critico, insieme all’Ercole regge il globo dello scalone dello stesso palazzo, che la studiosa riconduce a pittore dell’ambito franceschiniano (p. 23, nota 23), insostenibili attribuzioni ghittesche come avevo già rimarcato in A. Loda, Un bilancio per Pompeo Ghitti, artista bresciano del Settecento, in “ACME. Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Milano”, vol. LIV, gennaio-aprile 2001, fasc. 1, p. nota 37, e si attribuisce invece al Ghitti un gruppo di angeli musici nella terza lunetta nel fianco sinistro della chiesa di Santa Giulia a Brescia (p. 37, nota 43) e un dipinto con l’Apparizione di Gesù Bambino ai santi Antonio abate e Gaetano della chiesa di Santa Maria in Sylvis a Pisogne (p. 37, nota 44), ipotesi da rimeditare, a causa del forte degrado conservativo di entrambe le opere, tali da impedire per ora una lettura definitiva; F. Fisogni, La decorazione moderna e le pale d’altare, in La chiesa di San Giorgio a Brescia, San Zeno Naviglio 2011, pp. 100 e 104 per gli affreschi della navata centrale del 1671 in collaborazione con Sorisene e pp. 108-109 per le due pale oggi al Museo Diocesano di Brescia e per la teletta con l’Incontro fra Davide ed Abimelech oggi in San Faustino, probabilmente da riconoscersi in una tela già in San Giorgio, menzionata dalle fonti come di mano del Celesti; R. Predali, Alcune considerazioni dal versante archivistico sul pittore Pompeo Ghitti e sulla sua famiglia, in “Civiltà Bresciana”, a. XXI, nn. 1-2, giugno 2012, pp. 31-52, con menzione anche delle due tele in esame a p. 43).

I dipinti raffigurano più precisamente le sante Lucia, con la palma del martirio alzata e uno stiletto con gli occhi infilzati, e Apollonia, con la palma rivolta verso terra e la tenaglia in cui è compreso un dente. Se la raffigurazione iconografica di Apollonia non deroga dai comuni canoni, quella di Lucia presenta la particolarità dello stiletto-pugnale al posto del più consueto piattino, in cui sono infilzati uno sopra l’altro i bulbi oculari, a ricordo dello strumento con cui venne definitivamente martirizzata, trafitta alla gola.

Il recente restauro operato da Lino Scalvini ha consentito di eliminare le pesanti ridipinture che impedivano una corretta lettura dei due dipinti appesantendo in particolar modo i passaggi chiaroscurali dei panneggi, e ha evidenziato come nel dipinto con Sant’Apollonia l’artista avesse in un primo tempo pensato la santa con la palma del martirio nella destra e la tenaglia col dente nell’altra mano, invertendo gli attributi solo in un secondo tempo.

Ho già precedentemente evidenziato (Loda 2011 p. 52) come le due sante in esame si apparentino bene con altri lavori dell’artista maronese, in particolare con la serie delle sette sante entro ottagoni ad affresco del ciclo della chiesa trentina di Santa Maria a Brancolino, riscoperte nel 1994 e disposte in una fascia che corre lungo la parte inferiore dei due fianchi della navata (vedile riprodotte in M. Maniotti, La chiesa di S. Maria a Brancolino, Rovereto 1997, pp. 15-22, va sottolineato fra l’altro come anche nella Santa Lucia qui presente, sia raffigurato uno spillone con gli occhi infilzati, tav. a p. 17), e con due malridotte tele raffiguranti Santa Lucia e Santa Caterina d’Alessandria nella sacrestia della parrocchiale di Sale Marasino (su cui vedasi da ultimo F. Frisoni, Le pale d’altare, in Storia e arte nella chiesa di San Zenone a Sale Marasino, Marone 2007, p. 91, e anche qui ritorna il particolare dello spillone, pur essendo la santa ritratta a figura intera, accompagnata da un angelo in volo che le porge corona e palma del martirio).

Quest’ultima particolarità iconografica ricorre comunque anche in altre tele lombarde dello stesso periodo, ad esempio: un dipinto di Giovan Mauro della Rovere eseguito nel 1629 per la chiesa di Santa Maria Maggiore di Chiari e oggi nella sagrestia della parrocchiale di Coccaglio (cfr. G. Fusari, Giovanni Battista e Giovan Mauro Della Rovere a Brescia e nel Bresciano, in “Arte Lombarda”, n. 150, 2007, n. 2, pp. 90-91 e G. Fusari, La chiesa di Santa Maria Maggiore in Chiari, Rudiano 2010, p. 33), varie opere ricondotte a Tomaso Pombioli, nella chiesa di San Benedetto a Crema e nella parrocchiale di Casale Cremasco, colla santa a figura intera (cfr. L. Carubelli, Tomaso Pombioli, Crema 1995, rispettivamente pp. 72 e 225, tav. 103; 63-64 e 226, tav. 105), una tela di Giovan Battista Lucini nel Museo Civico di Crema (C. Alpini, Giovan Battista Lucini, in L’estro e la realtà. La pittura a Crema nel Seicento, catalogo della mostra [Crema], Venezia 1997, pp. 177-178), un bell’olio, oggi presso la Galleria Previtali di Bergamo, assegnato a Carlo Ceresa (su cui da ultimo F. Frangi, in Carlo Ceresa. Un pittore del Seicento lombardo tra realtà e devozione, catalogo della mostra [Bergamo], Milano 2012, pp. 202-203) - segnalo inoltre a tal proposito la presenza nel bresciano, nella Pinacoteca Repossi di Chiari, di una tela attribuita, credo a torto, a Francesco Paglia, con una variante iconografica ancor più singolare - la santa regge una coppa al cui interno sono posti gli occhi - (vedila riprodotta e commentata in V. Terraroli, La Pinacoteca Repossi di Chiari, Brescia 1991, pp. 33 e 68, tav. 16), mentre sicuramente del giovane Francesco è invece la Santa Lucia della parrocchiale di Muscoline, con il consueto piattino (su cui vedasi M. Valotti, Il patrimonio artistico, in G. Bocchio-M. Valotti, La chiesa di S. Quirico a Muscoline. Appunti di storia e arte, Muscoline 2004, pp. 37-40).

Ma l’esempio più vicino al nostro pittore fu sicuramente un’opera del suo primo maestro Ottavio Amigoni, una Santa Lucia a tre quarti di figura nella sacrestia della parrocchiale di Padenghe a lui ascritta correttamente solo in tempi recenti (Frisoni 2011, pp. 39 e 40, tav. 15), databile verso gli anni quaranta del Seicento, in cui la santa regge con la sinistra un piccolo fuso terminante in una punta su cui è appoggiato il naso cogli occhi della martire.

Nelle tele in esame ritornano non solo le abituali tipologie fisionomiche tipiche dello stile del Ghitti - i visi, compassati e devoti al tempo stesso, dai tratti fortemente incisi e cubizzanti - ma anche la falcatura dei panneggi alquanto rigonfi e barocchi, che involgono pesantemente le sante, dietro alle quali si scorgono elementi architettonici, a mo’ di quinta teatrale.

Si tratta di due tele dalla chiara connotazione “devota”, prodotte all’interno di una bottega, quella del Ghitti, che negli ultimi quarant’anni del Seicento, divenne insieme a quella del rivale Francesco Paglia, il punto di riferimento per la produzione artistica bresciana improntata a un devozionalismo un po’ manierato e affettato.

Va inoltre ricordato come già sottolineato a suo tempo da Fusari nel commentare una tela con Sant’Apollonia in una cappella del Duomo di Chiari alquanto simile a questa in esame, anche se di qualità di poco inferiore e perciò assegnabile a un anonimo bresciano della metà del Seicento (2000, p. 85), che le due tele raffiguranti la martire egiziana derivino entrambe da un comune modello, con ogni probabilità incisorio, non ancora ritrovato (nei repertori iconografici sulla santa, cfr. in particolare P. Pierleoni, Il mito di Apollonia, Milano 1991, non ho rintracciato stampe che possano fungere in tal senso), così come alquanto pertinente potrebbe essere l’osservazione di Fisogni che alla fonte dei dipinti in esame ci possano essere quadri della tarda attività di Guercino, tradotti per via incisoria (2007, p. 373), anche se per il momento non si può istituire un confronto mirato e diretto, per la mancanza di stampe di derivazione guercinesca raffiguranti le nostre sante (vedi a tal proposito P. Bagni, Il Guercino e i suoi incisori, Roma 1988 e “Sacro e Profano nelle incisioni da Guercino”, catalogo della mostra [Cento], Bologna 2006), ma solo uno stringente parallelo ad esempio con il dipinto con Santa Barbara, che il centese realizzò nel 1659 per Francesco Manganoni di Rimini, oggi in collezione privata milanese (P. G. Pasini, in Guercino ritrovato. Collezioni e committenze riminesi 1642 – 1660, catalogo della mostra, [Rimini], Milano 2002, p. 114), di cui si conosce un’ottima copia di bottega, ritenuta già autografa, presso la Cassa di Risparmio di San Miniato (L. Salerno, I dipinti del Guercino, Roma 1988, p. 296 e D. M. Stone, Guercino. Catalogo completo, Firenze 1991, p. 329), oltre ad una derivazione più debole nella parrocchiale di Misano Adriatico, forse di Angelo Sarzetti -segnaliamo, per inciso, che nella stessa collezione Manganoni, era conservato un foglio sempre di Guercino con Santa Barbara e un angelo, oggi al Museo della Città di Rimini, riprodotto poi a stampa da Giovan Francesco Mucci (P. G. Pasini, in Guercino ritrovato 2002, p. 119), ed è stata recentemente pubblicata un’ulteriore copia del dipinto del pittore centese, con ascrizione a Francesco Paglia (E. Negro-M. Pirondini-N. Roio, La scuola del Guercino, Modena 2004, pp. 47-48, tav. 112), transitata più volte sul mercato antiquariale italiano (Finarte Milano, asta n. 1133, 28 marzo 2001; San Marco Venezia, 15 ottobre 2006, p. 102, lotto n. 40 e Capitolium Art Brescia, 17-18 maggio 2008, p. 78, lotto n. 179), la cui autografia, se confermata, testimonierebbe la fruizione “bresciana” di prototipi guercineschi.

Non molto distanti dalle nostre tele si debbono porre anche due dipinti dal formato verticale raffiguranti a figura intera Santa Lucia e Sant’Apollonia conservati nella canonica di Cividate Camuno e assegnabili alla metà del Seicento (vedasi A. Loda-S. M. Ongaro-I. Panteghini, L’arte a Cividate Camuno dal Rinascimento all’Ottocento, Breno 1999, pp. 76-79 e A. Giorgi, in Arte in Val Camonica. Monumenti e opere, vol. V, Gianico 2004, p. 478).

Colgo l’occasione per aggiungere al corpus dell’artista bresciano alcuni dipinti conservati nella parrocchiale di San Gaudenzio a Mompiano: un’interessante tela con Angeli in volo, di cui si ignora la provenienza, ma che risulta un palese frammento tagliato da una pala, visto che i due angeli al centro stanno incoronando una figura che doveva essere posta al di sotto e due tele con San Rocco e San Giovanni Battista, appese purtroppo in alto sull’arco di ingresso alla zona presbiterale e quindi difficilmente valutabili (su dipinti del nostro a Mompiano segnalo per inciso che il quadro con Sant’Antonino vescovo davanti alla Trinità, interessante opera tarda del nostro artista, che anni fa pubblicai come ubicato nella chiesa di Sant’Antonino [vedi Loda 2001, pp. 110-111], è oggi collocato, a seguito di un restauro, nella chiesetta di Santa Maria).

In merito alla sterminata grafica ghittesca, mi pare interessante segnalare come il bel foglio con Santo eremita cui appare un angelo, al quale ho recentemente accennato ipotizzandolo preparatorio per un foglio del celebre manoscritto queriniano I Tesori della Divina Provvidenza (2011, pp. 71 e 72, tav. 38), dopo un primo passaggio sul mercato antiquariale francese con erronea identificazione in San Gerolamo, è successivamente ripassato con la corretta identificazione (Chenu-Bérard-Péron Lyon, 20 novembre 2011, lotto n. 14).

Un ultimo appunto su un interessantissimo dipinto, fin qui sfuggito alla critica interessata alle questioni ghittesche: trattasi di una grande tela con la Beata Stefana Quinzani e angeli recanti stendardi su cui sono riportate storie della sua vita, della parrocchiale di Santa Maria Assunta di Sabbioneta che anni fa venne ascritto ad artista bresciano della cerchia di Ghitti (vedi V. Guazzoni, in Osanna Andreasi da Mantova, 1499-1505: l’immagine di una mistica del Rinascimento, catalogo della mostra, Mantova 2005, pp. 272-279); il dipinto, che non risulta molto distante dal fare del maronese, è una variabile quanto mai singolare della tipologia controriformata del quadro agiografico con il santo accompagnato da storielle della sua vita (su questa interessante figura di mistica vedasi da ultimo S. Lorenzini, Stefana Quinzani 1457-1530, in Le stanze segrete: le donne bresciane si rivelano, Brescia 2008, pp. 11-35), e venne periziato a suo tempo da Antonio Paglia, uno dei più significativi interpreti del primo Settecento bresciano, che non riuscì a identificarne l’autore, probabilmente dell’inizio del diciottesimo secolo, la cui identità purtroppo sfugge ancor oggi.

Schede di restauro

Santa Apollonia
olio su tela.
cm. 115 x 92.

La santa tiene con la mano sinistra una palma rivolta in basso. Appoggia il braccio sinistro su un mobile mentre con il braccio destro, protratto verso l’alto, impugna una pinza.
Stato conservativo: il dipinto, da una prima analisi visiva, è ridipinto per l’80% ca. della sua superficie con colori a olio. Questo intervento è stato eseguito quasi certamente nella prima metà del ‘900. Sempre in quell’intervento Il dipinto è stato reintelato e gli è stato sostituito il telaio con uno in legno avente spine e chiavi. Il telaio si presenta in un buono stato conservativo.
La tela di rifodero appare anch’essa in un buono stato conservativo e pare ben aderita alla tela originale.
Le tonalità cromatiche del dipinto risultano tutte alterate e scurite a causa delle spesse ridipinture, del sudiciume e delle vernici ossidate che lo ricoprono.
La pellicola pittorica risulta, in varie parti, male aderita al supporto.
Sono presenti sul dipinto svariati piccoli fori, ma non ci sono squarci e non si intravedono stuccature posticce.

Relazione finale: l’opera, come ipotizzato, era ricoperta quasi interamente da rifacimenti pittorici con colori ad olio. Oltre alle ridipinture erano presenti strati di vernici ossidate. La tela era leggermente allentata sul telaio.
Svariati piccoli forellini interessavano la pellicola pittorica su tutta la superficie.
Una volta rimosse le vernici ossidate e le ridipinture sono apparse, oltre alle cromie originali, molteplici stuccature posticce (biancastre) a livello e sottolivello.
La pellicola pittorica solo in alcune zone era male aderita al supporto.
La tela di rifodero e il telaio estensibile in essenza abete, sostituiti in un intervento eseguito presumibilmente negli anni ’60-’70 del secolo XX, si presentavano in un buono stato conservativo e non si è resa necessaria la loro sostituzione.

Santa Lucia
olio su tela.
cm. 115 x 92.

Santa Lucia è rappresentata in posizione eretta con il braccio sinistro piegato verso l’addome e con la mano sinistra sorregge la palma del martirio. Con la mano destra, protratta in avanti, tiene un grosso e lungo chiodo con l’occhio conficcato.
Stato conservativo: il dipinto presenta una rintelatura applicata su un telaio con le spine e le chiavi (sostituiti nei primi anni del ‘900 come per il dipinto di Santa Apollonia). Visto il buono stato conservativo non necessita della sostituzione.
L’opera è interamente ricoperta dal sudiciume e da spessi strati di vernice ossidata che ne scuriscono le cromie. La pellicola pittorica è male aderita al supporto lasciando intravede in alcune zone il gesso di preparazione.
Sono presenti alcuni rifacimenti pittorici a olio ma in minor quantità rispetto al dipinto di Santa Apollonia. Le ridipinture riguardano alcune parti del manto e della veste. La tela è allentata sul telaio e presenta alcuni piccoli fori. Non risultano essere presenti stuccature posticce.

Relazione finale: L’opera si presentava ridipinta con colori ad olio solo in alcune zone . Inoltre la tela era ricoperta, per tutta la sua superficie, da vernici ossidate. Sulla pellicola pittorica erano presenti alcune lacune ed alcuni piccoli forellini. La tela era allentata sul telaio. Una volta asportate le vernici ossidate e le ridipinture sono ricomparse le tonalità cromatiche originali. Diversamente dal dipinto raffigurante Santa Apollonia non si è trovata traccia di alcuna stuccatura posticcia. La pellicola pittorica solo in alcune zone (soprattutto sulla veste in basso) era male aderita al supporto.
Il telaio estensibile in essenza abete, sostituito in un intervento eseguito presumibilmente negli anni ’60-’70 del secolo XX, non si presentava in un buono stato conservativo; la sua pessima tenuta era causata dall’attacco degli insetti xilofagi (tarli) che ne hanno consumato il suo interno. Si è resa necessaria la sua sostituzione. La tela di rifodero, già esistente, si trovava in un buono stato conservativo.
Per poter permettere il ritensionamento della tela sul nuovo telaio si sono applicate delle fasce in tela, sul retro, per tutto il perimetro.