Guerini Amadio Carai detto l’Erborista

Guerini Amadio Carai è contadino ed erborista.

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Descrizione

Guerini Amadio dei Carai detto l’Erborista

Guerini Amadio, contadino ed erborista, è sposato con Danesi Caterina.
I figli della coppia sono Angelo, Michele, Alessandro, Stefano, Letizia, Lisa, Piera, Aurelia, Maria e Domenica.

Guerini Amadio e Danesi Caterina nel ricordo della nipote Gianna Picchi

Nonno Amadio e nonna Caterina.

Nonno Amadio era un personaggio speciale: un uomo conosciuto e molto stimato, sia nel nostro Comune che nel circondario. Chi lo ha conosciuto, lo avrà visto spesso in paese con la sua bicicletta e la borsa a tracolla, o mentre saliva sulle nostre montagne in cerca di erbe che poi usava per le sue preparazioni medicamentose. Allora le farmacie non erano fornite come adesso di ogni tipo di medicinale già pronto.
Fin dalla nascita, la vita del nonno Amadio fu avventurosa: era nato settimino assieme ad un gemello, mentre sua madre si trovava con la cognata in una malga in montagna a custodire le mucche - gli uomini erano infatti rimasti a casa per lavorare la campagna. Quando si manifestarono le doglie del parto, la cognata, suo malgrado, dovette fungere da ostetrica, e, dopo aver avvolto i gemellini uno nel grembiule e l'altro nello scialle, li adagiò in una cesta con del fieno; poi tutt' e due si incamminarono verso la loro abitazione, giù in paese. Era il 20 maggio 1878.
Il secondo gemello sarebbe morto di lì a poco, mentre mio nonno sarebbe vissuto fino a 79 anni. Fin da giovanissimo col¬tivò la passione per la natura, e in particolare per le erbe; aveva frequentato proficuamente la scuola dell'obbligo - allora era fino alla terza elementare - e poi aveva continuato ad interessarsi di erbe medicinali, studiando da autodidatta, perché la famiglia era povera, e il proseguimento degli studi, per lui, soltanto un sogno.
Lo ricordo assieme alla nonna Caterina, Tirì, come la chiamavano tutti, con cui si era sposato nel 1908, nella cascina "Ranch", dove erano andati ad abitare e dalla quale avranno sicuramente assistito, incuriositi, al passaggio del primo treno sulla ferrovia sottostante - che da Brescia porta a Edolo -, entrata in funzione nel 1909.
La cascina "Ranch" e il relativo podere, per la maggior parte scosceso e roccioso, con ulivi e filari di vite, erano di proprietà della Curia, e, siccome in quegli anni di soldi ne circolavano pochi, il nonno pagava l'affitto in natura con olio, qualche formaggella e vino - che veniva usato anche per dir Messa, perché il parroco diceva che era "proprio genuino". Mia mamma era una degli undici figli nati dal matrimonio tra Amadio e Caterina.
Noi nipoti frequentavamo spesso la casa dei nonni, e anch'io, non appena sono stata in grado, mi sono resa utile in quello che potevo fare: quando la nonna faceva il bucato, mi metteva - con un mattone sotto i piedi, perché arrivassi all'altezza dell'asse sopra il mastello - a spazzolare la biancheria, con la spazzola costruita dal nonno con certe radici dure e sottili che sapeva solo lui dove cercare. Anche il sapone si faceva in casa, come pure la lisciva, fatta con la cenere (al ricordo, mi sembra di sentirne ancora il profumo...).
Acqua potabile nelle cascine non c'era, e siccome anche la piccola cisterna che raccoglieva l'acqua piovana dal tetto era quasi sempre asciutta, soprattutto d'estate l'acqua bisognava attingerla alla fontana pubblica della frazione: mezz'ora, tra andare e tornare, con due secchi appesi a un legno ricurvo caricato a spalle.
Per far abbeverare il bestiame, bisognava farlo scendere giù al lago, passando sopra il ponte della ferrovia. La strada rivierasca che le mucche dovevano attraversare per recarsi al lago non era ancora asfaltata, era in terra battuta, e, diversamente da oggi, erano rarissime le macchine che transitavano.
Neanche la corrente elettrica era disponibile nella casa dei nonni: la cucina era illuminata - si fa per dire - dalla lucerna a petrolio che pendeva dal soffitto, e, per spostarsi dalla cucina quando c'era buio, si usava il lume ad olio o la candela.
L'arredamento della cucina consisteva in un tavolo (sul quale la nonna metteva sempre un vasetto con fiori di campo fre¬schi), alcune sedie impagliate dal nonno Amadio con le foglie delle pannocchie di granoturco, il camino dove si cucinava e una credenza sulla quale spiccavano vasetti, barattoli e bottiglie nei quali il nonno teneva i suoi decotti8, tisane, unguenti e distillati. Alle pareti, immagini sacre e il calendario — che nascondeva una crepa nel vecchio muro. Sopra il lavandino di pietra scavata c'era una piccola finestra, ma la luce entrava principalmente dall'uscio, sempre spalancato sull'aia, anche d'inverno, perché con l'uscio chiuso si restava al buio e per di più il camino non tirava: la cucina si riempiva di fumo, diventando inospitale. Il soffitto, fatto di assi e travi in legno, faceva anche da pavimento alla camera da letto dei nonni: il nonno diceva che quando usava il vaso da notte doveva avere buona mira, per non correre il rischio di annaffiare, attraverso le fessure, il tavolo della cucina...
Nonno Amadio e nonna Tirì non conobbero mai agiatezze né comodità: niente riscaldamento, niente acqua corrente, nessuna delle cose che oggi rappresentano ai nostri occhi il minimo per una vita civile.
La nonna, più bassa del nonno, rotondetta, umile, portava sempre il vestito fino alle caviglie; dopo pranzo, per riposare, si accomodava sulla sedia bassa vicino all'uscio della cucina, e sgranava il suo rosario che teneva sempre a portata di mano nella tasca del grembiule.
Per merenda era solita offrirci una fetta di polenta fredda con sopra la marmellata fatta in casa, oppure un frutto fresco.
Nonno Amadio, anche lui molto osservante della legge di Dio, alla domenica, quando i figli tornavano dalla Messa, chiedeva loro l'argomento dell'omelia, per accertarsi che avessero seguito attentamente la celebrazione. A ogni fine anno, poi, non mancava mai in chiesa, per cantare il Te Deum di ringraziamento con la sua voce baritonale; era un uomo autorevole, ma gioviale: non l'ho mai visto arrabbiarsi con nessuno, né in casa né fuori.
Capitava a volte che noi nipoti lo accompagnassimo durante la sua raccolta di erbe medicinali: foglie, fiori, radici, cortecce, che tra le sue mani sapienti si trasformavano in unguenti, sciroppi, tisane, decotti e quant'altro. Non sfruttava queste sue capacità per ricavarne un guadagno: il più delle volte non si faceva pagare. Esercitava la sua passione con autentico spirito filantropico: gli stava a cuore aiutare le persone a recuperare la salute. Talvolta il medico condotto gli inviava i suoi pazienti, perché li curasse con le sue preparazioni - una volta ricordo di aver visto in cura dal nonno anche il figlio del medico stesso.
Il lavoro non gli mancava mai. Oltre al lavoro annuale della campagna, d'inverno faceva anche il norcino, con l'attrezzatura ereditata dal padre.
Allora nelle famiglie a novembre si uccideva il maiale, e il nonno era esperto nel confezionare salami e cotechini, e sfruttarne proverbialmente (del maiale non si butta via niente) tutte le parti; dopo una lunga giornata di questo lavoro faticoso, tornava a casa con la sua gerla carica di coltelli, carrucole, tritacarne, pochi soldi e un salamino; i clienti più generosi gli regalavano anche il codino del maiale, con il quale la nonna faceva il brodo per il risotto.
Nonno Amadio era ricco di saggezza, amava la conversazione, si intratteneva volentieri con tutti. Di cose da raccontare ne aveva tante: aveva attraversato due guerre mondiali, aveva vestito la divisa militare da ufficiale graduato per sette anni e aveva fatto anche da istruttore per le reclute. Durante la Grande Guerra aveva combattuto sul Carso. Aveva sofferto il freddo e la fame.
Raccontava che una volta, mentre si stava asciugando la faccia, lo scoppio di un ordigno a poca distanza gli aveva fatto saltar via la salvietta dalle mani, e una scheggia gli si era conficcata in un piede. Era nato sotto una buona stella: riuscì a cavarsela anche quando, sul Carso, fu travolto da una slavina: a testimonianza della brutta avventura, mostrava i segni del congelamento sulle orecchie. «La pelle», diceva, «però l'ho portata a casa! ».
Gli piaceva leggere, tenersi informato: leggeva quotidiani e riviste dell'epoca, come La Domenica del Corriere.
Anche durante gli ultimi mesi di vita, costretto all'immobilità dalla malattia, sul suo letto c'erano libri e giornali, e il suo diario (purtroppo andato perso), dove annotava anche le sue ricette con le erbe. Nonno Amadio e nonna Tirì hanno vissuto serenamente e umilmente la loro vita, senza desiderare nulla più di quel poco che ebbero, e con onestà e amore hanno cresciuto undici figli. Nonna Tirì è sopravvissuta al nonno solo tre anni.

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