Cronaca fotografica dell’alluvione del 9 Luglio 1953 – 01

Cronaca fotografica dell’alluvione del 9 Luglio 1953 nelle immagini di Tonino Predali.

Descrizione

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Il Cielo si oscurò...

9 Luglio 1953Sembrava un giorno come tanti altri. Un giorno come tanti altri fino a mezzogiorno, quando grosse nuvole nere spinte dal vento oscurarono il cielo rendendolo cupo e minaccioso. Si annunciava un forte temporale, anzi, qualcosa di più e di diverso dal solito forte temporale. Qualcosa a cui non si riusciva ancora a dare una connotazione precisa, ma che si intuiva essere un pericolo incombente, una minaccia, ancorché vaga e ancora indistinta, che incombeva sul paese e inquietava gli animi.

Alle 12.15 cominciò a piovere molto forte e l’acqua scese dai versanti delle montagne con forti scrosci.

I torrenti Opol e Bagnadore trasportarono enormi quantità di detriti che si accumularono insieme con alberi sradicati formando dighe naturali che man mano si riempivano di acqua.

Verso le 12.30 le dighe, spinte dalla pressione dell’acqua, cedettero.

L’acqua del Bagnadore si riversò nella cava della Dolomite Franchi, giungendo poi fino al paese e alla strada provinciale.

Anche sul torrente Opol avvenne la stessa scena.

In breve tempo tutto fu spazzato via: la gente si rifugiò ai piani superiori delle case, sfuggendo alla furia delle acque. Le scene che si presentavano a chi volgeva lo sguardo attorno erano di desolante devastazione. Fanghiglia e detriti fecero sprofondare la banchina del piccolo porto.

Tutte le case del centro che si trovavano tra i due torrenti subirono danni, - salvo quelle di Via Metelli -, e l’abitazione di Battista Predali fu resa pericolante e successivamente venne abbattuta.

La Chiesa Parrocchiale fu invasa dal fango fino al coro e all’altare maggiore, e tutti i mobili e le attrezzature furono danneggiati. L’Istituto Girelli ne uscì fortemente danneggiato: la cappella fu portata via dall’ondata che riempì di detriti il torrente Bagnadore.

Molte officine e fabbriche di Marone subirono gravi danni e i macchinari furono coperti o portati via dalle acque. I danni più gravi alle industrie furono provocati dal torrente Bagnadore che nella sua furia travolse gli impianti della Dolomite Franchi, - dove penetrò passando per la galleria scavata nella cava -, e quelli della Fabbrica Fratelli Cristini fu Rocco, dove i macchinari furono completamente sepolti dal fango e trasportati dal torrente.

Furono danneggiate seriamente anche le ditte Giuseppe Cristini, l’industria del legno dei Fratelli Zanotti, la Pennacchio Angelo e figli, la Falegnameria Predali, la Fabbrica mattonelle Gorini e l’Officina meccanica Galli.

Pesanti conseguenze subirono anche molti commercianti: Baroni, Serioli Elio, Bontempi, Guerini, Spandre, Agostinelli, la Cooperativa di Consumo, Danesi Tessuti, la Forneria Dusi, Zeni Elettricità, le Sorelle Ghitti, la macelleria Berardi, Predali Fotografo e Oste al Vino Cattivo, l’Albergo Due Spade.

Anche l’agricoltura del paese subì un pesante bilancio: le frane provocarono danni enormi ai prati, alle cascine, ai boschi così come a molte proprietà di privati agricoltori.

La morte si insinuò tra i flussi impetuosi dell’acqua, passando attraverso le persone, alcune toccandole e portandosele via, altre solo sfiorandole. Il treno che veniva da Pisogne non fu travolto da una frana solo grazie alla prontezza di un manovale che lo fermò appena in tempo.

Le suore dell’Asilo furono trascinate via dalla corrente: il corpo di Suor Carmine, ventisette anni, fu poi ritrovato nei locali di un negozio, mentre le altre due suore non furono più ritrovate. Solo un provvidenziale destino volle che i bambini fossero risparmiati da una tragedia che, altrimenti, avrebbe potuto assumere dimensioni ancora più tragiche. Per fortuna era estate, l’asilo era chiuso e i bambini erano in vacanza.

Battista Guerini fu travolto dalla fiumana mentre era in piazza e riuscì ad aggrapparsi ad un’inferriata, ma poi fu portato via dalla piena; fu salvato da un carabiniere, insieme a un venditore del mercato trascinato anch’esso nel lago. Fu salvata anche una famiglia di sei persone che galleggiava aggrappata ad una botte.

L’acqua del torrente Bagnadore continuò a scendere da Via Trento e da Via Trieste per alcuni giorni, perché il suo letto naturale era completamente invaso dai detriti.

L’Opol, invece, tornò più velocemente nel suo alveo.

I soccorsi - formati da lavoratori, vigili del fuoco, soldati dell’esercito e tecnici del Genio Civile - giunsero tempestivamente nelle prime ore del pomeriggio. Le persone meno danneggiate e più disponibili cominciarono subito dopo l’accaduto ad aiutare la gente più bisognosa. Gli abitanti sgomberarono principalmente cantine, negozi, cucine; i soccorsi giunti dall’esterno lavorarono invece giorno e notte per arginare i torrenti, liberare le strade dal fango e dai sassi, e rimettere in sesto le industrie, con il contributo degli operai stessi.

Sulla statale il ponte sul Bagnadore impediva il passaggio dell’acqua perché sotto la sua struttura si erano depositate grandi quantità di detriti. Per sgomberare il ponte seicento operai lavorarono giorno e notte, in attesa di una potente ruspa, che arrivò lunedì 13 alle ore 8.00. La ruspa spinse i detriti verso il lago, evitando così un ulteriore straripamento del Bagnadore e la demolizione del ponte.

Nel paese venne a mancare l’acqua, poiché l’acquedotto era stato gravemente danneggiato: furono inviati serbatoi via lago per distribuire acqua potabile alla popolazione.

Inoltre, per sopperire alla scarsità di viveri che si era determinata, furono mandati 70 quintali di pasta, 50 quintali di riso e farina, 150 Kg. di lardo, 110 Kg. di zucchero, 6 scatoloni da 49 barattoli di latte ciascuno. Il tutto fu distribuito al centro di coordinamento dei soccorsi, che prese alloggio nell’edificio della scuola elementare.

Le operazioni di soccorso furono frenetiche nei primi giorni, e continuarono anche durante le ore notturne alla luce di potenti fari. Trascorsi i primi giorni, i lavori di soccorso furono affidati a squadre di operai messi a disposizione da varie imprese, oppure a operai assunti da ditte specializzate.

Il ritorno alla normalità fu comunque molto lento. Trascorsero mesi prima che il paese riacquistasse una certa

normalità e ci vollero anni prima che tutte le ferite provocate dall’alluvione potessero essere cancellate.

Cronaca fotografica dell'alluvione del 9 Luglio 1953 nelle immagini di Tonino Predali.

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